Il salario minimo risolverà i problemi dei lavoratori. O forse no. Il dibattito è diviso a metà, tra chi applicherebbe subito la direttiva europea che impone di passare alla retribuzione minima garantita e chi, invece, pensa siano sufficienti i contratti nazionali di lavoro, che in Italia coprono l’80% dei posti di lavoro dipendente.
Quanti sono i lavoratori senza salario minimo
In tutto in Italia ci sono 4 milioni di lavoratori con tutele contrattuali sotto i 9 euro, che è la cifra fissata dall’Europa per il nostro paese. Ma il problema secondo Arturo Scotto, deputato di Articolo 1, è che “ci sono contratti non rinnovati da dieci anni soprattutto nella logistica e nei servizi, ma anche nel Pubblico impiego, che comprende 3,2 milioni di addetti che hanno perduto potere di acquisto rispetto alla esplosione dell’inflazione reale. Manca anche una legge sulla rappresentanza sindacale che garantisca la validità degli accordi sottoscritti dai sindacati più rappresentativi e che cancelli i contratti pirata”.
Cosa dice la direttiva europea
La Direttiva è esplicita: il salario minimo per legge serve nei Paesi a bassa copertura contrattuale degli occupati. Tanto è che vero che sono i Paesi sotto l’80% di copertura a dover presentare “piani di azione rafforzati”. Ciascuno Stato membro con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80 % dovrebbe adottare misure volte a rafforzare tale contrattazione collettiva. Ma il problema dei lavoratori poveri c’è anche in Italia. Dice l’economista Oscar Giannino. “Abbiamo la classificazione ISTAT dei dati salariali medi e mediani per settore contrattuale, ergo sappiamo bene che i settori in cui il salario contrattuale minimo è nella forbice 5-7 euro lordi l’ora sono l’agricoltura e vaste fette del mondo terziario, ristorazione, ricettività dei piccoli alberghi, caregiver come badanti e colf, e settori come la logistica e l’edilizia. L’industria e la manifattura, spesso additate come affamatrici dei lavoratori sui media, sono tutte a minimi contrattuali superiori alla cifra che si voleva stabilire per legge nella corsa legislatura. L’ISTAT ci dice poi che a fine 2020 stimava una retribuzione lorda media dei lavoratori irregolari pari a poco meno della metà di quella dei regolari, e un tasso di irregolarità superiore al 15% del totale degli occupati. E anche su questo ci dice dove sono: la maggiore incidenza di irregolari è stimata nel lavoro domestico al 58,6%, nel settore agricolo al 30,7%. Esistono dunque sia settori in cui il minimo contrattuale è tropo basso, sia settori in cui semplicemente i contratti non vengono applicati. Ora veniamo al punto: perché il salario minimo per legge non appare la soluzione migliore? Primo: l’esperienza di diversi Paesi a bassa copertura contrattuale indica che, una volta stabilito un tetto per legge, si scatena la gara politica ad alzarlo a scopi elettorali, non numeri alla mano. La Banca di Spagna ha realizzato studi sull’effetto dell’incremento del 22% del salario minimo legale deciso dal governo spagnolo nel 2019: una riduzione degli occupati “legali” dal 6 all’Il% nella fascia di lavoratori cui si applicava la misura che era solo il 10% degli occupati, quindi tra 0,6% e 1,1% in meno sul totale degli occupati regolari.
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Ma il salario minimo serve davvero
Tra i contrari al salario minimo c’è Oscar Giannino, che spiega: “Nella scorsa legislatura Pd, 5S e Cgil condividevano con il ministro Orlando l’idea che il salario minimo per legge non debba riguardare il trattamento economico minimo contrattuale, il TEC come si dice in gergo. Bensì il TEM: il trattamento economico complessivo, comprendente TFR, premi produttività, bonus e welfare aziendale. Ma in questo mondo va a farsi benedire la virtuosità della contrattazione tra parti sociali che l’Europa ci dice di difendere. Sarebbe la politica, a decidere discrezionalmente l’intera retribuzione. Terza ragione di inopportunità: si può decidere per legge senza tenere in alcuna considerazione l’andamento della produttività, di settore e aziendale. In un Paese come l’Italia, da 25 anni a produttività stagnante, è un errore capitale. Lo ha più volte ricordato la Banca d’Italia, anche nelle sue considerazioni finali della settimana scorsa Visco ha ripetuto che la via vera per gli aumenti salariali è la crescita ella produttività”.