Per lavorare nel luxury serve empatia e un'attitudine al bello

Un eccellente percorso accademico, l’attitudine al bello, l’allineamento ai valori della holding che riunisce numerosi marchi del lusso tra i più celebri. E ancora, un’intelligenza situazionale e quindi empatica e comunicativa, oltre a esperienze significative anche al di fuori dell’ambito universitario. Sono i tasselli che compongono l’identikit di chi può aspirare a entrare in Richemont, la grande casa che riunisce brand quali Montblanc, Cartier, Van Cleef & Arpels, Baume&Mercier… «Il nostro è un mondo variegato che va dalla gioielleria agli orologi al fashion», dice Maurizio Bodano, Hr director di Richemont, «che in Italia conta circa 1100 dipendenti nei diversi settori, dalle boutique alla finanza, dal marketing al visual merchandising, dal customer service agli specialisti watchmakers, fino ai poli produttivi della pelletteria a Firenze e della gioielleria a Torino e Valenza». Una varietà accomunata dal lusso e da una stessa filosofia delle risorse umane, declinata marca per marca a seconda del settore di riferimento: «Dobbiamo avere le persone che siano le migliori nel loro ruolo», spiega Bodano: «Possiamo permettercelo, avendo un’employee value proposition elevatissima. Attingiamo i migliori candidati dalle università e dai master sia italiani che internazionali. Inoltre spingiamo chi lavora per i nostri marchi a dare il meglio per essere employable. Desideriamo che siano appetibili all’esterno, ma che decidano di stare con noi perché siamo i migliori».

Il punteggio accademico non basta. E più di un 110 con la lode servono le esperienze, magari all’estero, non necessariamente lavorative

Criteri che valgono anche per un marchio iconico come Montblanc: «Dal punto di vista dell’employer branding», afferma Pamela Mirra, Hr manager Fashion & Leather brand di Richemont «agiamo su binari paralleli, esterno e interno. All’esterno abbiamo partnership con le migliori università, e ci muoviamo sia con canali tradizionali come job fair, incontri all’università, master ad hoc in realtà come la Bocconi, Sole 24 Ore, Polimoda; sia con il digital recruiting, che sta crescendo. All’interno rendiamo le nostre risorse employable e le convinciamo a stare con noi, a scegliere in maniera consapevole e motivata un ambiente congeniale al loro percorso professionale. I nostri percorsi interni ci permettono di canalizzare le loro energie e di tramutarle in concreto valore aggiunto per il business, non solo con un singolo brand». «Uno dei nostri valori», le fa eco l’Hr director di Richemont, «è che lavoriamo e ci poniamo come holding. Una persona che è all’interno del gruppo ha la possibilità di variare brand, lavorando a Cartier, Montblanc e Van Cleef a seconda delle possibilità». Per avere questo tipo di confidenza e flessibilità il punteggio accademico non basta. «Ancor più di un 110 e lode è importante avere un inglese fluente», mette in evidenza Bodano, «così come aver fatto un’esperienza all’estero, o avere esperienze lavorative o sociali rilevanti». «Guardiamo anche all’allineamento valoriale a un ambiente che non è semplice», aggiunge Mirra: «l’attitudine al bello è sicuramente qualcosa che permette di entrare con facilità in azienda». «Se non capisci perché un cliente dovrebbe investire importi anche considerevoli per acquistare un oggetto di lusso», sottolinea l’Hr director di Richemont, «ti viene difficile lavorare per attrarre il cliente finale». Uno sguardo sulla prospettiva non può che essere centrato sulla qualità: «Il futuro è di tutte le attività dove le persone possono dare un valore aggiunto», conclude Bodano: «Il mondo sta cambiando anche nell’ambito commerciale, ma continueremo a cercare chi sa trasferire valore alle maison e al cliente finale, indipendentemente dal tool utilizzato».