Il concordato in continuità della Moby-Tirrenia che il Tribunale di Milano ha approvato e che potrebbe andare in attuazione quanto prima – salvo improbabili intoppi – batte ogni record: ogni record di scorrettezza giuridica e procedurale. E crea ogni genere di danno al sistema senza garantire i risultati che promette.

Com’è possibile? E’ possibile, perché tutta la vicenda Moby Tirrenia è stata inquinata dalla politica ed era in fondo assurdo che non lo fosse la sua conclusione. Ma un “punto” della situazione merita di esser fatto, perché lo scandalo, c’è da giurarci, passerà alla storia. Ed è talmente clamoroso che forse, chissà, potrebbe ancora essere scongiurato.

Dunque, quella che si profila è la più grave – e meno dibattuta! – singola truffa ai danni dello Stato mai perpetrata in Italia, in violazione palese di tutte le regole. Un concordato in continuità definito mentre poche stanze più in là, in altri uffici dello stesso Palazzo di Giustizia, la Procura accumula prove contro il traffico di influenze tentato per anni da Vincenzo Onorato per difendere la sua disastrosa gestione della flotta di traghetti comprata (ma non pagata!) dallo Stato, trescando con metà politica nazionale per coprire dissipazioni e incapacità, in barba alla concorrenza, ai contratti sottoscritti e a tutti gli impegni assunti, promettendo in cambio generi vari di conforto politico… Stabiliranno gli inquirenti se queste promesse sono state mantenute, ma le intercettazioni parlano chiaro e raccontano un modo di procedere, un approccio al business a dir poco nauseante.

E mentre nelle stanze della Procura si catalogano prove a carico di Onorato & family, negli uffici accanto se ne difende la continuitò operativa, gratificando la famiglia di un nuovo giro di giostra gestionale nell’azienda che ha semidistrutto, perpetuando l’opportunità di mala gestio.

Incredibile, ma vero. Per carità: il garantismo è d’obbligo, e non c’è ancora una sentenza a certificare che Onorato le aveva provate tutte per scongiurare il crac che la sua incapacità stava facendo maturare; ma intanto, l’obiettivo dell’inquisito sta per essere raggiunto, sia pure per via concordataria.

Tutte le violazioni possibili sono state commesse, dunque. Si pretende di chiudere un buco debitorio di circa 600 milioni di euro pagandone appena 150, del tutto inadeguati a rimborsare decorosamente i creditori – innanzitutto lo Stato ma anche alcuni privati, tra cui il gruppo Grimaldi, concorrente di Tirrenia e di Gnv (che partecipa all’azionariato di Economy e che si è appellata contro il concordato con una serie di forti motivazioni).

Certo, quei soldi sono sufficienti a mandare avanti la baracca, ma a reale vantaggio di chi? Non dei 5000 dipendenti del gruppo, i cui salari avrebbero potuto essere garantiti in mille altri modi, no: il vantaggio è stato innanzitutto degli Onorato, com’è chiaro dalle carte concordatarie; e poi del gruppo Msc, che fa capo all’armatore italo-svizzero Gianluigi Aponte (italo di nascita e svizzero di tasse): il quale si prende con due lire il controllo di fatto di una flotta che ha pur sempre una cinquantina di navi, mezzo scassate, ma forti di un brand quasi secolare.

E poi – altro incredibile dettaglio, che dettaglio non è – la famiglia Onorato resta formalmente detentrice del 51% del capitale. Come mai, visto che non mette un euro? Formalmente, perché conferisce gli asset. In sostanza perché con questa percentuale maggioritaria in capo agli armatori del dissesto, il vero nuovo padrone, Msc, non è tacciabile di violazione della concorrenza: o meglio, questo immaginano i suoi fantasiosi consulenti legali. In cambio di questo “portage”, la famiglia Onorato mantiene in cariche aziendali di rilievo i due “delfini”. Insomma, il concordato affida le pecore al lupo, o ai lupetti.

Il concordato avrebbe dovuto invece essere preventivamente sottoposto – secondo legge e ancor prima secondo buon senso – all’autorizzazione dell’Antitrust, e non lo è stato. Non notificare l’operazione all’Antitrust è come erogare un indebito aiuto di Stato, illecito per l’Europa, eppure non è stata notificata. Ma questa è una violazione dello Stato italiano rispetto alle norme comunitarie!

La Corte dei conti doveva e dovrà capire perché  i commissari della Tirrenia-Moby, cui spettava l’obbligo di tutelare il diritto dello Stato a incassare il prezzo pattuito e mai pagato da Onorato per la privatizzazione Tirrenia, hanno rinunciato a questo loro ruolo e all’esercizio di quel diritto: ma al momento la Corte non è intervenuta.

Se qualcuno, negli uffici tecnici dei ministeri, durante il governo Draghi ed anche adesso, ha pensato che avallare questo pastrocchio fosse il modo giusto di estinguere una possibile crisi sociale da 5000 posti che potevano essere bruciati, ha fatto male i conti.

Con un’omologa su un concordato così anomalo, lo Stato si assume una serie di responsabilità verso l’Antitrust e l’Europa – e anche verso il sistema – a fronte delle quali rinuncia ai suoi diritti e pregiudica i diritti degli altri creditori fregati, a cominciare da Grimaldi Group. Se le cose gestionalmente andranno male, la responsabilità sociale ricadrà comunque sullo Stato.

E tutto ciò sta accadendo a suggello di una “combine” politica che le cronache giudiziarie stanno intanto quotidianamente raccontando.

Per carità: all’attivo c’è l’intervento finanziario del gruppo Msc. Ma sarebbe a dir poco ingenuo vederlo come una sorta di atto solidale verso Onorato e tantomeno verso i dipendenti della flotta: per il comandante svizzero questa è semplicemente una spesa che deve fruttare. A fronte di essa, peraltro, l’asset-flotta esce dalla società titolare dei rapporti di lavoro. Da una parte resta dunque la flotta, sotto l’egida di Msc e Onorato; dall’altra restano i lavoratori. Con quali garanzie?

In realtà l’impostazione del piano di intervento rivela la reale logica che lo ispira: separando i creditori chirografari ed i lavoratori dalla flotta, mette a repentaglio sia il soddisfacimento dei crediti – almeno quelli che non risultano realizzabili nel breve termine di sei mesi previsto per l’ esecuzione del concordato, come nel caso di Grimaldi – sia i posti di lavoro: questi posti, infatti, rimarrebbero in capo ad un datore di lavoro privato della flotta che ne costituisce l’ unico bene sociale patrimoniale e, al tempo stesso, il solo strumento di prestazione dell’attività “lavorativa”.

Un assurdo? Sì, un palese assurdo. E non l’unico. Nell’insieme, il Tribunale, di fatto rinuncia ad effettuare un serio esame del piano e a compiere la dovuta analisi comparativa tra il piano concordatario e le varie ipotesi alternative contemplate nella procedura, il che è inconcepibile se si pensa che il piano concordatario nasce (e difende) proprio gli interessi degli stessi soggetti, gli azionisti di Moby, che si sono resi responsabili della cattiva gestione e degli abusi.

Già: perché il paradosso è questo. Dalle stesse carte della procedura di concordata emerge una sfilza di comportamenti e scelte gestionali operate dai vertici di Moby – dunque dalla famiglia Onorato – nella gestione della flotta che sono stati sempre chiaramente finalizzati a massimizzare i benefici economico-finanziari per sé a discapito degli interessi della Cin, società titolare dei contributi pubblici alle varie rotte della cosiddetta “continuità territoriale”.

Cin viene infatti privata della flotta per un controvalore di appena 60 milioni di euro, risibile rispetto al reale. Pur restando titolare dei rapporti di lavoro. E’ chiaro che, a fronte di un cattivo andamento della gestione, i marittimi rimasti nell’organico di Cin potrebbero avere un destino diviso da quello della flotta.

In tutto questo, la concentrazione anticoncorrenziale che si verrebbe a creare, approvando la fusione, nel business dei traghetti è clamorosa: la ‘partnership’ tra Msc e Moby/Cin determina significativi problemi concorrenziali, visto che i due gruppi interessati operano, mediante numerose società, su mercati in gran parte coincidenti o contigui dal punto di vista merceologico, e in molti casi coincidenti anche dal punto di vista geografico. Perché è chiaro che, rispetto alla disciplina nazionale e comunitaria delle concentrazioni, il coinvolgimento di Msc configura appunto una concentrazione, attraverso l’acquisto del controllo congiunto su Moby da parte di Msc e di Onorato Armatori”.

 

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Sergio Luciano, direttore di Economy e di Investire, è nato a Napoli nel 1960. Laureato in lettere, è giornalista professionista dal 1983. Dopo esperienze in Radiocor, Avvenire e Giorno è stato redattore capo dell’economia a La Stampa e a Repubblica ed ha guidato la sezione Finanza & Mercati del Sole 24 Ore. Ha fondato e diretto inoltre il quotidiano on-line ilnuovo.it, ha diretto Telelombardia e, dal 2006 al 2009, l’edizione settimanale di Economy. E' stato direttore relazioni esterne in Fastweb ed Unipol. Insegna al master in comunicazione d’impresa dell’Università Cattolica e collabora al Sussidiario.net.