Il presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla

Secondo Eurostat nel 2050 ci saranno meno di due adulti in età lavorativa per ogni anziano e l’età mediana crescerà in media di cinque anni entro la fine del secolo. Basterebbero questi due dati per far capire il tema delle pensioni. Ma sono tantissimi i numeri che riguardano l’età del ritiro e che meritano di essere approfonditi. Secondo l’ultima indagine dell’Istat sulle condizioni di vita dei pensionati riferita agli anni 2018-2019, le persone che si sono ritirate dall’attività lavorativa sono poco più di 16 milioni; le pensioni erogate (perché ovviamente si possono sommare) sono 22,8 milioni, per un importo complessivo annuo di 301 miliardi di euro (poco meno di un sesto del pil), con un importo medio annuo delle pensioni di 13.194 euro. Siamo fra i Paesi con la più alta incidenza di spesa sul Pil. In Italia, Paese che invecchia più velocemente di altri, ci sono 602 pensionati da lavoro ogni 1000 lavoratori. Questo rapporto è migliorato rispetto a vent’anni fa, quando i pensionati erano 757. Non stupisce che il tema della sostenibilità del sistema complessivo sia ricorrente per i policy maker. Nel 2019 in Italia quasi una famiglia su due ha fra i suoi componenti un pensionato. Dal 2012, data di entrata in vigore dell’ultima riforma, aumenta però il peso di chi paga i contributi rispetto a chi percepisce la pensione. Inoltre, nel 2019 sono 420mila i percettori di pensione che continuano a lavorare. L’identikit di chi, pur pensionato, lavora ancora è: uomo, settentrionale, lavoratore indipendente, almeno 65 anni d’età. 

Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico

Naturale, dunque, che un tema così importante sia al centro delle agende delle associazioni di categoria, dei corpi intermedi e di qualsiasi altro stakeholder oltre agli enti preposti. Non deve neanche stupire che durante la prima riunione d’insediamento del nuovo Consiglio Nazionale di Federmanager, che si è tenuta a Roma lo scorso 10 dicembre, presieduta da Stefano Cuzzilla, sia intervenuto proprio il presidente dell’Inps Pasquale Tridico riconoscendo il ruolo cruciale dei manager nel sistema produttivo italiano: «Le politiche messe in campo con il Pnrr – ha chiosato Tridico – determineranno un accrescimento delle competenze e del capitale umano, in particolar modo negli ambiti dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione su cui i manager del pubblico e del privato sono chiamati ad essere protagonisti. Lavoriamo quindi anche con i manager per completare la 4° Rivoluzione Industriale. In questa complessa fase è doveroso ringraziare i manager, pubblici e privati, per aver dimostrato senso di responsabilità, grande competenza e tenacia nel contribuire ad accompagnare il Paese fuori dalla crisi. L’Italia ha messo in atto strategie efficaci che hanno smentito pregiudizi infondati con dati inoppugnabili».

A voler analizzare ancora meglio il mondo delle pensioni ci si rende conto che permangono diverse diseguaglianze. Nonostante le donne pensionate siano la maggioranza, le pensioni medie mensili degli uomini (pari a 1.897 euro) superano significativamente quelle delle donne (pari a 1.365). Il divario retributivo a livello territoriale si riflette nel dato pensionistico: le pensioni medie al Centro-Nord superano di poco i 1.700 euro, mentre quelle al Sud e Isole sono pari a 1.400 euro. Le prestazioni previdenziali rappresentano l’81% del totale e quelle assistenziali il 19%. La categoria più numerosa è rappresentata dalle pensioni di anzianità/anticipate con il 30,9% del totale, seguita da quella delle pensioni di vecchiaia con il 24,5% e dalle pensioni ai superstiti con il 20,5%, le prestazioni agli invalidi civili sono il 15,3% del totale; le prestazioni di invalidità previdenziale e le pensioni sociali sono rispettivamente il 5% e il 3,9%.

Il presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla, ha voluto rimarcare la posizione della sua associazione: «Come manager – ha detto chiediamo che sia attribuita crescente considerazione, anche in termini di politiche fiscali, ai temi della previdenza complementare e della sanità integrativa. Sono due cardini del nostro sistema di rappresentanza che, come dimostrato anche nella complessa fase pandemica che stiamo attraversando, si rivelano strategici per integrare proficuamente i servizi di previdenza e welfare garantiti dallo Stato. Le pensioni sono frutto del lavoro e vanno difese come va difeso il lavoro. In particolare chiediamo il rispetto per una categoria come quella dei manager che deve ricevere adeguato riconoscimento per l’impegno profuso anche per il complessivo sviluppo del Paese».

Il numero uno dell’Inps ha inoltre confermato l’attenzione verso un’operazione che distingua la spesa assistenziale da quella previdenziale nell’ambito della contabilità dell’Istituto: «Dividere la spesa assistenziale da quella previdenziale è un obiettivo di trasparenza e razionalizzazione che perseguiamo da tempo. È al lavoro anche una Commissione ministeriale per accelerare l’adozione di tutti i meccanismi necessari a dare evidenza ad una più decisa separazione fra le due principali voci di spesa dell’Inps».

«Accogliamo con favore le parole del presidente Tridico rispetto alla separazione chiara tra ambito assistenziale e quello previdenziale – ha concluso Cuzzilla -. Chiediamo inoltre che non si sottovaluti l’importanza della previdenza integrativa. I fondi complementari raccolgono infatti un risparmio potenzialmente strategico e devono essere considerati nel loro ruolo di importanti investitori istituzionali. Tridico ha concluso con una proposta collaborativa: “Vogliamo consolidare il già avviato dialogo con il mondo della dirigenza per migliorare complessivamente le prestazioni in favore degli utenti».

C’è però ancora molto da fare e da comprendere. Ad esempio, per quanto riguarda Quota 100. La misura sperimentale e triennale  ha permesso il pensionamento anticipato di 180.000 uomini e 73.000 donne nel primo biennio 2019-20. Dall’analisi emerge che la misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini, con redditi medio-alti e con una incidenza percentuale maggiore nel settore pubblico. Se ci si limita invece ai dipendenti del settore privato, oltre al genere e al reddito, assume un ruolo chiave anche la salute negli ultimi anni di carriera. Rispetto agli impatti occupazionali attraverso la sostituzione dei pensionati in Quota 100 con lavoratori giovani, un’analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo a maggiori assunzioni derivante dall’anticipo pensionistico. Dunque, visto così l’esperimento sembrerebbe fallito. Per quanto riguarda Opzione Donna, questa formula ha permesso circa 35.000 pensionamenti nel primo biennio 2019-20. Dall’analisi di un campione di donne con i requisiti per l’adesione a questo canale di pensionamento, emerge che hanno scelto l’Opzione prevalentemente soggetti con redditi bassi, a volte silenti, ovvero senza versamenti contributivi nell’anno antecedente al pensionamento. Anche limitandosi al solo settore privato, il reddito basso si conferma essere la determinante più significativa per questa scelta.

Questo è il passato. Per il futuro, invece, sappiamo che in questo 2022 appena iniziato si avvierà la sperimentazione di Quota 102 per il solo anno in corso. Ma l’idea è quella di estendere questa possibilità anche negli anni a venire. Ovviamente, la tensione con le parti sociali è molto elevata e lo sciopero generale dello scorso 16 dicembre rischia di essere solo l’antipasto di un inverno e una primavera caldi se il governo, specie se Mario Draghi non dovesse restare a Palazzo Chigi, non troverà rapidamente dei correttivi per rispondere alle esigenze delle sigle sindacali.