di Luisa Leone

Il 2023 potrebbe portare con sé diverse importanti novità per la previdenza complementare. In ballo ci sono infatti due riforme che potrebbero avere riflessi sulle pensioni di scorta degli italiani: quella del sistema pensionistico nel suo complesso e quella fiscale, che dovrebbe contenere anche norme relative ai fondi pensione. È molto difficile che qualcosa si concretizzi già quest’anno ma nei prossimi mesi si dovrebbero conoscere almeno i contorni degli interventi che potranno realizzarsi più avanti nella legislatura. 

Ma cosa c’è in ballo? In linea teorica le novità dovrebbero essere tutte a favore della previdenza complementare, perché questo indicano sia le linee programmatiche del ministero del Lavoro, guidato da Marina Calderone, sia il disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale italiano, che ne detta i principi generali. Nel primo caso si parla di interventi su più fronti, che andrebbero da nuove campagne di adesione ai fondi pensione a un «nuovo anno zero» per la destinazione del Tfr dei lavoratori dipendenti alle forme complementari, che potrebbe tradursi in un’altra stagione di silenzio-assenso, come richiesto più volte dai sindacati anche al precedente esecutivo guidato da Mario Draghi. Ma cosa significherebbe una nuova stagione di ‘silenzio assenso’? Si ripeterebbe quello che è avvenuto nel 2007, quando entrò in vigore l’attuale normativa sulla previdenza complementare: tutti coloro il cui Tfr era accantonato in azienda avevano sei mesi di tempo per decidere se confermare questa opzione o indirizzare quanto maturato da quel momento in poi alla previdenza complementare. In assenza di una scelta esplicita, il Tfr veniva automaticamente incanalato verso il comparto più prudente del fondo di categoria. Da quel momento, a chi entra nel mondo del lavoro si ripropone lo stesso meccanismo. Il nuovo semestre di silenzio assenso riguarderebbe quindi tutti coloro che ancora mantengono il Tfr in azienda e che sarebbero chiamati a una scelta esplicita, in assenza della quale la loro posizione verrebbe destinata appunto al fondo negoziale di riferimento. 

Ultima questione messa sul tavolo dal ministro Calderone, che potrebbe rientrare nella riforma del sistema pensionistico e interesserebbe in particolare chi ha contributi più corposi della media dei dipendenti (come i dirigenti industriali iscritti a Previndai), è il tema della soglia di deducibilità «dei contributi di secondo pilastro». Oggi il limite è 5.164 euro, traduzione in euro dei vecchi 10 milioni di lire: basterebbe questo riferimento a far capire da quanto tempo non si intervenga sull’aggiornamento di  questa soglia, nonostante si continui a sottolineare la sempre maggiore importanza della previdenza complementare, soprattutto per i più giovani. Ma anche nella  delega fiscale, che mira a ridisegnare l’intera impalcatura del sistema in Italia, dall’Irpef all’Ires fino alla tassazione dei redditi da capitale, si parla dell’opportunità di salvaguardare la deducibilità concessa per i versamenti alla previdenza complementare, pure nella prevista revisione delle così dette tax expenditure, che sono tutte quelle agevolazioni fiscali che erodono gli introiti per le casse dello Stato e che nel 2022 hanno toccato l’importo record di 128 miliardi di euro. Non solo, la previdenza complementare viene citata, all’articolo 5 della legge delega, come un bene da tutelare, accanto alla casa, alla salute e all’istruzione. 

Se serviranno mesi, forse anni, perché questi principi generali si concretizzino, intanto il ministero del Lavoro ha attivato l’Osservatorio per il monitoraggio, la valutazione dell’impatto della spesa previdenziale e l’analisi delle politiche di revisione del sistema pensionistico. A questo nuovo organismo sarà affidato un compito di analisi, studio e formulazione di proposte in vista della complessiva revisione del sistema pensionistico e anche, appunto, per il rilancio della previdenza complementare.