Il congedo retribuito per l’arrivo di un figlio è stato per lungo tempo prerogativa esclusiva delle madri, mentre ai padri veniva riconosciuto, al massimo, qualche giorno di ferie.
Le legislazioni in materia sono cambiate, ma troppo spesso i padri non sfruttano l’opportunità del congedo retribuito a cui hanno diritto. Molti uomini desidererebbero godere della cosiddetta paternità, ma, nella percezione comune, prendere ferie per la cura dei figli è ancora considerato dannoso per la carriera. Questo pregiudizio culturale deve cambiare, e non solo in Italia.
Negli ultimi tempi, si incomincia ad intravedere qualche segnale positivo verso un approccio maggiormente paritario: proprio recentemente, ad esempio, i Duchi di Sussex, Harry e Megan, hanno annunciato l’intenzione di prendere 20 settimane di congedo parentale per la nascita dell’ultima figlia. In Italia, quest’anno, il congedo di paternità è stato esteso: ai neo-papà spetteranno 10 giorni di astensione obbligatoria, retribuita al 100%, così come stabilito dalla direttiva europea del 4 aprile 2019. L’adeguamento alla norma rappresenta un piccolo primo passo verso l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro.
Il fatto che gli uomini rinuncino al loro diritto al congedo parentale danneggia non solo gli uomini, ma soprattutto le donne, incoraggiando atteggiamenti sessisti e discriminazioni sul lavoro. Inoltre, questa consuetudine fa sì che l’onere dell’accudimento dei figli gravi prevalentemente sulle madri, impendendo, al tempo stesso, ai padri di rafforzare il legame con il nuovo arrivato.
I cambiamenti recenti nelle politiche in materia e nella mentalità aziendale devono trovare immediata attuazione, così da incoraggiare gli uomini a godere del congedo che gli spetta, e far sì che questo diventi la norma. L’affermarsi del lavoro flessibile potrebbe incentivare questo cambiamento culturale, indebolendo il mito organizzativo del “presenzialismo”.
I datori di lavoro devono anche impegnarsi a garantire a coloro che rientrano dal congedo opportunità di carriera identiche a quelle pre-genitoriali, indipendentemente dal genere.
Leggi e tendenze attuali
Le politiche parentali sono abbastanza diversificate a livello mondiale. In Europa, la durata media del congedo parentale è di 12,5 giorni. Una ricerca effettuata dal Parlamento Europeo ha rilevato che però solo il 10% dei padri sceglie di avvalersene.
Il fatto che gli uomini non vogliano godere del congedo a loro riservato in alcuni casi può essere determinato da motivazioni di tipo finanziario: per molti padri percepire una paga più bassa nel momento in cui nasce un bambino è una scelta economicamente non sostenibile. Ma spesso le radici di questo fenomeno sono più profonde: uno studio del CIPD (Chartered Institute of Personnel and Development) ha rilevato che tre quarti (74%) degli uomini si sente stigmatizzato per la decisione di prendere il congedo parentale.
Lo stigma culturale è una barriera
Una ricerca della Commissione Europea afferma che le norme sociali e la cultura lavorativa giocano un ruolo importante nel determinare la scelta dei padri di avvalersi del congedo a loro riservato. Anche quando il diritto è indiscusso, le aspettative sociali agiscono sugli uomini, inducendoli a vivere con imbarazzo il congedo parentale o a temere che il loro orientamento alla carriera venga messo in discussione, con successive ripercussioni sul loro percorso professionale.
In materia di paternità, la Svezia è un modello per il resto del mondo. Il paese ha uno dei sistemi di congedo parentale più generosi al mondo, con i nuovi genitori che hanno diritto ad un totale di 480 giorni di congedo retribuito, da godere in egual misura. La battaglia per porre fine allo stigma sociale e per ribaltare la cultura dominante sembra funzionare nel paese. Nel 2014, gli uomini hanno goduto di un quarto del sostegno economico disponibile Precedentemente, la percentuale ammontava solo allo 0,5%.
Un cambiamento di mentalità
Se guardiamo ai primi 40 paesi per complessità del payroll secondo il “Global Payroll Complexity Index 2021” di Alight, ognuno ha le proprie regole in fatto di congedo di maternità, paternità e adozione. Queste normative sembrano essere caratterizzate da un elevato livello di variabilità che impone ai team HR un costante sforzo di aggiornamento per garantire la conformità alle legislazioni dei paesi di loro competenza e di non incorrere in multe esose e potenziali danni d’immagine.
Alcuni paesi ancora non garantiscono il diritto al congedo di paternità retribuito, tra questi Stati Uniti, Austria, Cina e Messico. Il congedo retribuito a seguito di adozione, invece, non è previsto dalle legislazioni di Stati Uniti, i Austria, Svizzera, Polonia, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Malesia, Cina, Hong Kong e Messico.
Cambiare le leggi in materia di congedi parentali è ovviamente competenza dei governi, ma ci sono strategie che i datori di lavoro possono implementare indipendentemente dalle normative. Le aziende possono, ad esempio, offrire opzioni di lavoro flessibile per i genitori e incentivare una cultura più aperta nei confronti delle problematiche della maternità e paternità. Aviva, per esempio, oggi offre sei mesi di congedo parentale, indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale e dalla modalità con cui le persone sono diventate genitori. In qualunquecaso, il supporto offerto ai dipendenti durante e dopo la gravidanza deve essere esteso sia agli uomini che alle donne.
Concludendo, appare evidente che, ancora ai giorni nostri, prendere una pausa dal lavoro per accudire i propri figli siavisto troppo spesso come un problema esclusivo delle donne e non di entrambi i genitori, perché gli uomini non usufruiscono del congedo parentale cui avrebbero diritto.
Mamme e papà – sono entrambi genitori ed entrambi dovrebbero, di conseguenza, esercitare il proprio diritto al congedo per la nascita dei propri figli. Se riusciremo in questo obiettivo, nel lungo periodo, sarà un vantaggio per tutti.
* Italy Country Leader di Alight Solutions