In Italia le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ hanno maggiori difficolta a fare carriera in azienda. Lo rivela la ricerca “Inclusivity at Work” di Bain & Company Italia, dal quale emerge che 3 persone su 10 in Italia pensano che fare coming out sul lavoro possa influire negativamente sulle relazioni e sulla possibilità di avanzare professionalmente. Lo studio, focalizzato sull’inclusione e sulle politiche a favore della comunità LGBTQ+ nelle realtà aziendali del paese, é stato realizzato nel mese dedicato al Pride 2023.
Pride 2023, i talenti LGBTQ+ discriminati sul lavoro
Le aziende dovrebbero attuare una strategia di Diversity, Equity & Inlcusion distintiva e concreta, che consente di ottenere un vantaggio competitivo in tutti i settori merceologici. Solo 4 aziende italiane su 10 hanno istituito una funzione formale dedicata a questo tema, con un gap significativo fra i diversi settori. I servizi professionali, ad esempio, risultano più avanti nel percorso verso la completa inclusione, con una penetrazione di 6 aziende su 10, contro il settore edilizio dove questa area esiste solamente in 2 realtà su 10. Lo studio evidenzia una persistente difficoltà nel fare coming out sul luogo di lavoro: meno di 1 persona su 2 dichiara il proprio orientamento all’interno dell’azienda. Nel nostro paese si stima una popolazione LGBTQ+ pari al 10% del totale, eppure, guardando alle realtà aziendali, questa rappresentanza cala drasticamente.
Meno di 1 persona su 2 fa coming out in azienda
“Guardando specificatamente ai talenti LGBTQ+, le aziende del paese hanno iniziato un percorso verso la piena inclusività. Tuttavia, dal mercato emergono segnali di un cammino ancora lungo”, dichiara Emanuele Veratti, partner di Bain & Company e founder di Bglad in Italia. “E’ necessario ingaggiare i talenti LGBTQ+ a 360°, attraverso proposte e iniziative corporate disegnate su bisogni specifici. Leve tradizionali, come la retribuzione e carriera, rimangono importanti per attrarre e trattenere i talenti LGBTQ+, ma non più sufficienti. Le giovani generazioni considerano infatti fondamentale un ambiente inclusivo in cui sentirsi a proprio agio e chiedono alle aziende di dare una risposta concreta a queste necessità. In questo scenario, benefit e servizi a supporto degli individui LGBTQ+ assumono un ruolo differenziante per l’offerta delle aziende nel mercato”.
Le aziende devono essere più inclusive
Le aziende possono attuare diverse iniziative per rendere il luogo di lavoro ancora piú inclusivo. Il 60% degli intervistati ritiene le policy di non discriminazione il punto di partenza, ma elementi non sufficienti se isolati. Risulta infatti fondamentale sviluppare una cultura inclusiva, concreta e tangibile, intorno alla comunità LGBTQ+ attraverso attività di sensibilizzazione. Continuano ad essere fortemente diffuse le discriminazioni verso i lavoratori LGBTQ+. Due persone su tre immaginano di essere vittime o testimoni di discriminazioni o micro-aggressioni sul luogo di lavoro.
Continuano ad essere diffuse le discriminazioni
“Le aziende pensano di “adempiere ai propri doveri” verso la costituzione di un ambiente più inclusivo, ma spesso ci si ferma a normative e policy con un una portata limitata. L’ingaggio aziendale in eventi esterni o l’affiliazione a network, sono azioni ad alto impatto di comunicazione, ma difficili da tradurre in passi veri per un percorso di inclusività. Rimangono difficoltà nell’implementare un welfare realmente paritario, che spesso si concretizza tramite eccezioni individuali invece che con regole puntuali. L’inclusività deve avvenire invece attraverso la gestione dei talenti con politiche di attraction e retention mirate”, conclude Veratti.
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