Decreto migranti
GIORGIA MELONI PREMIER

Nell’insieme, chapeau.

Passiamo in rassegna le dieci nomine d’oro stabilite nelle ultime ore dal governo, e prima di capire quanto la Meloni abbia “vinto” (forse meno di quanto desiderasse) sui soci di governo, proviamo a capire quanto abbia vinto o perso il Paese.

Cominciamo dall’Eni, l’azienda a controllo pubblico più importante che l’Italia abbia.

Ci resta Claudio Descalzi, un manager che in sei mesi ha riconvertito la filiera dell’approvvigionamento italiano del gas dalla dipendenza dalla Russia ad una relativa indipendenza. Nominato amministratore delegato per la quarta volta, un record. Che era stato designato da Matteo Renzi nel 2014; confermato da Paolo Gentiloni nel 2017; e riconfermato dal governo Conte tre anni fa. I “timbri” politici sono stati per due volte Pd e per una volta Cinquestelle. Che Meloni l’abbia riconfermato dimostra che ha guardato alla competenza e non all’appartenenza. Come Giuseppe Zafarana, che ha scalato la carriera alla Guardia di Finanza senza particolari targhe politiche agganciate alle mostrine e sarà un buon presidente di rappresentanza della grande compagnia petrolifera italiana, vera succursale (o forse vera “casa madre”) del nostro ministero degli Esteri.

Passiamo all’Enel. Diciamo subito che qui il grande favorito, Stefano Donnarumma – finora a.d di Terna – è “saltato” dall’agenda d’oro dove la Meloni l’aveva iscritto per “troppa” vicinanza, semmai, e non troppo poca. Pur essendo stato innalzato alle sue precedenti due cariche di rilievo, Acea prima e Terna dopo, in quota Cinquestelle, s’era avvicinato molto a Fratelli d’Italia: ma la Meloni, per ora, lo tiene in panchina, sia pure panchina d’oro (si parla, ma è ufficioso, di un incarico importante nel sistema Cassa depositi e prestiti).

Sale al vertice Enel invece una vecchia conoscenza del sistema, Flavio Cattaneo, pura quota An come pedigree politico, ma carrierona nel privato, tra Italo e Telecom, posti non certo designati dalla poltica. Da Telecom uscì con una favolosa liquidazione perché aveva fatto talmente bene che i soci ostili non potettero che coprirlo d’oro per evitarsi guai. Aveva fatto benissimo anche alla Fiera di Milano e poi, e soprattutto, alla Rai, dove – designatovi dal fratello di Sua Emittenza, Paolo Berlusconi, e poi dal suo amico di sempre Ignazio La Russa – prese alla lettera il mandato del Cavaliere (“fammi concorrenza senza autolimitazioni”) e surclassò per audience le reti Mediaset con le tre reti Rai… Cattaneo andrà dunque all’Enel, a pelare una gatta infuriata che pesa 80 miliardi di debiti, lasciati lì dalla gestione dell’uscente Starace, che di destra aveva solo il nome. Della Lega Cattaneo ha avuto l’appoggio, ma la sua storia è tutta tra Forza Italia e An, quindi…

Al vertice di rappresentanza dell’Enel, l’uomo che lo gestì bene per tre anni, Paolo Scaroni, 76enne ben portante, che pur di ritrovarsi nel suo brodo accetta di rientrare sulla poltroncina d’oro ma senza bottoni in un gruppo che l’aveva visto totipotente. De gustibus, però anche Scaroni – come del resto Descalzi – ha superato meritatamente indenne una shit-storm giudiziaria che avrebbe fiaccato dei tori. E’ in quota Forza Italia, ma più che altre come cadeau al Cavaliere, per una bella e veloce convalescenza. I presidente all’Enel contano…il giusto.

E passiamo a Leonardo. Indiscutibile la presidenza, quota Fdl, con  Stefano Pontecorvo, ambasciatore di lungo corso e rappresentante Nato in Afghanistan, perfetto per vendere armi. Alla gestione, la scommessa apartitica: Roberto Cingolani, già ministro della transizione energetica con il governo Draghi, direttore d’orchestra di un gruppo eccellenti di cervelli all’Iit, alla prova manageriale più dura, ma affascinante, e comunque anche qui: fossero e fossero state tutte di questo livello le designazioni politiche, l’Italia sarebbe un Paese migliore.

Poste: amministratore che vince – Matteo Del Fante – non si cambia, con buona pace della provenienza renziana; e al vertice come presidente sale una bravissima manager internazionale, Silvia Rovere, fino a poco tempo fa a Morgan Stanley, dopo essere stata grand commis di stato come irettore finanziaria di Patrimonio Spa.

Infine Terna: visto che l’ottimo Donnarumma scadeva e non lo si è voluto confermare – si vedrà per quali altri incarichi – c’era posto per una donna, la Meloni l’aveva promesso e l’ha fatto, individuando l’attuale a.d. di Nokia, Giuseppina Di Foggia, quale nuova a.d. (ha un curriculum bellissimo) e dando una presidenza alla Lega, nella persona di  Igor de Biasio.

Per questo, e in ultima istanza: chapeau. La novità in questo insieme di nomine e conferme indifferenti al pedigree politico e con le competenze rispettate si chiama Giorgia Meloni, e solo lei. Attorno, la solita canea. Ma se al centro c’è una persona un po’ più seria dei vecchi standard, la differenza si vede subito.