Un calo del Pil 2020 tra il 3 e il 4%, una percentuale di aziende che falliranno stimata nel 10% da Cerved, un 5% in più di disoccupazione; un rapporto tra il debito pubblico e il Pil che salirà dall’attuale 135% verso il 150%. Lo stillicidio di funeste previsioni nuoce all’umore di queste settimane surreali quasi quanto il virus alla salute. Non uccide ma deprime. E bisogna reagire. In tutti i pochi modi possibili. Tra i quali, comprare italiano. E quando si potrà riprendere a farlo, viaggiare in Italia e fare vacanze in Italia.
No, non è una cosa di destra né tantomeno sovranista, per quanto la dicano Salvini e Di Maio. Anche un orologio fermo, due volte al giorno per un secondo indica l’ora esatta. È una cosa di buon senso. Qualche bello spirito ha iniziato a sfottere dicendo che a comprare italiano si danno soldi a filiere che poi per l’80% trasferiscono quel valore in Paesi stranieri e che invece a volte comprando straniero si dà linfa a subfornitori italiani. In parte è vero, per alcuni settori, ma dipende. Il “chilometro zero” è italiano per definizione. E tenere all’interno dei conti nazionali una parte più rilevante del valore aggiunto, indirizzare la ricchezza privata delle famiglie più all’interno che all’esterno del nostro organismo socio-economico non è di destra né di sinistra.
Il decreto di marzo “Cura Italia” stimola direttamente soltanto la domanda aggregata del settore sanitario, e meno male. Per il resto aiuta ma non rilancia. Occorreranno i nuovi aiuti e poi una poderosa – quella sì – stagione di in investimenti pubblici. Occorrerà fare deficit e quindi aumentare il debito, sperando che la fucileria della Bce contenga davvero lo spread. Al momento, tra i primi 120 miliardi stanziati per il virus, i successivi 750 e gli altri, ordinari, già previsti, la Banca centrale europea ha 1.000 miliardi di euro di munizioni pronte per arginare la speculazione. Il 17% può essere speso per i Btp itaiani. Speriamo li usi.
Quando l’epidemia passerà – perché passerà! – il mondo si ritroverà sotto un cumulo di macerie economiche che gli Stati più finanziariamente deboli come il nostro faranno più fatica a scuotersi di dosso. Ma se come Stato siamo deboli, come cittadini siamo finanziariamente ancora abbastanza benestanti (non quanto prima della crisi 2008-2009). Possiamo ricominciare a spendere e a investire. Possiamo rialzarci, come auspica la nostra copertina.
E lo Stato? Anche, se rimetterà in moto il ciclo virtuoso dell’economia. Ma anche e soprattutto a un’altra condizione. Basta incompetenti al governo. Qualche ministro di questo esecutivo, per il solo fatto di essere stato nominato a rappresentare il Paese ne costituisce in realtà un vilipendio. Basta incompetenti e largo, invece, a politiche ambiziose sostenute e attenuate da tecnici eccellenti. Scelte imprenditoriali, mani manageriali, burocrazie ridotte al minimo indispensabile, come con un grande commissariamento per quello che dovrà essere un febbrile – ma di febbre buona – cantiere nazionale. È un’utopia, si sa. Ma l’Italia dà il suo meglio – e da millenni – nelle emergenze, nei Dopoguerra. E poiché questa del virus è una guerra, c’è solo da sperare di incominciare presto il nuovo Dopoguerra.