Il 2019 consuntiva un anno importante per il private capital. Se consideriamo le diverse tipologie e l’attività svolta dai differenti operatori, raggiungiamo quota 11 miliardi di euro investiti in 650 società. In questo numero leggiamo sia gli operatori tradizionali di private equity, venture capital e private debt, sia altri soggetti come club deal e family office, importanti protagonisti dell’anno scorso.
Focalizzandoci sul private equity, il segmento delle operazioni sulle medie imprese, il cosiddetto small e mid market, vede volumi invariati, poco meno di 4 miliardi di euro, la stessa cifra del 2018. Registriamo sicuramente volumi inferiori nel segmento dei large e mega deal, che dai quasi sei miliardi dell’anno scorso si contraggono a 3,3. Questo in quanto, pur a sostanziale parità di operazioni, vediamo nel 2019 solo due mega deal, contro gli 8 dell’anno scorso. Sotto questo profilo notiamo come il comparto degli investimenti in equity per le infrastrutture sia quello che registra il calo più significativo passando da 3 miliardi nel 2018 a circa 500 milioni nel 2019. Ed è questo a far calare il volume complessivo dell’ammontare di private equity da 10 a 7 miliardi.
Anche il private debt tiene, con volumi complessivi pari a 1,3 miliardi di euro impiegati in 200 imprese. E quindi mettendo insieme tutti gli strumenti di sostegno allo sviluppo delle imprese, abbiamo un segnale di sostanziale continuità rispetto al passato. Questo però non basta. Se confrontiamo il nostro mercato con quello del nostro principale competitore manifatturiero europeo, e cioè la Germania, vediamo un gap importante da colmare. L’anno scorso i colleghi tedeschi hanno chiuso l’anno con 14 miliardi di investimenti in quasi 950 operazioni. Ma l’aspetto più importante è quello della raccolta. La raccolta degli operatori domestici è stata in Germania pari a 5 miliardi di euro, contro il nostro 1,5 miliardi. E il loro valore di raccolta aumentata rispetto agli anni precedenti, il nostro si contrae, il che vuol dire che avranno più potenzialità d’investimento per gli anni futuri. Per l’Italia, a fronte di un quadro stabile, dove gli operatori internazionali, che quindi non sono presenti e censiti sul mercato della raccolta italiana, continuano a essere i protagonisti a livello di volumi, dobbiamo evidenziare questa forte criticità, cioè la difficoltà nella raccolta. Gli operatori domestici, sono tra l’altro, il motore più importante a livello di numeri, animando le operazioni di minor dimensione. Di più, non avere un trend in crescita- anche lato investimenti – è molto preoccupante. Il 2020 si apre con questa preoccupazione. Dobbiamo fare un salto di dimensione, che va effettuato in un anno caratterizzato da emergenze inaspettate e che porteranno ad avere impatti anche duri nelle imprese in portafoglio degli operatori. La risposta deve essere di sistema: la messa in campo delle nostre professionalità per dare un contributo forte alle aziende nella creazione di valore lavorando a fianco d’imprenditori e manager in modo ancora più incisivo e stringente sulla valorizzazione del capitale umano, sull’implementazione dell’innovazione, sulle aggregazioni e sull’internazionalizzazione. Ma abbiamo alcuni elementi nuovi che ci aiutano a ricomporre un quadro non sconfortante. I nuovi flussi possono provenire dal risparmio privato; vanno ben organizzati, rispettando le attitudini al rischio e le esigenze di liquidità, assecondando l’esigenza e la volontà di spostare una quota coerente ed equilibrata dei propri capitali su investimenti illiquidi, Già all’inizio dell’anno gli asset manager e il private banking hanno fatto raccolte importanti in questa direzione. Si auspica che gran parte di questo nuovo flusso di capitali possa essere indirizzato all’economia reale italiana. Guardando poi agli investitori istituzionali, per la prima volta, nel 2019, i fondi pensione e le casse di previdenza sono stati i protagonisti della raccolta del private equity: questo canale va mantenuto e ampliato, come accade nei mercati più evoluti. Mai come in questo momento ci troviamo a dover dare risposte alle imprese che avranno bisogno di nuove risorse. Il nostro è un settore cruciale per la ripartenza dell’economia. Speriamo di alzare la sensibilità delle istituzioni che ci devono accompagnare per fare il salto di qualità che da troppi anni aspettiamo.
Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. è anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)