Notre “Drame” de Paris ha compiuto tre miracoli

Notre Dame de Paris, Nostra Signora di Parigi ha fatto la grazia. Anzi, più di una. Innanzi tutto, ed è la grazia più importante, è rimasta in piedi, seppur mutilata della straordinaria guglia di 93 metri (ottocentesca, si badi, opera dell’architetto Viollet-le-Duc) dopo il terribile incendio scoppiato il pomeriggio del 15 aprile, che ha distrutto tutta la copertura lignea della basilica, la straordinaria “charpente” di cento metri per quaranta, una foresta intricata e bellissima di travi e putrelle ricavati da centinaia di querce secolari, l’equivalente di un bosco di tredici ettari, queste sì vecchie di ottocento anni.

L’altra grazia l’ha fatta al presidente Macron che, dopo settimane e settimane di proteste dei Gilet gialli, ha trovato, con straordinaria abilità, il modo di uscire dal Grand Débat che egli stesso aveva scatenato tra i francesi (due milioni di proposte postate sul sito dedicato del Conseil national du débat publique, un ente pubblico incaricato di interpellare i cittadini per le grandi decisioni soprattutto urbanistiche, e più di mezzo milione di pagine consegnate ai sindaci di 16mila comuni) con l’obiettivo di ascoltare i bisogni dei francesi mai come in questi mesi delusi dalla sua presidenza.

Nostra Signora di Parigi, con una straordinaria operazione di retorica civile (quella che manca alla politica politicante del nostro Paese), è diventata così il nuovo Grande Progetto nazionale, l’occasione per mettere insieme nel discorso pubblico “le sacré et le populaire” – il sacro e il profano – cioè a dire quell’insieme di storia, destini, orgoglio e senso di appartenenza che sono il collante di un popolo e di una Nazione. «Ricostruiremo la Cattedrale» ha detto Macron in un’allocuzione televisiva a reti unificate il 16 aprile: «La ricostruiremo tutti insieme perché Notre Dame de Paris è il segno del nostro destino di francesi».

Chapeau. Macron, messo all’angolo, considerato con disprezzo plebeo il “président des riches”, il più lontano dalla Francia profonda che vive “dans la misère”, ha saputo trasformare una tragedia (Notre Drame, ha titolato il quotidiano Liberation il  giorno dopo l’incendio) in una straordinaria occasione di unità nazionale.

Il “terzo miracolo” impatta sulle piccole e medie aziende (Pe, petite éntreprise, e Eti, éntreprise de taille moyenne) e per certi aspetti anche sulle grandi, quei colossi che danno il tono alla grandeur francese, da Louis Vuitton a L’Oréal al gigante petrolifero Total come vedremo.

Partiamo dalle piccole e medie. Da aziende come Le Bras Freres di Jarny (nel dipartimento della Mosella), 200 dipendenti, 25 milioni di fatturato e un’eccellenza invidiabile. Le Bras Freres con i suoi artigiani, falegnami, carpentieri, scultori, intagliatori, tecnici digitali fa parte del Gmh, Groupement des entreprises de restauration des monuments historiques, una piccola federazione del settore (200 associati con un giro d’affari complessivo di 600milioni di euro) e per questo, e per le sue competenze, era stata selezionata l’anno scorso per restaurare proprio la “flêche”, la grande guglia centrale di Notre Dame. «Abbiamo battuto i grandi gruppi», aveva dichiarato felice Julien Le Bras, il capo azienda, figlio del fondatore, intervistato dal quotidiano locale Le Républicain lorraine. Sì, la flêche è precipitata tra le fiamme e Julien non sa farsene una ragione, ma nel portafoglio dell’azienda ci sono il restauro del duomo di Strasburgo, della cattedrale di Amiens, la città natale di Macron, la cattedrale di Reims e di Poitiers.

Dopo l’incendio e l’emozione, Notre Dame sta preparando la stagione dei restauri e della messa in sicurezza di cattedrali e monumenti storici di proprietà dello Stato per anni abbandonati all’incuria essenzialmente per mancanza di risorse. Basta un dato: per circa 200 immobili, tra cui 86 cattedrali, la legge di bilancio 2019 ha previsto appena18,8 milioni di euro, vale a dire 100mila euro per immobile.

Ora per Notre Dame c’è la corsa alle donazioni da parte delle grandi aziende – con l’incredibile rilancio tra i due competitor del lusso, Bernard Arnault di Lvmh e François Pinault di Kering, un insieme di grandi marchi soprattutto italiani- e in pochi giorni si è arrivati a quasi un miliardo di euro.

Ma è solo marketing, si sfoga il direttore della Tribune de l’art. Perché questi mecenati miliardari non si sono svegliati prima, visto che una legge del 2003 consente di detrarre dalle tasse fino al 60% delle donazioni? Forse uno sconto fiscale non vale quanto tutte le citazioni sui giornali dopo la tragedia.