Con l’avvicinarsi delle Feste, qualcosa di inspiegabile spinge i consumatori a spendere di più anche per il cibo, nessun sociologo potrà spiegare meglio ciò che l’euforia e la gioia che circondano il Natale sanno fare: scatenare i neurotrasmettitori che regolano il nostro stato di benessere, come dopamina e serotonina. E – a meno che non si tratti di un caso di tirchieria patologica – tutti ci lasciamo andare a spendere un poco di più per cene, regali e festeggiamenti vari. Rispetto al passato, si spende meno per gli addobbi, ma di più per cibo e regali: così almeno ci dicono i dati di Natale 2018 che vedeva già i consumi a +2,5%, pari a 10,2 miliardi di euro (dati Codacons). Così, ci siamo divertiti a fare un elenco dei cibi più preziosi al mondo, sogno innegabile di ogni gourmet, immaginando quindi un commensale fortunato che abbia a disposizione un budget illimitato per una fiabesca e pantagruelica cena per due. Per cominciare una dozzina di gamberi o di ostriche. Per i gamberi, si può scegliere la provenienza: da Santa Margherita Ligure, dal retrogusto di fungo porcino; da Gallipoli, dal colore violetto; da Mazara del Vallo, rossi e dolci come il miele. Il costo si assesta da 60 a 80 euro al chilo. Da consumarsi rigorosamente crudi.
Altro che stagnazione dei consumi: anche lo scorso anno gli acquisti natalizi sono cresciuti del 2,5%, toccando quota 10,2 miliardi di euro
Le ostriche, invece, non sono da sempre cibo di lusso. Agli inizi del XIX secolo erano economiche come patatine, considerate cibo working-class. Con il tempo sono diventate sempre più rare. Una delle tipologie più costose si chiama Bluff, dalla piccola località marittima della Nuova Zelanda. Ma esistono anche le Ostriche di Coffin Bay, chiamate “bistecche dell’oceano” per via del peso, di quasi un chilo, allevate nella Coffin Bay farm nell’Australia meridionale: possono crescere anche sei anni e costano circa 60 euro l’una. Diciamo che sono fuori calibro. Più abbordabile è la Speciale “David Herve”, massima espressione della tecnica di affinamento. Dopo essere cresciuta nel parco marino, viene spostata per l’affinamento nelle claires (bacini scavati nell’argilla nei quali sono coltivate) per 8 mesi. Il risultato è un mollusco dal gusto pieno, croccante, iodato, con note vegetali e di nocciola. Non costa meno di 4 euro l’una, ammesso che riusciate a trovarle. Due miti da sfatare: non sono afrodisiache e non amano lo Champagne. Per semplice reazione chimica lo zinco delle ostriche e l’aggressiva acidità dello Champagne fanno a pugni. Meglio un bicchiere di Muscadet della Costa Atlantica. Segreto: mai mangiare un’ostrica asciutta che, se lasciata riposare, non produce altra acqua.
L’ostrica va assaggiata in purezza adagiandola sul dorso della mano e non va mai mangiata asciutta: se lasciata riposare si disidrata
L’associazione classica con il lusso è il caviale: per la nostra cena ne prevediamo in abbondanza, almeno 30/40 grammi a testa. Come per l’ostrica il gourmet lo assaggerà in purezza, appoggiandolo sul dorso della mano alla maniera dei veri intenditori. Il caviale odia i metalli, tranne l’oro o la madreperla. Il più caro è Almas Caviar, dal colore perlaceo; deriva dal raro storione albino beluga, pare sia uno su 6.000, e il numero di questo pesce, in diminuzione negli ultimi anni, lo rende ancora più raro. Secondo il Guinness World Records si compra a 20 mila euro nella scatola d’oro 24 carati, in vendita alla Caviar House & Prunier a Londra o Dubai. Ma un gourmet della Penisola non ha bisogno di andare lontano: il maggior produttore di caviale è italiano, si chiama Agroittica Lombarda; dopo oltre 40 anni di esperienza produce 28 tonnellate di preziose palline nere in un anno. E di un cubetto di terrina di foie gras, un altro dei cibi più cari al mondo, si vorrà forse privare la lista delle vivande? Giammai, ma che sia etico, perchè molti Paesi oggi hanno leggi contro la pratica e la produzione, l’importazione o la vendita di foie gras. Il quale, ricordiamo, è un paté costoso a base di fegato d’anatra o d’oca, ingrassato forzatamente, fino a dieci volte le dimensioni normali. Il sapore è immenso, burroso e delicato. Fortunatamente ci sono produttori che alimentano le oche in maniera naturale, per esempio l’agricoltore spagnolo Eduardo Sousa: le sue banchettano con una dieta di fichi e ghiande. Una prelibatezza da 700 euro al chilo. Etico anche il metodo di Diego Labourdette, che da buon francese amante di foie gras si è trasferito in Spagna per produrlo (il barattolo da 125 g di foie gras ha un prezzo di 120 euro).
Non se ne vogliano i produttori di prosciutto crudo made in Italy, qui non si parla di qualità ma di prezzo poiché il gioco è che la cena sia composta dei cibi più cari in assoluto: il prosciutto più caro al mondo è lo Jamón Ibérico de Bellota, prodotto da maiali allo stato brado che si nutrono di ghiande, nella Spagna centrale e meridionale. Il migliore ha un’etichetta nera e può costare anche migliaia di euro. Una volta macellata, la carne viene appesa per almeno due anni, producendo carne rosso scuro, incredibilmente dolce, dal sapore di frutta secca e erbe aromatiche.
Il tartufo, la nostra coppia di ghiottoni l’affetterà su un tagliolino tirato a mano e condito solo con burro di malga. Che sia raccolto ad Alba nelle Langhe, ad Acqualagna nelle Marche o a Savigno sui Colli bolognesi, l’importante è che il tartufo sia bianco e ben conservato (mai nel riso, ma avvolto in carta assorbente e chiuso in un barattolo di vetro). Diffidate del ristoratore che non ve lo porta in tavola con una piccola pesa e l’apposita mandolina: solo così potrete osservarlo e annusarlo a dovere. E dosarlo secondo il vostro portafogli. Quest’autunno si presenta come buona annata e si potrà acquistare con 250-300 euro all’etto. Perché così caro? Semplice, perché il tartufo non può essere coltivato, nasce solo spontaneamente, nonostante qualche tentativo da parte della Cina. È questa imprevedibilità, dovuta al clima, è il Fattore X che rende unico il prodotto.
La carne giapponese più cara del mondo è la kobe beef dei manzi di tajima-gyu nutriti a birra e sake: costa dai 250 ai 400 euro al chilo
Un paio di etti a testa di Kobe Beef, la carne giapponese più cara al mondo, costituiscono un’ulteriore portata dela cena hollywoodiana. Il costo è circa 250/400 euro al chilo. La carne di Kobe deve provenire da bovini Tajima-gyu nati, allevati e trasformati nella prefettura di Hyogo, con una valutazione di marmorizzazione di sei o più su una scala di 12 punti. Ciò che rende costoso questo taglio è il fatto che proviene da animali giapponesi curati come neonati e alimentati con birra e sake, il che si traduce in un’intensa marmorizzazione della carne. Che durante il processo di cottura la rende tenera, succulenta, che si scioglie sul palato a una temperatura inferiore rispetto alla carne di manzo convenzionale, senza contare un profilo aromatico più ricco e burroso. Allo stesso tempo, è ricca di acidi grassi insaturi come gli acidi oleici, il che rende questo manzo anche più sano. Solo circa 3000 animali si qualificano, ogni anno, come carne di manzo di Kobe, spingendo i prezzi di questa carne premium ancora più in alto.
E per finire una dozzina di lamponi farciti con qualche goccia di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop. Una bottiglietta di aceto invecchiato 100 anni, in botti di ciliegio e distillato alla perfezione grazie alle tradizioni familiari tramandate da generazioni, non ha prezzo, perché il Tempo è un bene prezioso; parte da 100 euro e sa inondare con effluvi di ciliegia, cacao, miele e vaniglia. Non può mancare qualche tocco luminoso, ma edibile, come i fogli d’oro: gli stessi che Gualtiero Marchesi usava per il suo leggendario “risotto oro e zafferano”. Si applica sollevando con una pinza alcuni lembi d’oro da 25 foglietti da 8 cm, costano 90 euro circa. Costo totale della cena, circa 170 euro a testa, la stessa cifra che si spenderebbe per un blasonato cenone di fine anno, ma siamo sicuri che a parità di spesa la qualità del cibo sarebbe la stessa?