Non è che il nome scientifico prometta bene: ostrea edulis parrebbe un principio attivo di un medicinale. Più rasserenante e di forte appeal quello “volgare”: ostrica, mollusco bivalve talmente famoso in tutto il mondo da meritarsi, il 5 maggio, i riflettori della giornata mondiale a lei dedicata. Da noi, in Europa in genere, è considerata una delle massime espressioni del lusso, del bien vivre, per portafogli, e stili di vita, davvero importanti. Sapori elitari e virtuosi destinati a pochi eletti. Ma basta andare dall’altra parte del pianeta per notarne un consumo più diffuso, quasi quotidiano, perfetto per chi ha una disponibilità finanziaria pari al comune argent de poche. Iconica e famosa, si accennava, a tal punto da essere citata in tutte le arti, a volte a guisa di musa ispiratrice: ne scrissero Cicerone, Varrone, Plinio il Vecchio: “Le Ostriche, nel tempo degli amori, si aprono quasi sbadigliassero, si riempiono di rugiada che le feconda e partoriscono perle…”, Oscar Wilde “Il mondo era la mia ostrica, ma ho usato la forchetta sbagliata”, Giovanni Verga “Insomma l’ideale dell’ostrica! – direte voi – proprio l’ideale dell’ostrica! E noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere…”.
L’entusiasmo quasi istintivo di uno dei padri fondatori del verismo porta l’ostrica a essere la protagonista, quasi occulta, de I Malavoglia, così come Andrea Purgatori, in tempi contemporanei, le dedica il suo Quattro Piccole Ostriche. Anche Johnny Hart, autore del celebre fumetto yankee B. C., le dà brio e riflettori: è parlante, pensante, ironica e deambulante. E la pittura la celebra, nei tratti di Georges Braque, Edouard Manet, Henri Matisse, Pieter Claesz e Filippo de Pisis, tra gli altri. Neppure la settima arte, il cinema, la ignora: i più importanti sono forse La Principessa delle Ostriche, film muto del 1919 di Ernst Lubitsch, Papillon e, attuale, Ostriche, un corto di qualità di Nicolò Sala.
Dall’attualità ci si volge indietro, a origini e storia: le prime notizie risalgono ai greci che le utilizzavano per ricavarne monili preziosi e come moneta di scambio, oltre ad averne apprezzata la bontà. Pare che venissero cotte nel miele, a cui venivano aggiunti vino e spezie. Anche la leggenda sul potere afrodisiaco ha origini greche: Venere emerse dagli oceani a dorso di ostrica e diede i natali a Eros, Dio dell’amore e, tra leggenda e verità, si narra che Giacomo Casanova ne consumasse dodici dozzine in occasione dei suoi incontri amorosi. Al pari di altri beni di lusso le ostriche hanno avuto, nel corso del tempo, epoche di splendore alternate ad altre di buio e oblio: di certo c’è che, nella seconda metà del 1800, a New York si spendeva più in quelle che in tutti gli altri alimenti messi insieme. Prima di diventare la Grande Mela la città era conosciuta come la Grande Ostrica; ne è prova che il più famoso oyster bar al mondo è all’interno della Central Station, e ne serve 2 milioni all’anno, da gustarsi crude (il palato ringrazierà) o cotte per un percorso degustativo ben preciso.
Quattro i punti fondamentali: l’ostrica resta chiusa nel suo guscio per più di 10 giorni e il momento migliore per assaporarla è dal 4° al 12°. È necessario far scorrere la prima acqua e lasciar riposare il mollusco che, dopo qualche minuto, rilascerà i liquidi che tratteneva, esaltando l’esperienza gustativa. Una volta in bocca il primo impatto è sempre iodato con intensità variabile, subito dopo si palesa la seconda parte del suo sapore, svelandone il cosiddetto merroir (ovvero, l’habitat), che ne determina le diverse caratteristiche al palato. Per cogliere tutte le sue sfumature bisogna concentrarsi su come evolve il sapore dall’inizio alla fine, “ascoltando” con lentezza e attenzione le note. A chiudere, o quasi, esperienze di vita vissuta: nonostante si sia portati a pensare il contrario, l’ostrica cruda e il limone non vanno d’accordo. L’acidità dell’agrume “cuoce” immediatamente la carne del mollusco, vanificandone la delicatezza e alterandone il sapore; lo stesso per quanto riguarda le bollicine, anche quelle pregiate. Meglio un vino bianco fermo di qualità (scelto per assonanza di gusti o per contrasto) che completerà degustazione e abbinamento. E nessuna sorpresa, una volta aperto il guscio: le celebri perle (bianche, rosa, color crema, viola, grigie e nere e, grazie a studi e tecnologie, anche verdi, azzurre, arancioni) si formano solo in pochi casi e in determinate specie, di cagionevole salute. Più facile imbattersi in un quadrifoglio, meno raro e più a buon mercato, per quanto non lo si possa ipotizzare, al contrario delle ostriche, nuovo bene rifugio e neppure idea vincente imprenditoriale.

…e in Italia alleviamo le ostriche nelle Valli di Comacchio
Un compleanno lungo un paio di lustri per una startup che non è più tale, divenuta realtà consolidata. La banlieue di Milano ospita I.Wai Food, primo importatore italiano di ostriche (e altre prelibatezze ittiche) e primo distributore in Italia a Gdo, grossisti e Cash and Carry che servono la ristorazione di tutta la penisola e, dal 2019, anche allevatore con i suoi “gioielli di Lucrezia”, le ostriche dell’Emilia Romagna. Obiettivo del team fondato da Gianmarco Zandrino e Renato Ravizza è da sempre quello di aggiungere valore in tutte le fasi di lavoro, dalla ricerca di un nuovo prodotto alla vendita: a guidarlo, un know how di esperienza e formazione, costruito nel tempo per una struttura logistica precisa, capillare e affidabile. Un percorso imprenditoriale di crescita che ha portato nel tempo all’ampliamento dell’offerta, mantenendo sempre il focus sulle ostriche italiane e internazionali, diventando selezionatori delle migliori eccellenze; ora l’azienda è leader nell’importazione e distribuzione in Italia. La svolta arriva nel 2019, quando I.Wai Food inizia le sperimentazioni e le ricerche per il suo primo allevamento; nel 2021 nasce nelle valli di Comacchio l’ostrica di Lucrezia, un prodotto unico, una novità che porta a nuove consapevolezze e a ulteriori ampliamenti futuri. È tempo di grandi cambiamenti e di piccole rivoluzioni strutturali e culturali nel settore, per un modello nuovo di fare impresa, in continua evoluzione in virtù di un piano strategico e imprenditoriale che guarda al futuro. Su tutto, la volontà di essere un punto di riferimento per il mercato e tutto il segmento dell’ostricoltura e dell’ittica d’eccellenza, un faro attorno al quale creare una rete virtuosa, di inclusione, etica, cultura e qualità. Al di là della gamma parlano però i numeri, che raccontano con voce tonica un raddoppio del fatturato ogni cinque anni: dal 2013 al 2017 l’azienda registra un incremento da 2 a 4.5 milioni, per poi nel 2018 decidere di focalizzarsi maggiormente sul valore aggiunto dato alla vendita, con eventi e formazione. Dal 2018 al 2022 si registra quindi una crescita esponenziale: circa 6 milioni di fatturato nel 2018, con una leggera flessione nel 2020 a causa della pandemia, per chiudere il 2022 a 11 milioni con 1.000 tonnellate di ostriche vendute. Ad oggi I.Wai Food si posiziona come 56esima tra le 233 aziende italiane grossiste di prodotti ittici, 19esima tra le più in crescita e 14esima più redditizia per Roe (return of equity).