«Il made in Italy non nasce per creare il prodotto più cheap: per questo ci sono altri rispettabilissimi Paesi. La nostra vocazione non è quella di fare il prodotto più economico, ma di fare il prodotto più bello». Una frase che Massimo Carraro, presidente e amministratore delegato di Morellato Group, ci ha dispensato al termine della nostra intervista, ma che incarna così bene la mission del gruppo da guadagnarsi il privilegio di farne da apertura. Del resto, sul bello e sulla qualità Morellato Group ha costruito la propria immagine e un business che, nel 2018, ha portato a un fatturato di 178,2 milioni di euro, +8% sul 2017, con un Ebitda pari a 28,6 milioni. Numeri dietro ai quali c’è una storia che vale la pena di essere raccontata.
Dal cinturino all’orologio, dall’orologio al gioiello, da laboratorio artigiano a gruppo di rilevanza mondiale: come si costruisce una case history di successo come la vostra?
Morellato ha una caratteristica che è da sempre nel proprio dna: l’innovazione. Nasce nel 1930 da un’idea innovativa di Giulio Morellato, che aveva una orologeria a Venezia in cui riparava i segnatempo. Arrivato un po’ avanti negli anni, la vista gli si indebolì, smise di fare l’orologiaio e decise di intraprendere una nuova strada: creare cinturini per gli orologi che prima riparava. La sua famiglia conosceva infatti bene la realtà produttiva pellettiera della riviera del Brenta, da cui arrivava la materia prima. Nacque perciò dal territorio, ma già con l’idea di innovare, perché all’epoca il signor Morellato fu il primo in Europa a fabbricare i cinturini in pelle: l’orologio da polso non era infatti ancora un oggetto così diffuso, perché prevaleva l’orologio da tasca. Il cinturino fu quindi il primo elemento di innovazione della sua impresa. Dopo la morte di Giulio Morellato, in azienda subentrarono tre soci, tra i quali suo figlio e mio padre, mentre il mio turno arrivò nel 1988. Un esordio segnato da un aneddoto curioso. All’epoca ebbi l’occasione di parlare con il patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, ad Agordo; mi dedicò due ore nelle quali gli esposi le mie idee imprenditoriali, frutto del mio entusiasmo giovanile. Me le smontò tutte in pochi minuti, insegnandomi che da sole non bastano: va bene la passione, ma va sostanziata da numeri e analisi per far sì che le idee siano sostenibili. E concluse suggerendomi una cosa tanto banale che nemmeno l’avevo pensata: per mettere in pratica tutte le idee che avevo, l’azienda me la dovevo comprare. Ci ragionai e grazie all’aiuto di un banchiere che finanziò un leverage sul 100% del capitale, nel 1990 e la acquisii insieme a mio fratello.
E ha messo in pratica le sue tante idee?
Da lì è cominciato un percorso prima di espansione internazionale, poi di innovazione di prodotto grazie a quella che era la nostra idea più forte e che si è dimostrata vincente: il “gioiello da vivere”. Qualcosa che potesse essere indossato tutti i giorni, in ogni situazione, e che non fosse limitato alle occasioni speciali o eleganti. Nel 2006 abbiamo poi espanso ulteriormente la nostra presenza nel mondo dell’orologeria acquisendo la storica azienda italiana Sector con gli altri marchi del suo gruppo, tra cui Philip Watch. Un’acquisizione che si basava anche sulla condivisione di valori, visto che la stessa Sector nasceva con un forte concetto innovativo: l’idea del limite da superare, l’uso dei primi brand ambassador, per esempio. Altra innovazione, meno visibile ma altrettanto importante, è l’idea di integrazione che sta alla base del Gruppo: nel 2008, con l’acquisizione della catena di negozi Blusepirit, passati dai 40 di allora agli attuali 180, è nata l’idea di un format multimarca simile a quello dell’occhialeria.
Torna la lezione di Del Vecchio?
Più in piccolo, ma sì. Infine, oltre all’innovazione di prodotto e di processo, anche quella organizzativa, con l’implementazione della vendita omnichannel grazie all’acquisizione, lo scorso anno, del retailer online Chronos, diventato in Italia anche retailer offline.
Quali sono l’approccio del gruppo al concetto di made in Italy e la sua interpretazione nell’orologeria e nella gioielleria?
Tutti i nostri marchi sono quelli della grande tradizione italiana. Anche quando parliamo dell’orologio Swiss Made di Philip Watch, stile e design sono fatti a Milano e l’head quarter è sempre rimasto in provincia di Padova dove ancora si realizzano tutti i cinturini degli orologi di alta gamma. Viviamo però la tradizione italiana in senso dinamico e ne siamo interpreti per portarla sui mercati internazionali. Nello stile, nel design e nel gioiello l’Italia ha una grande tradizione, per cui abbiamo tutte le opportunità di farla valere anche all’estero.
Globalizzazione o glocalizzazione: quali i mercati più promettenti per il Gruppo?
Presidiamo fortemente il mercato domestico, che rimane per Morellato quello più importante. Abbiamo una forte presenza in Europa, dove la Francia è ora per noi il secondo mercato e sta crescendo ancora grazie anche all’acquisizione di Mister Watch, azienda francese di distribuzione di orologi che abbiamo fatto nostra a gennaio 2019. Lo dico con una punta di soddisfazione, perché portare lo stile e il prodotto italiano in un Paese dove c’è cultura del bello e in cui non mancano aziende che fanno del lusso e dello stile il loro core business, è una bella sfida.
I marchi di Morellato Group sono quelli della tradizione italiana e il mercato domestico resta il più importante
Portiamo cultura d’impresa, cultura di prodotto e i nostri valori di tradizione estetica e di qualità che hanno uno standing ai massimi livelli. La nostra non è dunque una strategia di globalizzazione ma di affermazione dei valori del made in Italy nei mercati individuati da noi come riferimenti: Europa, appunto, Medio Oriente e, negli ultimi dieci anni, anche l’Asia. Per scelta strategica siamo meno presenti nel continente americano, perché vogliamo crescere sui mercati chiave nei quali vediamo che i nostri prodotti funzionano bene, evitando di disperderci su contesti meno remunerativi.
Ha ancora senso dover scegliere tra prezzo e qualità?
Qualità e stile devono andare di pari passo. Ma se devo scegliere, scelgo la qualità. Il prezzo non è la nostra ossessione, ma siamo sempre stati attenti a posizionare ciascuno dei nostri marchi nel proprio corretto segmento. Ci guida il value for price: non la ricerca del prodotto cheap, ma di un prodotto che esprime i valori del made in Italy, dello stile, della qualità, del design al miglior prezzo di mercato, che non è il più basso.