di Francesco Priore
All’origine dello sviluppo del personal branding, per chi deve valorizzare anche con la comunicazione le proprie capacità professionali o manageriali, è pregiudiziale la valorizzazione del patrimonio interiore spesso inutilizzato – o utilizzato male – per mancanza di coscienza dello stesso e conoscenza degli strumenti adeguati.
La stella polare che indirizza le scelte dei professionisti e dei manager è la capacità di comunicare in maniera efficace, ovvero possedere, acquisire e sviluppare più skills: solida cultura professionale e capacità di tradurre le cognizioni scientifiche in un linguaggio chiaro, sinteticamente esaustivo e immediatamente fruibile da chi ascolta. Se le risposte sono chiare e comprensibili la relazione si svolge in modo semplice e costruttivo. Se le risposte, invece, sono oscure, complesse o tese a far sfoggio di sapienza o di potere indispettiscono l’interlocutore, che reagisce diventando sospettoso e diffidente; quello che non si capisce si rifiuta istintivamente e la relazione tende a chiudersi negativamente.
L’arma strategica, per brevità, del comunicatore è la capacità di ascolto. Ad es., il medico dalla descrizione e dai particolari riferiti dal paziente – l’anamnesi – riesce a diagnosticare le patologie. Il professionista che ascolta il cliente, il manager che fa esprimere i suoi collaboratori, senza sopraffarli con la dialettica o il comando, ha già acquisito ottime probabilità di stabilire una relazione profittevole per entrambi. L’esperienza dimostra che a volte, nonostante il verificarsi positivo di molte condizioni necessarie, la relazione non si stabilisce. L’interpretazione è che tra i due soggetti non sia intervenuta l’empatia, condizione indispensabile per creare facilmente una relazione. È la qualità della relazione, non solo i risultati, l’obiettivo di chi conduce.
Il progetto è stato sviluppato per configurare il metodo per individuare le caratteristiche professionali empatiche di ogni singolo manager o professionista ed utilizzarle per favorire una relazione efficace con il maggior numero di persone possibili.
Il metodo del personal branding tradizionale per individuare il proprio brand si basa su un’autovalutazione di sé stessi e dei risultati ottenuti al fine di trasformarli in punti di forza per lo sviluppo. Il brand di un prodotto, può essere giusto o sbagliato, felice o meno, può comunque diventare di successo solo se s’investono cifre importanti per rendere memorabile il brand. Ma non è la soluzione giusta. Se il brand è quello giusto, anche a fronte di investimenti modesti, diventa subito memorabile o addirittura virale. In realtà il brand personale non è quello che l’interessato immagina di sé stesso, bensì quello che gli altri gli riconoscono in termini di professionalità, personalità, comunicatività, empatia ed autorevolezza. In sintesi il nostro brand è quello che è nella mente di chi ci ascolta. Bisogna mettersi in gioco e chiedere agli interlocutori, con adeguato garbo, di poterli intervistare sulle caratteristiche che ci attribuisce. Sono necessarie almeno una decina di interviste per registrare gli elementi ricorrenti, le precise parole pronunciate, poi depurarle dagli elementi marginali e concentrare le definizioni in un core, che è la base del brand personale dell’interessato, un strumento adeguato è il word cloud generator. Noto il brand personale, si può avviarne la gestione, verificando con gli intervistati la corretta elaborazione e l’aggiornamento delle informazioni. Ora si può usarlo potenziando le caratteristiche che ci hanno aiutato a stabilire un rapporto managerialmente, professionalmente e umanamente efficace con i nostri interlocutori e poi, con molta probabilità, sarà più facile stabilire una relazione empatica con un nuovo collaboratore, cliente o paziente.
I risultati, tenendo un comportamento adeguato alle caratteristiche positive del proprio brand ed eliminando le negative, sono brillanti. E attenzione a un altro aspetto: i risultati dell’indotto sono altrettanto importanti e, forse, sorprendenti. L’interlocutore o collaboratore, nel descrivere le nostre caratteristiche professionali, prende coscienza di un’importante realtà che con tutta probabilità non aveva oggettivizzato: verbalizzando le nostre caratteristiche trasforma le sensazioni in razionalizzazioni e comprende di avere a che fare con un professionista o un manager che apprezza. E nel riconoscere anche gli aspetti non positivi accetta che il professionista è pur sempre un uomo. Questa modalità di comunicazione, dopo le prime verifiche “scientifiche”, si sta affermando e inizia a diffondersi tramite la divulgazione, l’informazione e la formazione. Il target iniziale, relativo a questo metodo, era composto da consulenti, giovani manager e professionisti, ma successivamente lo “strumento” è risultato utile a tutti quelli che svolgono una professione dove prevale la relazione e la comunicazione personale. All’inizio della sperimentazione qualche manager, confondendo l’autorità con l’autorevolezza, temeva che sottoponendosi al giudizio dei propri collaboratori poteva ricevere risposte di convenienza o tali da fargli perdere l’autostima. L’esperienza sul campo, se al manager viene riconosciuta la correttezza e l’onestà intellettuale, ha dimostrato che il feedback di questa indagine ha reso molto più autorevole il manager, per due ragioni: la presa di coscienza dei propri punti di forza e delle proprie aree di miglioramento. Utilizzando entrambe le informazioni, con una retroazione positiva, l’empatia con il proprio gruppo cresce notevolmente. Se un manager temesse di mettersi in discussione, potrebbe effettuare l’indagine in forma anonima; se temesse anche questa mediazione al ribasso, farebbe meglio a riflettere.
In sintesi:
• disporre di uno strumento per stabilire una comunicazione manageriale o professionale empatica è propedeutico a uno sviluppo armonico della relazione;
• la presa di coscienza degli aspetti positivi può indurre l’interlocutore a seguire le direttive spontaneamente, o a parlare positivamente del proprio professionista ai suoi conoscenti;
• il professionista e il manager acquisiscono autostima dai riconoscimenti positivi mentre dall’analisi degli aspetti negativi ottengono la consapevolezza per contenerli, se non la forza per eliminarli, perfezionando ulteriormente il brand. In questo modo possono sviluppare azioni, comportamenti e attività di comunicazione potenziate e coadiuvate dal personal marketing;
• è sconsigliabile essere autodidatti per l’individuazione del proprio brand personale: un breve corso di formazione elimina i dubbi e fornisce gli strumenti e le tecniche opportune.
Il personal branding da solo non è la soluzione a tutte le difficoltà del professionista o del manager, ma è comunque la valorizzazione razionale di un patrimonio interiore che poi è il vero motore personale. Il professionista o il manager non devono mai viziare se stessi autocompiacendosi dei risultati raggiunti, devono disporre e usare tutte le skills per raggiungere l’obiettivo vincente: “viziare il cliente o il collaboratore” per raggiungere i risultati adeguati al proprio potenziale, latente, posseduto.