Concorsi pubblici disertati dai candidati; dimissioni di massa dai posti di lavoro meno pagati; difficoltà estreme a reperire manovali, camerieri, operai generici. E’ l’ultima follia di un paese debosciato.
L’allarme del ministro Giovannini
I sociologi del mainstream, quelli perbenissimo, sono tutti lì in gramaglie, a farfugliare stupidaggini sul “work life balance” e sulle legittime aspettative dei giovani ad avere occupazioni gratificanti e ben pagate, che chissà perché dovrebbero legittimare anche il parassitismo ai danni dello Stato e dunque la colpa è di Pantalone che paga poco…
Tre giorni fa, l’apoteosi: il ministro Giovannini – che, ricordiamocelo, è un economista statistico, è stato presidente dell’Istat, e quando parla di tendenze sociali lo fa a buon diritto – ha lanciato un chiaro allarme: “Recenti assunzioni per motorizzazioni e provveditorati sono andate in parte deserte, in particolare al Nord – ha detto in un’audizione alla Camera – una quota consistente ha rinunciato, evitando di prendere servizio a meno che non fosse indicata una sede al Sud. La stessa cosa temiamo che accada per il primo concorso rivolto agli ingegneri”.
I divanati al lavoro preferiscono il RdC
Se a questo aggiungiamo che un’azienda pubblica importante e solida come Open Fiber cerca 5000 manovali per i suoi cantieri, non solo al Sud, e non li trova; e che nei capoluoghi turistici del Sud, a cominciare da Napoli, è veramente difficile trovare in un ristorante un cameriere italiano… qualcosa si deve per concludere.
E la conclusione è desolante. Anche – ma non solo! – a causa di quella bestemmia all’intelligenza e al senso civico che è il reddito di cittadinanza così come lo vollero i Grillini, oggi il lavoro è sempre più vastamente percepito come un diritto senza corrispettivo di doveri, e tra i giovani, che i perbenissimi chissà perché considerano sempre “più intelligenti di noI”, alligna la suicidaria convinzione che un lavoro migliore prima o poi si troverà.
Nossignore: lo troveranno – per loro senz’altro migliore – i profughi ucraini e gli immigrati africani, meritatamente se lo prenderanno e gli italiani resteranno disoccupati, e il welfare che oggi li sfama evidentemente fin troppo non basterà, e forse educativamente dovranno tornare nei posti dove avevano snobbato un’assunzione e pietirla. E lo troveranno i robot che diligentemente l’industria digitale sta costruendo per soppiantare una generazione di divanati che, semplicemente, non ha voglia di lavorare.
Draghi critica Superbonus ma non RdC
Noi baby-boomers e generazioni precedenti (e seguenti) abbiamo evidentemente tirato su dei “millennials” convinti appunto di avere, rispetto al lavoro, solo diritti e nessun dovere. Il dovere in particolare di lavorare e non rendersi parassiti, innanzitutto della propria famiglia, per quanto papà e mammà possano piagnucolare: “Bello nostro, statti qua, non ti meritano quelli là”. E poi, e soprattutto, dello Stato.
Un diffuso parassitismo che ha trovato appunto nel reddito di cittadinanza la sua configurazione istituzionale, la sua apoteosi. Fa davvero specie che l’austero e rigoroso governo Draghi, il cui ministro Franco non ha esitato a definire come “la più grande truffa degli ultimi anni” il bonus del 110% voluto da Giuseppi (cit. Donald Trump) Conte, non abbia fatto una piega riguardo a quella truffa popolare – venghino venghino signori – che sono, con tutta evidenza, i 160 mila redditi erogati nella sola città di Napoli, coinvolgendo 430 mila persone, quante in tutto il Nord Italia. Un insulto alla Costituzione, alla Repubblica, ai cittadini perbene. Una cuccagna su cui però, guarda caso, il governo non ha detto niente: forse perché quei voti stanno a cuore a tutti?
Al Sud con la Naspi vivi meglio che al Nord
Poi, certo: le gabbie salariali, cioè quel sacrosanto meccanismo per il quale i salari cambiavano in funzione del costo della vita molto diverso nelle varie zone e città d’Italia, sono state abolite tra il ’69 e il ’72, e andrebbero evidentemente ripristinate: nessuno ignora che il costo della vita inteso nelle sue componenti essenziali – vitto e alloggio – al Nord è di almeno il 30% più caro che al Sud, ma questo non toglie ai giovani meridionali l’obbligo morale di prenderselo, un lavoro, quando gli arriva, in chiaro e contrattualizzato, e non di restarsene al calduccio di mammà e con un reddito di cittadinanza, o anche una Naspi, che nell’insieme gli portano un tenore di vita migliore di quello di cui godrebbero a Sacile del Friuli o a Carmagnola in Piemonte, pur con un contratto regolare.
Lo Stato lassivo: lunga vita ai divanati
Questa gente fa un arbitraggio erariale: da una parte un reddito certo senza far niente, poco spese (e a volte nessuna spesa) e arrotondamenti in nero; e dall’altro un orario regolare, faticoso, e un reddito avaro. E resta a casa, divanato, ma anche benestante, perché integra col nero, che prospera – con buona pace dell’Agenzia delle Entrate e della sua smaterializzazione digitale – perché lo Stato non c’è, non c’è a Prato per prevenire gli infortuni sul lavoro, non c’è a Villa Literno a colpire i nuovi schiavisti che lucrano sul buonismo delle Ong e sulla disperazione dei ragazzi del centro Africa, non c’è a bloccare i caporali in Puglia, non c’è e basta. E chi vuole fare soldi in nero, li fa.
Una volta doveva steccare qualche finanziere, qualche agente corrotto. Adesso manco li vede più, semplicemente non vanno in giro, semplicemente non fanno controlli. E quando ci scappa il morto, lo Stato “si costerna, d’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”. Quindi, lunga vita ai divanati con doppio reddito, metà pagato da chi lavora e metà dal mercato nero.
E intanto Draghi, Franco, Orlando e gli altri lavorano al Pnrr, che suona sempre più sinistramente come il codice fiscale della Grande Pernacchia.