Covid: il cibo diventa la prima ricchezza del Paese, vale il 25% del Pil

di Gabriele Costantino *

Criticare la over-regolazione dell’Unione Europea è esercizio sin troppo facile, seppur spesso ben giustificato. La ridondanza di regolamenti, e dei contenuti dei regolamenti, tende inevitabilmente ad allontanare cittadini ed operatori, che comprensibilmente contrappongono il “buon senso” e la “opportunità” all’osservazione di disposizioni di cui – a volte – si fatica a percepire il legame con le pratiche sociali ed economiche correnti. Occorre però non semplificare troppo e cercare di comprendere ragioni e modo di scrittura di certi regolamenti. È questo il caso del regolamento 848/2018 circa la produzione e l’etichettatura dei prodotti biologici. La prima osservazione che forse vale la pena di fare è che questo non è un regolamento che – per lo meno in maniera diretta – riguarda la salute e la sicurezza dei consumatori. E’ un regolamento che riguarda principalmente la libera concorrenza e gli ambiti di sfruttamento commerciale di pratiche di coltivazione ed allevamento riferibili quali ’biologiche’. Da circa tre decadi, infatti, si è osservato come il mercato sia predisposto a pagare prezzi superiori per uno stesso prodotto se etichettato come biologico. Non è questo il luogo dove discutere sulle caratteristiche merceologiche e salutistiche di questi prodotti rispetto a quelli convenzionali, ma già nel 1991 la allora Comunità Europea intese regolare le caratteristiche che un prodotto – o la sua modalità di produzione – deve avere per poter esser così etichettato. Il consumatore, quindi, deve esser garantito dal fatto che, pagando un sovrapprezzo, acquista un determinato insieme di proprietà. Egualmente, un produttore non può arbitrariamente richiedere il sovrapprezzo attraverso una impropria etichettatura se il suo prodotto non presenta le stesse proprietà, anche perché, si notava, la cosiddetta agricoltura (e poi allevamento) biologica comporta approcci di minor sfruttamento (del suolo, degli animali) che generano maggior costo. 

Il regolamento quindi intendeva originariamente tutelare la leale concorrenza dei produttori, ma introduceva anche, in questo modo, i primi elementi espliciti di riferimento al fatto che una agricoltura (allevamento) meno intensivo produce minor impatto ambientale e che quindi, usando una terminologia attuale, contribuiva al raggiungimento dell’obiettivo ‘One Health’. Ecco, questi sono i ‘germogli’ che hanno portato finalmente al regolamento 848/2018 entrato in vigore al Gennaio 2022. Se proponiamo una lettura basata sull’evoluziong ‘storica’ del regolamento certe prescrizioni generali possono apparire meno bizzarre, e possiamo darne un’interpretazione forse meno lontana dalle pratiche di buon senso.

L’esercizio logico dell’inversione del ragionamento (avrebbe mai senso un regolamento che “… Non preveda una produzione animale adeguata al luogo di allevamento?”) trova quindi una sua spiegazione sul fatto che il regolamento ha trasformato quelle che erano ‘caratteristiche’ per definire un prodotto  o una pratica quale ‘biologica’, in ‘obiettivi’ dei prodotti e delle pratiche esplicitando così il ruolo non solo economico, ma anche di propulsione del cosiddetto ‘green deal’ che il legislatore europeo attribuisce alle pratiche biologiche. 

È naturalmente vero che, come qualsiasi intervento-quadro, il regolamento 848/2018 enunciando principi di elevata generalità, che si riferiscono a proposizioni etiche (diritto al benessere di qualsiasi essere senziente) lascia il campo libero a rivoli interpretativi e lobbistici (anche tra Stati membri), ma guardando il lato positivo va anche detto che impone una traiettoria di sviluppo alle metodologie biologiche.

Il recepimento dei principi fondativi del Regolamento deve innescare un processo di ammodernamento dei sistema globale di gestione aziendale che – non dimentichiamo – consentirà ai prodotti di avere ‘claims’ di notevole portata sociale ed etica cui corrisponde una capacità concorrenziale aumentata.  Sarà cura dell’interazione tra organismi europei, strutture di controllo nazionali e organizzazioni di produttori stilare il quadro regolatorio che discende e non è contenuto nel regolamento 848/2018. Come è avvenuto e sta avvenendo in ambiti simili, basti pensare agli integratori alimentari, o ai cosmetici, la regolazione imporrà costi e oneri alle aziende, ripagati però da una maggiore fiducia del consumatore e consentirà l’emersione della qualità, a tutela stessa  del complesso del settore. 

*Docente di Economia e management dei sistemi alimentari sostenibili all’Università di Parma