L’utilizzo di software non originali crea un danno gravissimo all’economia italiana. Basti pensare che, secondo i nostri studi, per ogni dollaro di programmi venduti se ne creano altri otto di indotto, tra maggiori occupati, attività di assistenza e consulenza e altro valore aggiunto. Nel nostro paese, quindi, siamo vicini a un ammanco da 10 miliardi di euro». La situazione è seria e grave (parafrasando Flaiano) e si capisce molto bene dalle parole di Paolo Valcher, che da tre anni è alla guida del comitato italiano di Bsa-The Software Alliance, l’associazione internazionale che tutela la proprietà intellettuale nel software. All’inizio del mese di giugno di quest’anno, l’associazione ha pubblicato il “2018 Global Software Survey: Software Management: Security Imperative, Business Opportunity”. L’indagine, che ha coinvolto circa 23.000 utenti, dipendenti e CIO, permette di quantificare la diffusione e il valore dei software privi di licenza installati sui computer in oltre 110 Paesi e regioni. A livello mondiale, il 37% dei software installati sui computer è privo di licenza.
Il 43% delle aziende usa software privi di licenza creando un danno nominale di oltre un miliardo, che arriva a 10 con l’indotto mancato
Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha impiegato software non originali – un tempo si sarebbe detto “pirata” – nella propria azienda o a casa. Un uso che riguarda il 43% delle aziende italiane e che mette a rischio la sicurezza delle imprese e che mina alle fondamenta una potenziale ricchezza per il nostro paese. L’Italia, da questo punto di vista, non è fanalino di coda in Europa, ma poco ci manca. Come o peggio di noi solo Cipro, Islanda e Grecia, mentre gli altri stati hanno iniziato un processo di maggiore attenzione verso i software originali. Il bicchiere, però, è anche mezzo pieno, perché il trend registrato da BSA è di una progressiva diminuzione della contraffazione dei software, calata nel 2017 rispetto al 2016 di un paio di punti percentuali.
Quello che però balza all’occhio è la ricaduta sul tessuto economico: se, infatti, il valore nominale delle licenze non originali è di un miliardo di euro, il conto complessivo si avvicina ai 10 miliardi. «È importante – aggiunge Valcher – tenere in conto che l’impatto economico è sulla realtà locale, sulla piccola azienda che opera a livello territoriale, non tanto sulle multinazionali che macinano utili e che quindi possono assorbire in maniera più agile un ammanco di questo tipo».
L’organizzazione sicura al 100% non esiste ma ci sono misure che aumentano molto il grado di tutela
Un aiuto, fortunatamente, sta provenendo dal GDPR: l’entrata in vigore del dispositivo normativo sulla sicurezza dei dati obbliga le aziende a un’attenzione capillare alla gestione delle informazioni e, di conseguenza, alla tutela dell’infrastruttura aziendale. I software non originali, che non offrono garanzie e che in molti casi possono fungere da “porta d’accesso” per i malintenzionati diventano quindi un pericolo da evitare. A livello globale, infatti, il 54% dei CIO (i Chief Information Officer, i responsabili aziendali della sicurezza) ritiene la riduzione delle minacce informatiche come la principale ragione per evitare l’uso di software senza licenza. Anche perché il cybercrimine costa alle imprese di tutto il mondo poco meno di 300 miliardi di euro all’anno. «È vero – ci spiega ancora il numero uno di BSA – che l’organizzazione sicura al 100% non esiste, ma è necessario mettere in atto comportamenti che aumentino in maniera significativa il controllo». Un’altra preoccupazione che turba i sonni dei responsabili della sicurezza aziendale è quello relativo alle possibili problematiche legali, sia per quanto riguarda contenziosi con le aziende produttrici di software, sia per quanto concerne le ricadute legali di un eventuale data breach originato da un software non autentico.
Il cybercrimine costa alle imprese quasi 300 miliardi di euro all’anno il 54% dei CIO ritiene che il software senza licenza sia un pericolo
Come detto, poi, c’è anche un tema di business: migliorare la compliance dei software rappresenta un abilitatore economico, visto che quando le aziende compiono azioni pragmatiche per migliorare la gestione dei software, possono migliorare i propri profitti dell’11%. «Questo perché un processo di SAM (Software Asset Management) – spiega ancora Valcher – è un processo certificato ISO ben definito e preciso. Comporta delle fasi di analisi del software e di manutenzione che consente all’azienda di sapere in maniera più precisa quali siano le tecnologie maggiormente utilizzate e quelle che invece rappresentano esclusivamente un costo. Di più: se consideriamo esclusivamente i risparmi relativi alla parte software, le aziende che applicano un piano SAM possono arrivare a tagliare i costi fino al 30%».
Un settore in particolare che sta beneficiando dei processi di Software Asset Management è la pubblica amministrazione che, sotto il controllo di Consip, hanno sviluppato dei piani di ottimizzazione dell’adozione di software. «Le soluzioni più interessanti – conclude Valcher – sono quelle ibride che comportano l’adozione di una parte in cloud e di una locale. In questo modo l’ottimizzazione dell’intera infrastruttura aziendale può diventare notevole».