Per prendere quota stabilmente e incidere profondamente nel sistema come occorre che accada, le politiche attive per il lavoro in Italia hanno bisogno di una scossa. Non utilizzo questo termine a caso perché esso dà l’idea di un impulso così forte e determinato da imprimere una svolta, anche di tipo culturale.
A fronte della riconosciuta centralità di questo “strumento principe” da parte dei vari attori del mercato del lavoro, e pur dinanzi ai successi che la sua adozione ha determinato, resta una sorta di opacità che non riesce a diradarsi lungo la filiera comunicazionale. Il necessario corredo di informazioni tecniche che accompagna le imprese, soprattutto quelle piccole e micro, verso l’adozione dello strumento di finanziamento della formazione spesso “spegne o sovrasta” il cuore del messaggio, che è molto semplice: “Cara azienda, se vuoi crescere e conquistare nuove fette di mercato, se vuoi competere, devi avere lavoratori formati e competenti”.
Tra l’altro, la formazione continua è anche il perno centrale attorno a cui costruire e consolidare tutto il sistema di tutela dei lavoratori. Solo grazie a un processo di continuo apprendimento i lavoratori riescono a garantire a se stessi l’occupabilità e, alle aziende, la capacità di affrontare le sfide del mercato.
D’altra parte oggi, a consentire la formazione continua delle aziende del settore privato, sono quasi esclusivamente i fondi paritetici interprofessionali, organismi che impiegano una parte del costo del lavoro sostenuto dai datori all’Inps (il famoso 0,30 per cento) restituendolo alle aziende sotto forma di contributo per le attività formative.
Gli investimenti italiani sono troppo bassi rispetto a quelli degli altri Paesi Ue. E non sono adeguati alle necessità del sistema
Risultato? Solo le aziende che aderiscono ai fondi paritetici interprofessionali hanno la possibilità di coprire a costo zero la formazione di cui hanno bisogno per dipendenti e figure apicali.
E qui il Fondo Fonarcom ha compiuto un gesto di fiducia e ha fatto un forte investimento nei confronti di tutte le aziende e di tutti gli operatori della formazione innalzando all’85 per cento l’ammontare delle risorse che vengono loro restituite per la formazione.
Si tenga conto che il massimo, finora, era l’80 per cento. Un incremento che ha voluto costituire un segnale semplice e immediato da parte di Fonarcom al sistema, dovuto alla particolare sensibilità verso i temi del lavoro sviluppata dalle due rappresentanze che costituiscono il nostro fondo, cioè le confederazioni autonome Cifa e Confsal. Va reso dunque onore alla loro decisione, che è estremamente responsabile, costruttiva e concreta e mette in gioco ulteriori risorse proprie per una finalità collettiva quanto cruciale.
Già qualche anno fa Fonarcom – oggi seconda realtà paritetica italiana nel settore della formazione – aveva adeguato la percentuale prima che lo facessero gli altri fondi interprofessionali, a conferma della disponibilità a fornire maggiori risorse al sistema produttivo nazionale. Ricordiamoci infatti che ci riferiamo ad un ambito, quello della formazione, in cui gli investimenti italiani sono ancora bassi rispetto a quelli degli altri paesi europei, e comunque non adeguati alle necessità di un mondo produttivo e imprenditoriale in movimento e in cambiamento, soprattutto sul versante dell’innovazione tecnologica e dell’automazione dei processi.