“Migliora l’ottimismo delle imprese, sia nel manifatturiero che nei servizi. L’indice composito Pmi per l’Eurozona è ormai diversi punti sopra il livello raggiunto a febbraio 2020, cioè prima della brusca frenata dovuta allo shock da Covid. Nonostante ciò, le stime del Pil per il primo trimestre sono ancora una volta in rosso: La media degli analisti prevede una variazione trimestrale di circa -0.8% (equivalente a -2% su base annua)”. Il commento di Alessandro Tentori, cio Axa Im Italia.
Ancora una volta, l’Eurozona si ritrova a svolgere il ruolo di fanalino di coda. Il ruolo di un’area economica e monetaria, che il compianto Bob Mundell definirebbe sub-ottimale, molto attenta alle regole e al galateo industriale, ma meno propensa all’innovazione e alla produttività.
Nel frattempo, sia la Cina che gli Stati Uniti veleggiano con forte vento in poppa. Nel primo trimestre, la Cina ha fatto registrare una accelerazione del Pil di +0.6%, che si aggiunge alla revisione al rialzo dei dati per il quarto trimestre 2020. L’effetto di base si fa sentire parecchio sulla crescita annuale, che con un +18.3% sconta il fatto che l’epidemia abbia avuto un effetto anticipato sull’economia cinese. Gli Stati Uniti non sono da meno con una stima per il Pil del primo trimestre che gira intorno a +6.9% (dato annualizzato, equivalente a circa +1.7% trimestrale).
Tutto ciò si traduce in una graduatoria del PIL per l’anno in corso – stimata dagli economisti di Axa Im – che vede la Cina saldamente al comando con +8.5%, seguita a ruota dagli Stati Uniti (+6.9%) e da quel Regno Unito (+5.3%), che i vertici del pensiero eurofilo davano per spacciato in caso di Brexit. L’Eurozona dovrebbe crescere del 3.8% nel 2021. Rispetto alla media degli ultimi venti anni (+1.2%) parrebbe trattarsi di un ottimo risultato. A mio avviso, però, è necessario tenere conto di due fattori:
Il rimbalzo del Pil previsto per quest’anno fa seguito a una contrazione del 6.6% nel 2020. Nel World Economic Outlook di aprile, il Fondo Monetario Internazionale prevede che gli Stati Uniti possano tornare ai livelli di attività economica del 2019 entro la prima metà del 2021. L’effetto di “scarring” potrebbe essere invece più marcato in Europa, dove la chiusura della forbice con il 2019 è prevista solo per la fine del 2022.
Sul Pil europeo gravano le incognite dello stimolo fiscale del Piano di Ripresa e di Resilienza. Non solo le tempistiche degli investimenti, ma anche l’incidenza degli investimenti stessi sul Pil e la corretta identificazione dei settori dominanti del futuro (e non del presente) sono fattori che contribuiscono a aumentare l’incertezza del risultato finale.
Ovviamente, il quadro economico globale rimane passibile di una sostanziale revisione, alla luce di un eventuale riacutizzarsi della crisi sanitaria, che comporterebbe un ulteriore ritardo delle riaperture e quindi una inversione di tendenza sul tema dei cosiddetti “reopening investments”.
Inoltre, non è ancora del tutto chiara la traiettoria dell’inflazione: Se da un lato i mercati si mostrano tranquilli rispetto agli effetti più strutturali o permanenti di uno shock sincronizzato da domanda e da offerta (in particolare negli Stati Uniti), dall’altro lato preoccupa non poco la resilienza dei prezzi delle materie prime, non solo in ottica di sviluppo generale dei prezzi al consumo, ma anche nel contesto delle politiche monetarie estremamente generose che tuttora sono in atto nelle economie avanzate.