Diverse aree geografiche sono ancora nel pieno dell’emergenza sanitaria e umana, con regimi di lockdown ed è, dunque, naturale porsi la domanda: “Quando finirà tutto questo? Quando torneremo alla normalità?” Il vero problema è che ciò che prima era “normale” non necessariamente è anche sostenibile e questo è molto chiaro a chi opera nel settore energetico.
Lo scenario connesso al “business as usual” prospettato dall’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nel World Energy Outlook 2019 non è certamente roseo: continuare con le emissioni di biossido di carbonio dovute al consumo di combustibili fossili causerebbe un aumento della temperatura di oltre tre gradi.
In alternativa, l’AIE ha presentato uno “scenario di sviluppo sostenibile” che assicurerebbe il rispetto dell’Accordo di Parigi, cioè l’obiettivo di limitare l’aumento a 1,5°C. Il problema è che, secondo l’OCSE, dovrebbero essere spesi 6.300 miliardi di euro all’anno a livello globale per i prossimi dieci anni per ottenere tale risultato (per dare un’idea di questo importo: si tratta di circa l’8% dell’economia mondiale stimata in circa $86 miliardi di euro). Così la sfida sembrerebbe praticamente impossibile.
Le stime dell’AIE e dell’OCSE si basavano, tuttavia, su tassi previsti di domanda di energia basati su determinati comportamenti attesi della popolazione mondiale (sviluppo urbano, pendolarismo, consumo). Queste proiezioni precedono di qualche mese l’inizio della pandemia e prevedevano l’aumento della nostra domanda di energia del 25% tra il 2019 e il 2040.
Da quando il Covid-19 ci ha costretti al lockdown, tuttavia, i nostri comportamenti sono cambiati radicalmente. Ad esempio, il nostro modo di lavorare e di partecipare a riunioni di lavoro è basato ora su piattaforme telematiche come Zoom e Skype e gli spostamenti fisici sono più limitati. In aggiunta, si pensi allo shopping online, alla telemedicina, ai cibi e farmaci consegnati a domicilio e così via.
A seguito dei cambiamenti dei nostri comportamenti, la domanda di energia è crollata (il fabbisogno di petrolio è diminuito del 30% a livello globale e la domanda di energia giornaliera si è contratta di almeno il 15% in Francia, India, Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti) e le emissioni si sono ridotte drasticamente. Inoltre, la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale è aumentata.
L’ultima stima prevede che quest’anno le emissioni globali di CO2 diminuiranno dell’8%. Solo nel Regno Unito, a causa del cambiamento nei modelli di domanda di elettricità, il 60% dell’elettricità prodotta ora è priva di carbonio (39% di energie rinnovabili e 21% di energia nucleare) e l’intensità di CO2 nel sistema di produzione energetica del Regno Unito si è dimezzata a circa 100 gCO2 / kWh. I livelli di inquinamento sono diminuiti di circa il 50% a Londra, portando a una qualità dell’aria notevolmente migliore. Allo stesso modo, le città da Delhi a Bangkok a Pechino hanno tutte registrato una riduzione senza precedenti dei livelli di inquinamento.
Vi sono, ovviamente, molte nuove sfide determinate dai cambiamenti che stiamo vivendo e molti segmenti della filiera energetica stanno soffrendo. Tuttavia, abbiamo assistito ad alcuni effetti positivi. Molti di noi sono stati in grado di reindirizzare il tempo solitamente impiegato per recarsi sul posto di lavoro o per muoversi tra una riunione e l’altra verso una maggiore produttività, più tempo personale e dedicato alla famiglia e un maggiore coinvolgimento nelle nostre comunità.
Se questa tendenza dovesse sedimentarsi dopo il lockdown, creerebbe nuove opportunità per le imprese locali, un decentramento della ricchezza e una maggiore vitalità dei piccoli centri urbani.
La perdurante presenza del Covid-19 negli anni a venire potrebbe anche portare molti a ripensare il desiderio di vivere nelle grandi città – duramente colpite dalla pandemia – e ad una conseguente rinascita delle province. Tutto questo avrà sicuramente un impatto sulla distribuzione della domanda energetica e, al contempo, potrebbe portare a un ripensamento degli attuali modelli urbanistici.
Sarebbe imprescindibile, a questo punto, indirizzare una parte degli investimenti destinati alla decarbonizzazione verso le infrastrutture e le tecnologie che servono a supportare quei nuovi comportamenti in grado di ridurre la domanda di energia (dalla banda larga in fibra ottica superveloce, alla tecnologia per riunioni video, dalle piste ciclabili dedicate alle consegne tramite droni, finanche a innovazioni ad oggi non ancora prese in considerazione). In considerazione di tutti i potenziali benefici che abbiamo potuto apprezzare durante questa pandemia, questa sembra la via obbligata da percorrere, in grado di aiutare a correggere alcune diseconomie intrinseche alla nostra società.