Se uno non sapesse quanta sostanza – quanto pensiero, quanti investimenti, quante persone – c’è dietro il marchio Amplifon, potrebbe pensare che sia una “favola bella” del capitalismo. Di quelle non rare, che rappresentano più di quanto contengano. E invece no. Invece, quest’azienda italiana ma globale, che risolve problemi a 1 milioni di clienti all’anno, dà lavoro a 20 mila persone, vale 7 miliardi in Borsa fatturandone più di 2, sforna innovazione a getto continuo ed è stata classificata da Newsweek tra le 100 imprese e più amate del mondo dai loro dipendenti è… una storia vera, costruita giorno dopo giorno e mattone dopo mattone dal 1950 in qua senza una sola battuta d’arresto.
La seconda buona notizia è che, con una posizione di liquidità di oltre 800 milioni di euro (includendo liquidità disponibile e linee committed non utilizzate) – di cui 300 concessi recentemente dalla Bei ed altri pregessei – non ha alcuna intenzione di rallentare la propria strategia di crescita globale, anche per linee esterne, che già oggi la rende leader con una quota di mercato del 12%, ed anzi intende accelerarla in aree chiave come gli Stati Uniti, la Cina, l’Australia e il Canada (dove è stata recentemente perfezionata l’acquisizione di Hometown Hearing Centre), senza ovviamente dimenticare l’Europa.
D’altronde – giusto per ricordarlo – oggi Amplifon significa oltre 9.300 punti vendita e più di 10.000 audioprotesisti (i tecnici specializzati nella cura dell’udito) tra i suoi collaboratori, attivi in 25 Paesi di 5 continenti. Una rete senza eguali non solo in questo settore. Una rete che in Italia, dove l’azienda nacque 73 anni fa, conta oltre 750 negozi, in un mercato comunque molto concorrenziale.
«Sono stato di recente in Cina e Australia e ne sono tornato con un’ulteriore carica di ottimismo», ha detto in una recente intervista l’amministratore delegato del gruppo Enrico Vita (inserito come “Best Ceo” del settore Medical Technology & Services “MedTech” in Europa per i rapporti con la comunità finanziaria nell’ambito dell’ultima classifica annuale di Institutional Investor).
«Essere globali – ha sottolineato Vita – significa anche poter compensare l’eventuale ciclo negativo di un mercato cavalcando quello positivo di altri, e in questo senso i mercati dell’Asia e del Pacifico per noi sono molto importanti».
E la Cina? Già oggi, l’insegna Amplifon campeggia su 250 negozi della Repubblica popolare, ad appena cinque anni dall’insediamento del gruppo. Altri, nel settore, avevano invece fallito l’esordio, e dunque queste premesse sono eccellenti: «In Cina solo il 5% di chi ne avrebbe bisogno utilizza già una protesti acustica», ha sottolineato Vita.
Tantissima acqua è passata sotto i ponti di questi 73 anni di vita aziendale, da quel seminterrato di via Cerba, nel cuore di Milano, dove nel 1950 Algernon Charles Holland, ex soldato inglese che partecipò alla liberazione dell’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, intraprese la sua attività cominciando dal nulla, assolutamente convinto che i danni all’udito, così frequenti tra i reduci e tra i cittadini lambiti dai bombardamento, fossero un dramma da curare con le primissime protesi.
E aveva ragione: oggi, tutti gli studi medici internazionali confermano che l’ipoacusia non trattata può essere collegata all’insorgenza di gravi condizioni croniche, in particolare il declino cognitivo (con una probabilità più che tripla di sviluppare una qualche forma di demenza, mentre 3 pazienti su 4 con deficit cognitivi hanno anche problemi di udito). In più oggi, per la stretta correlazione tra esposizione a fonti di rumore elevato, 1,1 miliardi di giovani sono a rischio di calo uditivo a causa di pratiche di ascolto non sicure, secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità). Eppure non tramonta, in una parte degli ipo-udente, l’infondato timore di uno stigma sociale all’idea di utilizzare una protesi, mentre il 70% di chi l’ha adottata dichiara di non essere mai stato preso in giro per questo.
La verità è che Amplifon è un’azienda invidiabile, perché in un mondo spesso drogato dalla ricerca della crescita fine a se stessa, ha come ragione sociale l’espletamento sempre più capillare di una funzione utile alle persone, con una spiccata vocazione a quell’area cruciale per la vita che sono le relazioni umane, che vengono inibite dall’ipoacusia e riattivate dalla protesistica. Ed è un’azienda invidiabile anche perché la costanza della crescita è stata (ed è) mirabilmente accompagnata dalla stabilità proprietaria: oggi gli eredi del fondatore, rappresentati dalla figlia Susan Carol Holland, presidente di Amplifon (nonché di Fondazione Amplifon, la onlus del gruppo che si occupa di inclusione sociale), ancora controllano la società, con il 59% dei diritti di voto, anche se hanno voluto impostare la governance nel modo più aperto, con il 55% di membri del board di sesso femminile e il 44% dotato di provate competenze sui principi Esg e sul cambiamento climatico. Nel management sono donne il 44% del totale mentre nell’organico complessivo addirittura il 72%.
Del resto, la sostenibilità è al centro della gestione: l’energia consumata dall’azienda proviene per il 50% da fonti rinnovabili; e il consumo di batterie nei dispositivi è stato drasticamente ridotto – con 194 milioni di pezzi in meno ogni anno! – grazie alla promozione dei modelli di protesi ricaricabili. Anche qui, fatti concreti. E anche da qui, senza dubbio, molti riconoscimenti: Top Employer per il 2023 in Europa, negli Usa e in Nuova Zelanda, e top-100 nella classica “World’s Best Companies” elaborata da Statista per Time.
È anche alla luce di un simile palmares che colpisce la determinazione a crescere ancora e a non sedersi sugli allori: «Il nostro è un mercato resiliente, con una traiettoria di crescita costante nel medio-lungo periodo», sottolinea infatti Vita. Che da quando ha preso le redini dell’azienda, nel 2015, è riuscito a condurre l’azienda oltre la soglia dei 2 miliardi di fatturato lo scorso esercizio, nonostante lo tsunami mondiale del Covid, con una crescita della capitalizzazione di Borsa di circa sei volte. Un successo legato anche all’altro pilastro della strategia di gruppo: l’innovazione. Non solo nella qualità correttiva dei dispositivi – naturalmente il primo requisito – ma anche a livello organizzativo, dove per questo il gruppo ha creato una divisione ad hoc: si tratta di AmplifonX, una startup interna creata per accelerare la strategia di innovazione digitale dell’azienda, oggetto di un investimento di 150 milioni di euro nel triennio 2022-2024. Operando proprio come una startup, sia pure interna, che gravita su due hub – Milano e Napoli – AmplifonX è responsabile della progettazione, creazione e sviluppo end-to-end di prodotti e tecnologie Amplifon. Il team di AmplifonX è composto da oltre 60 talenti.
E c’è un altro fronte di impegno, anch’esso a metà tra business e sociale – la famosa “s” dei principi Esg – la silver economy, tutti i servizi dedicati ad una terza (e quarta) età che sta incrementando la sua incidenza nel totale della popolazione. Nel luglio scorso, Amplifon è entrata in qualità di main partner in Next Age, il primo acceleratore in Europa dedicato allo sviluppo delle startup orientate alla Silver Economy, parte della Rete Nazionale Acceleratori Cdp Venture Capital. Questa iniziativa consentirà all’azienda di entrare in contatto e collaborare con nuove startup italiane e internazionali del settore, ovviamente in particolare nell’hearing care.
Una zoomata infine la merita la Ampli-Academy, piattaforma di e-learning accessibile da tutti i dipendenti del gruppo. Attraverso la piattaforma è possibile fruire di oltre 20.000 corsi online disponibili in diverse lingue, e in più strumenti di mentorship e coaching e programmi focalizzati sul rafforzamento di competenze digitali e strategiche. Nel 2022 sono state dedicate oltre 400.000 ore alla formazione delle persone Amplifon.