Si sa, il nero va su tutto, e ultimamente il “total black” fa tendenza anche in tavola. Nero il pane, nero il gelato e nera persino la mozzarella. Per alcuni di questi prodotti si tratta solo di una questione estetica, gusto e proprietà nutrizionali c’entrano ben poco. Per altri invece l’apparenza va a braccetto con una sostanza d’eccellenza. È il caso di Riso Venere, il primo riso nero aromatico italiano, con una storia di coraggio e innovazione alle spalle che vale la pena conoscere. 

Alle origini del mito

Oggi Riso Venere fa parte del nostro quotidiano, protagonista della cucina casalinga come dei menu stellati, così versatile da poter essere abbinato agli ingredienti più diversi nelle insalate come nei risotti e nei dessert. Venere è un riso integrale dai chicchi arrotondati, apprezzato per la sua capacità di non scuocere e per l’aroma inconfondibile che ricorda quello del pane appena sfornato. Ricco di fibre, vitamine del gruppo B, sali minerali (zinco, calcio, manganese, ferro, selenio), proteine e antociani (preziosi antiossidanti), è un concentrato di gusto e proprietà benefiche, che appaga le esigenze di un consumatore attento alla qualità come quello di oggi. Non stupisce quindi il successo ottenuto negli ultimi anni; a sorprendere invece è scoprire che questo riso è nato nel 1997 da una ricerca portata avanti in un periodo in cui i concetti di nutraceutica, sostenibilità ambientale e tracciabilità delle origini non erano certamente popolari come oggi. Ma anche in un momento nel quale parlare di riso significava ancora far riferimento alle ricette della tradizione, preparazioni classiche pensate per le varietà più note. In un contesto come questo, puntare sulla creazione di nuove varietà, sul miglioramento delle proprietà nutrizionali del chicco e della pianta in modo tale da limitare l’impiego di sostanza chimiche e agro farmaci, e fare tutto questo esclusivamente attraverso incroci naturali senza l’uso di OGM, significava avere uno sguardo lungimirante e il coraggio di mettersi in gioco. Soprattutto se a farlo non era un’azienda dai grandi numeri che poteva permettersi qualche azzardo, ma una cooperativa dalle dimensioni medio-piccole specializzata nella produzione di riso da seme, che aveva deciso di puntare sull’innovazione aprendo, nel 1989 – a soli 10 anni dalla sua fondazione – il proprio Centro Ricerca&Sviluppo (oggi insediato presso l’azienda Acquacrosa in Borgo Vercelli). Ed è proprio così che è nato il riso Venere, nei laboratori della Cooperativa agricola SA.PI.SE. – acronimo di Sardo Piemontese Sementi – realtà fondata nel 1978 dall’unione di agricoltori sardi e piemontesi e oggi impegnata nella coltivazione, produzione e commercializzazione di sementi di riso certificate e sempre più nella ricerca di nuove varietà di risi speciali di alta qualità destinati a consumatori sempre più esigenti.

Una lezione da ricordare

«Dopo 10 anni di vita della coop abbiamo pensato fosse il momento di iniziare a produrre varietà nostre, più moderne, introducendo materiale genetico nuovo – ci racconta Elisabetta Falchi, presidente di SA.PI.SE. – per farlo abbiamo coinvolto un genetista arrivato dalla Cina che aveva portato con sé i chicchi di una varietà di riso nero, il riso dell’imperatore, consumato solo dai cinesi più abbienti.

«Quando lo abbiamo proposto a Gualtiero Marchesi se n’è subito innamorato: la sua piramide di riso venere ha fatto la storia»

Dopo ricerche e incroci che hanno permesso a questa preziosissima varietà di adattarsi ai nostri climi, è nato Riso Venere». «Che si trattasse di un prodotto dalle grandi potenzialità lo avevamo capito subito – prosegue – e infatti, quando lo abbiamo proposto a Gualtiero Marchesi, lui se ne è subito innamorato: la sua Piramide di Riso Venere ha fatto la storia. Oggi non c’è un grande chef che non lo abbia in menu, e anche i consumatori lo amano e lo acquistano, ma le cose non sono sempre andate così. Core business della cooperativa è sempre stato la vendita di riso da seme; la produzione di Venere è rimasta a lungo una nicchia affidata interamente al nostro socio Claudio Cirio, al quale va riconosciuto il merito di aver mantenuto sempre il prodotto sul mercato nonostante le piccole quantità vendute, data la nostra consapevolezza di avere in mano un prodotto di particolare eccellenza. Tutto è cambiato negli ultimi 10 anni, perché sono cambiati i consumatori, più consapevoli e sempre alla ricerca della qualità. Anzi, proprio ora che il mercato del riso sta vivendo un momento di grande difficoltà dovuto alle importazioni dei Paesi Asiatici che stanno mettendo a rischio la produzione europea facendone crollare i prezzi, è stato proprio il Riso Venere a permetterci di affrontare la crisi a testa alta: il suo grande successo ci ha consentito di avere una chance in più di ricollocamento». Altro asso nella manica di SA.PI.SE. nella partita contro l’invasione del riso asiatico è l’Apollo, una varietà aromatica dal chicco allungato «nata per garantire al consumatore un prodotto italiano e certificato in alternativa ai tanto di moda Basmati e Jasmine dalle origini spesso non tracciabili». Venere e Apollo, prodotti dai nomi evocativi «che nascono dalla passione dei soci della Cooperativa, per l’astronomia e il pantheon greco – conclude Elisabetta Falchi – nomi che attingono alle divinità dell’Olimpo per designare risi davvero speciali e di alta qualità».

DAL CAMPO AL PIATTO

Per garantire il consumatore su origini e autenticità del Riso Venere, fin dall’inizio SA.PI.SE. ne ha affidato coltivazione e produzione solo ai Soci della Cooperativa, e da alcuni anni, con l’aumento della richiesta, ad agricoltori selezionati chiamati a rispettare un protocollo di coltivazione con livelli qualitativi al di sopra degli standard stabiliti per legge e con l’obbligo di conferire l’intero raccolto a SA.PI.SE. La filiera di riso Venere va dalla produzione alla commercializzazione, in un percorso di tracciabilità dal campo al piatto.

UN PONTE IDEALE TRA PIEMONTE E SARDEGNA

Che SA.PI.SE. sia una realtà all’avanguardia è ormai chiaro; uno spirito innovativo che la Cooperativa ha scritto nel dna. «Quando a fine Anni ’70, mio padre e altri produttori amici sardi e piemontesi hanno pensato di costituire una cooperativa per valorizzare il loro prodotto, tagliando i vari intermediari per coltivare, lavorare, certificare e commercializzare direttamente il riso, il concetto di filiera chiusa, oggi così in voga, in Italia non esisteva ancora» racconta Elisabetta Falchi, «la grande idea è stata mettere in sinergia due territori come Sardegna e Piemonte, in modo tale che l’eccellenza produttiva del primo fosse valorizzata dalla centralità commerciale del secondo: un ponte tra le risaie di Oristano e la Borsa Merci di Vercelli, cuore del commercio del riso, vicino alla quale venne infatti aperta la sede della Cooperativa». L’unione di due regioni così distanti tra loro rappresenta la peculiarità intrinseca di SA.PI.SE., che si traduce nella coltivazione e produzione di sementi provenienti sia da terreni sardi, che restituiscono un seme ad alta germinabilità, sia da terreni piemontesi, e che ad oggi coinvolge 15 Soci produttori.

L’alto livello di qualità del prodotto commercializzato è assicurato anche dalla selezione delle sementi elette all’interno dei tre impianti (due in Piemonte, uno in Sardegna) che ogni anno lavorano circa 120mila quintali di riso da seme destinato alla certificazione e al mercato sementiero italiano ed estero.