di Vincenzo Petraglia

Il pianeta non sta bene, e questo è un dato di fatto, motivo per cui non è più proponibile perpetuare modelli di business e stili di vita, fra cui anche quelli alimentari, responsabili di notevoli emissioni di gas serra e dell’erosione di molte risorse ambientali, come l’acqua, destinata a scarseggiare sempre di più. Che sia per motivi etici o per puro spirito ambientalista o per mere motivazioni legate alla propria salute (è scientificamente provato che uno stile alimentare plant-based, basato cioè su verdure, legumi, cereali e frutta, è più salutare rispetto a una dieta che prevede un forte consumo di carne), stili alimentari come quelli vegano e vegetariano si stanno facendo sempre più largo. 

Un trend che sta attirando sempre più investimenti, all’interno del comparto del food-tech, indirizzati alle proteine alternative. Secondo il Good Food Institute, il capitale di rischio investito nelle proteine alternative è passato da 1 miliardo di dollari nel 2019 a 5 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del tasso annuo del 124%, con una crescita anche degli investimenti in aziende specializzate in nuove tecnologie come le proteine da fermentazione (+137% dal 2019 al 2021) e a base di cellule animali (+425%). Un business certamente, ma anche una necessità, visto che l’agricoltura animale finalizzata alla produzione di carne è responsabile del 15% delle emissioni totali, pari all’incirca a quelle del settore dei trasporti, e che per un chilo di proteine animali occorre un volume d’acqua 15 volte maggiore di quello necessario alla produzione della stessa quantità di proteine vegetali (a titolo d’esempio, per una bistecca bovina di un chilo servono 15mila litri di acqua). 

Uno scenario che sta decretando grande dinamismo nel food-tech con molte startup nate con la mission di trovare soluzioni alimentari innovative. Fra queste, l’italianissima Vegan Marvel, che coniuga tradizione alimentare del Belpaese, legata quindi alla dieta mediterranea, e tecnologia, proponendo piatti pronti gourmet rigorosamente vegani e confezionati secondo un’avanzata tecnologia di conservazione. Una realtà, la Vegan Marvel, creata da Sonia Raule Tatò, con un passato alle spalle da modella, organizzatrice di mostre di arte contemporanea, autrice, conduttrice e produttrice televisiva, scrittrice e moglie del top manager Franco Tatò, insieme con la figlia Carolina (studentessa di Scienze biomediche al King’s College di Londra, specializzanda in Dietologia) e Davide D’Onofrio, giovane chef pugliese che può vantare un’importante esperienza internazionale anche con stellati quali Giancarlo Perbellini e il ristorante El Celler de Can Roca di Girona, in Spagna.

Innanzitutto, come si colloca la vostra startup rispetto al macro trend del food-tech alla ricerca di proteine alternative?

Sonia Raule Tatò: L’incontro tra industria agroalimentare e nuove tecnologie digitali ci porterà a guardare in modo differente il mondo del food. È in atto un cambiamento radicale: rendere i prodotti di qualità più accessibili a tutti e far sì che la produzione agricola diventi più sostenibile. L’incontro tra due mondi che fino a poco tempo fa sembravano aver poco a che fare e oggi strettamente interconnessi nasce da una forte esigenza del nostro tempo: il consumatore contemporaneo chiede a gran voce prodotti alimentari sicuri, sani, facilmente tracciabili. Microrganismi, funghi e lieviti geneticamente modificati saranno programmati per produrre qualunque tipologia di molecola: dalle proteine animali come la caseina fino ai carboidrati. Ovvero latte senza allevare mucche o uova senza avere galline. E poi spazio alle proteine “sintetiche”, fatte crescere in laboratorio, cioè bistecche o cosce di pollo non tagliate da un animale, ma cresciute a partire da poche cellule animali. Parallelamente a questo binario, così importante per garantire un futuro migliore alla popolazione mondiale, noi ci poniamo un obiettivo differente, ma altrettanto essenziale. Possiamo dire che il fine sia il medesimo, ma vorremmo mantenere viva la cultura delle nostre tradizioni, della nostra cucina e delle nostre origini. Diciamo che agli italiani la definizione di “cibo sintetico” suona un po’ gelida, noi vorremmo creare dei piatti plant-based che diano ancora delle emozioni, che facciano innamorare. Ci piacerebbe dire qualcosa di nuovo, ma che poi nel palato lasci la sfumatura di un sapore che si ricordi. I nostri piatti sono sostenibili e nutrienti, e con le nostre ricette gourmet vorremmo anche ispirare creatività nelle persone che vogliono imparare a mangiare in modo più sostenibile traendone anche benefici nutrizionali. Essi vengono conservati con la tecnologia HPP, ovvero high pressure processing: consiste nel mettere un piatto sottovuoto e applicare una pressione isostatica di 6,000 bar. Questo genere di pressione rompe i legami non-covalenti degli alimenti, danneggiando le membrane dei microrganismi, e di conseguenza abbattendoli. Le molecole dei sapori e le vitamine invece, composte da legami covalenti, rimangono inalterate. Una soluzione brillante alla richiesta del mercato di prodotti freschi con i loro sapori intatti e una lunga shelf-life.

La dieta mediterranea è il pilastro su cui si basa la vostra proposta…

Carolina Tatò: Il cibo accomuna la nostra salute a quella del pianeta, e mangiare in compagnia ci collega l’uno all’altro. Il cibo è quindi l’ultimo anello della catena che arriva sulla nostra tavola e ci riporta alle nostre radici. Ecco perché il cibo è l’oggetto da cui possiamo iniziare ad affrontare alcuni dei problemi più urgenti del mondo. Molti ignorano quanto la produzione di carne e derivati animali possa gravare sul nostro pianeta. Infatti, un gran numero di terre viene destinato alla coltura di mangime, per nutrire gli animali da allevamento. Questo comporta grande consumo di acqua e sottrae spazio alla coltivazione di alimenti destinati agli umani, aumentando la malnutrizione nel mondo. Per un chilo di proteine animali occorre un volume d’acqua 15 volte maggiore di quello necessario alla produzione della stessa quantità di proteine vegetali. L’alimentazione plant-based è ricca di cereali, legumi, semi, noci, verdure e frutta, in grado di dare al nostro organismo tutto ciò di cui ha bisogno. Questi ingredienti sono alla base della dieta mediterranea e delle nostre ricette più tradizionali. Evitare la carne e i suoi derivati non significa impoverire il nostro piatto, ma renderlo più appetibile e ricco di sapori.

Un Paese come l’Italia, così ricco di biodiversità, può giocare un ruolo importante in uno scenario globale che impone di rivedere i nostri stili alimentari…

Carolina Tatò: Il consumatore deve essere consapevole che sostituire anche un solo pasto a settimana a base di carne con un piatto tipico della dieta mediterranea fa risparmiare 180 kg di CO2 l’anno e che la produzione di un chilo di pomodori fuori stagione in serra rilascia 70 volte più CO2 della stessa quantità di pomodori prodotta in un campo (rispettivamente 3,5 e 0,05 kg di CO2). Ed è bene che sappia che per alimentarsi quotidianamente il consumo d’acqua varia da 1.500-2.600 litri, nel caso di una dieta vegetale, a 4-5mila litri per una ricca di carne: una dieta “idrovora”, troppo ricca in grassi animali e zuccheri, è negativa per le risorse idriche del pianeta e per la nostra salute.

Nei confronti del plant-based ci sono ancora tanti falsi miti da sfatare, come per esempio quello che vede le proteine animali nettamente migliori di quelle vegetali. Invece…

Sonia Raule Tatò: Un numero sempre più alto di persone sceglie una dieta prevalentemente vegetariana. La pandemia Covid-19 ha accresciuto questo trend, aumentando il desiderio di mangiare cose più salutari e di provare nuovi piatti ed ingredienti plant-based. Chi approccia questo nuovo stile alimentare rischia in effetti di imbattersi in parecchi falsi miti. Molti credono che l’unica alternativa alla carne sia il tofu, a lungo visto come piatto simbolo del mondo vegetariano/vegano e criticato per la sua mancanza di gusto. In realtà ci sono molti altri prodotti sostitutivi dai gusti più decisi, dalla consistenza simile a quella della carne e impiegabili per una vasta varietà di ricette. Certamente seitan e tempeh, ma anche tante combinazioni di fagioli, ceci, lenticchie e cereali, così come le verdure, riescono a dare tutti gli amminoacidi essenziali necessari. Tutto ciò si trova sia nei prodotti food tech che nella cucina classica mediterranea.