Il rally dell'auto elettricasi corre sulle batterie

 

 

Che un personaggio come Elon Musk possa essere, oggi, l’icona mondiale forse più celebre dell’innovazione, è un segno dei tempi.

Il suo clamoroso abbandono dell’annunciata maxi-Opa da 44 miliardi di dollari su Twitter – dichiarato nella serata americana di ieri – è solo l’estrema dimostrazione di una totale inaffidabilità. A dirlo sembra un sacrilegio, visto il successo planetario di Tesla e di SpaceX e vista anche leadership di Paypall, la prima creatura di Musk. Ma la creatività e i guizzi di genialità – oltre che la maniacale determinazione del personaggio – sono indiscutibili: quel che non è dicibile ma risalta è la sregolatezza strategica e politica che lo rende un gigante dai piedi d’argilla.

L’eccezione Paypall, l’assistenza pubblica a SpaceX
A parte Paypall, la prima fintech a giovarsi della tendenza poi esplosa in tutto il mondo a proteggere i flussi dei pagamenti elettronici connessi all’e-commerce, sia Tesla che SpaceX hanno un modello di business in buona parte costruito su misura delle commesse pubbliche americane. SpaceX, perché ha avuto buon gioco a fare dei prodotti spaziali validi ma competitivi con quelli precedentemente utilizzati dalla Nasa più per il prezzo che per le prestazioni: bravi, ma non così innovativi. Non va sopravvalutata la tecnologia spaziale usa, nè quella della Nasa nè tantopiù quella di Musk. Se in questo momento storico la stazione orbitante è ancora a tecnologia mista con i russi, e se fino a un anno fa erano russe le navicelle che portavano lassù i nuovi equipaggi, è segno che alla fin fine certe tecnologie ormai sono più accessibili di quanto appaiano ai profani.

Il clamoroso equivoco dell’eccellenza Tesla
Clamoroso poi l’equivoco Tesla. Le auto di quella marca non hanno più già da tempo nessuna leadership tecnologica sulle concorrenti prodotte dai gruppi tradizionali. Hanno avuto, questo sì, il coraggio e il merito dell’anteriorità: aver cominciato per primo a produrre auto elettriche, anche se in perdita marcia, oggi sembra una prodezza, perché Wall Street ha creduto nella proposta di Musk e l’ha sostenuta premiando le sue azioni fino al valore assurdo di 800 dollari e oltre; ma la sostanza del business è rimasta sempre gracile. Dieci anni fa le neonate Tesla erano le auto di pochi ricchi esibizionisti. Oggi costano meno, non sono più uno status symbol e non fanno più alcuna marcata differenza tecnologica.

I certificati verdi, statalismo yankee
Quel che ha iniziato a girare bene è stata invece la vendita dei certificati verdi alle altre imprese metalmeccaniche, inquinanti: quindi lo sfruttamento di una legge premiale varata dagli Usa nel tentativo inutile di abbattere le emissioni, di nuovo quindi soldi indirettamente pubblici. Una forma di statalismo all’americana, yankee ma sempre parapubblico.

A quel punto, sentendosi arrivato, sentendosi ormai irraggiungibilmente genio universale, Musk ha fatto quel che fanno tutti i super-ricchi, cioè ha iniziato a interessarsi di politica: un meccanismo psicologico banale, infantile, ripetitivo, che induce chi sul piano economico ha tutto, a cercare di rimettersi in gioco per vincere tutto a anche su un altro piano, quello dove i soldi non bastano perché ci vuole il consenso popolare, il successo emozionale che porta (o contribuisce a portare) alle elezioni. Insomma: per tutto il resto c’è Mastercard, ma per contare davvero c’è la politica.

Il genio non fa la politica dei comuni mortali
Però siccome misurarsi coi comuni mortali è offensivo per il suo Ego, e quindi il genio non può candidarsi alle elezioni, Musk ha deciso di fare politica con altri mezzi, cioè coi social media, e ha preso di mira il più politico e insieme il più vulnerabile di tutti, Twitter. Tanto vulnerabile da essere notoriamente pieno di iscritti falsi. Quanto pieno? Bella domanda: Musk gliel’ha posta pubblicamente, a quelli di Twitter che peraltro hanno risposto farfugliando, e ha fatto crollare il titolo in Borsa, perché Wall Street finge ancora di credere all’autenticità dei dati del traffico sulla Rete dichiarati dai Big del web e quindi se qualcuno dice che il re è nudo deve ancora scandalizzarsi e punire i titoli “colpevoli”. Fine della pantomima: Musk ha in realtà semplicemente cambiato idea, e ha trovato il modo di giustificare l’ennesima giravolta dettatagli dalla sua instabilità mentale. E Twitter resterà un’azienda debole ma troppo grande per fallire.

Ecco i modelli di futuro che ci propone la cultura americana. Che peccato: l’innovazione è una cosa troppo seria per lasciarla in mani del genere, solo perché sono piene di soldi.