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Orologeria svizzera: le "sette sorelle" dominano il mercato

La terza edizione del report elaborato da Morgan Stanley in collaborazione con LuxeConsult relativo al mercato dell’orologeria svizzera, pubblicata a metà marzo, si presta a interessanti analisi su una delle più importanti industrie elvetiche. La più evidente è che al tavolo dell’orologeria vi sono pochi, grandi vincitori e innumerevoli soggetti destinati al ruolo di comprimari. Secondo il rapporto, infatti, la crescita del settore nel 2019 è dovuta ai sette marchi che hanno registrato un fatturato superiore a 1 miliardo di franchi: Rolex, Omega, Cartier Watches, Longines, Patek Philippe, Audemars Piguet e Tissot (in rigoroso ordine decrescente). Circa 350 altri marchi hanno dovuto accontentarsi delle briciole.
 
Nel 2019 le esportazioni svizzere di orologi, il barometro più affidabile per valutare la salute del settore, hanno totalizzato 20,5 miliardi di franchi, con un aumento del 2,6% rispetto all’anno precedente. Tenendo conto di circa 1 miliardo di franchi di reimport, per la maggior parte dovuto al riacquisto di stock, compensato da un fatturato stimato di 1 miliardo di franchi in Svizzera o dal 5% del valore totale delle esportazioni, il fatturato per il 2019 dell’orologeria svizzera rimane comunque di 20,5 miliardi di franchi, o 50,7 miliardi di valore al dettaglio.Da FHH
 
La Svizzera continua quindi a dominare, costituendo il 53% del mercato mondiale degli orologi in valore rispetto a un piccolo 2% del volume. Questo contrasto è indicativo del valore aggiunto dell’orologeria elvetica ma rappresenta anche un fattore di rischio, sapendo che la produzione è in diminuzione in termini di volume da oltre un decennio, dopo essersi nuovamente contratta del 13% nel 2019.
 
Come riporta Morgan Stanley, i sette “marchi miliardari” hanno fatto la parte del leone anche nel 2019. Hanno conquistato una quota di mercato di circa il 57% in termini di valore rispetto al 27% della produzione totale del settore. Estrapolando le tendenze attuali, la banca di investimento americana vede Richard Mille come un forte candidato a unirsi a breve a questo club esclusivo. Nel 2019 il marchio ha infatti registrato vendite stimate intorno ai 900 milioni di franchi, il tutto attraverso la propria rete di vendita al dettaglio.
 
«Per diversi anni, abbiamo visto come l’industria si è progressivamente polarizzata con marchi più venduti da un lato e, dall’altro, marchi di micro-nicchia come MB&F e Kari Voutilainen – ha commentato Oliver Müller, fondatore di LuxeConsult -. Tra i due poli, e considerando ciascuna fascia prezzo, la situazione diventa più complessa, soprattutto per coloro che competono negli stessi segmenti dei grandi marchi. In Cina e negli Stati Uniti, i due mercati principali per gli orologi svizzeri, la maggior parte dei consumatori è ancora attratta dal marchio e dallo status che ne deriva, prima che dal prodotto».
 
Da FHHNel suo rapporto, Morgan Stanley fa una distinzione tra marchi privati ​​e gruppi quotati dell’orologeria svizzera. Su questa base, stima che i primi quattro marchi di proprietà privata – Rolex, Patek Philippe, Audemars Piguet e Richard Mille – abbiano totalizzato un fatturato combinato di circa 9 miliardi di franchi nel 2019 e una quota di mercato congiunta del 35%. Sempre secondo le stime della banca, si sono assicurati circa il 55% dei profitti del settore con un margine operativo complessivo di circa il 30%. In confronto, i quattro gruppi quotati – Swatch, Richemont, LVMH e Kering – hanno sommato vendite per circa 16 miliardi di franchi svizzeri e totalizzato circa il 43% del margine di profitto del settore, con un margine operativo complessivo di circa il 13%.
 
«Questa differenza è in parte dovuta alla struttura – ha affermato ancora Müller -. Un marchio indipendente mette tutta la sua strategia e i suoi sforzi sul versante delle vendite. Inoltre, questi marchi hanno una flessibilità e una reattività che favoriscono i margini. I gruppi più grandi che possiedono più marchi hanno invece una struttura più centralizzata e una componente amministrativa più pesante. Il loro vantaggio risiede nella massa critica, nella capacità di diversificazione e nel supporto che possono offrire ai marchi che, nel loro portafoglio, performano meno. Tutto ciò costa loro un paio di punti percentuali in termini di redditività».