Moby-Tirrenia, settimana in bilicotra la svolta o una disastrosa continuità

“Mai affidare le pecore al lupo”: lo scriveva Esopo, nella sua favola morale “Il lupo e il pastore”, già 3000 anni fa. E c’è da augurarsi che i giudici della sezione fallimentare del Tribunale Civile di Milano siano al corrente della massima, e la condividano. Già: perché la proposta di concordato
preventivo in continuità per Moby predisposta dagli avvocati dello studio Gianni & Origoni e depositata al tribunale di Milano, potrebbe intitolarsi così: “Affidiamo le pecore al lupo”.
Sembra surreale. E’ un ponderoso e tecnicamente ben strutturato documento – rivelato innanzitutto da Shipping Italy – teso a dimostrare che la soluzione più conveniente per i creditori del gruppo Moby-Tirrenia sia appunto quella soluzione che lega la continuità aziendale alla proprietà attuale del gruppo stesso, cioè alla famiglia Onorato.
Poi però – ed ovviamente, in un atto di questa gravità – gli stessi consulenti della famiglia armatoriale, ovvero lo studio Gianni Origoni, tra i più importanti in Italia, elencano dettagliatamente una serie di fatti, cifre e circostanze relative alla gestione data negli anni al gruppo da quella stessa famiglia, tutti elementi che indurrebbero chiunque a scegliere qualsiasi soluzione diversa, se esistente (e ne esistono), piuttosto che affidare (anzi, “riaffidare”) appunto “la pecora al lupo”. Lo stesso lupo che l’ha già sbranata.
Ma procediamo con ordine.
Nel capitolo del piano per il concordato in continuità intitolato “L’apporto da parte di Onorato Armatori Srl e gli altri impegni assunti per la migliore esecuzione del Piano” è scritto che la società che controlla Moby, “in uno con il Dott. Achille Onorato e il Dott. Alessandro Onorato, al precipuo scopo di rafforzare la generazione dei flussi di cassa, si sono espressamente e irrevocabilmente impegnati a corrispondere in favore degli istituti di credito e degli obbligazionisti l’importo complessivo di Euro 2.000.000 a titolo di contributo esterno da parte di terzi”.
Due milioni: avete letto bene? Ottimo, se i debiti fossero 5 milioni. Una goccia rispetto al mare dei debiti veri: oltre 500 milioni tra fornitori (40), banche (157) e obbligazionisti 300)  senza dimenticare i debiti verso lo Stato, rappresentato dai commissari della vecchia Tirrenia, creditore di 180 milioni di euro, vale a dire delle tre rate residue mai pagate dal gruppo controllato da Vincenzo Onorato per l’acquisto della società dieci anni fa al prezzo di 380 milioni. Da notare che nel frattempo lo Stato ha regolarmente versato alle casse della Tirrenia 90 milioni all’anno come contributi per i servizi di continuità territoriale con Sardegna e Arcipelago Toscano. Un bagno di sangue ormai totalmente assurdo, visto che i concorrenti privati esercitano le stesse tratte senza un euro di contributi guadagnandoci; e che anche a voler estendere i servizi alla copertura massima prevista da una convenzione di continuità, un’azienda armatoriale ben gestita potrebbe farsi bastare assai meno; per non dire poi che il “modello spagnolo” di sovvenzione alla continuità territoriale applicato per le Baleari non dà contributi a un armatore ma ai passeggeri residenti che possono scegliere il vettore preferito ottenendo un contributo sul prezzo del biglietto. Una formula infinitamente più efficace e libera.
Ma torniamo agli argomenti paradossali contenuti nella proposta di concordato. Il primo è proprio l’esiguità di cui quei due milioni a fronte di 680 milioni di debiti.
Poi: “sempre a condizione della definitiva omologazione della procedura di concordato preventivo, il Dott. Vincenzo Onorato, nella sua qualità di presidente del Consiglio d’amministrazione di Moby, si è irrevocabilmente impegnato a rinunciare ai propri emolumenti consiliari per complessivi Euro 3.000.000 in ragione d’anno, con conseguente generazione di liquidità aggiuntiva in un arco di Piano per complessivi Euro 12.000.000”. Quindi mentre l’azienda andava a rotoli, il presidente si paga 3 milioni all’anno. Uno stipendione da guru del profitto!
E ancora: nel 2017 Onorato ha venduto a Moby l’immobile “sito nel Comune di Milano in Piazza San Babila 5 di proprietà per un corrispettivo pari a 7 milioni di euro”. Cioè: ha venduto casa a se stesso, con soldi di un’azienda che nel frattempo non pagava i creditori. Adesso, nei piani dei proponenti, l’immobile dovrebbe diventare la sede la nuova sede legale e operativa della società, con un risparmio di 700 mila euro l’anno. Come dire: uno spende 7 milioni nel 2017 per recuperarli entro il 2031? Bah…
Poi una chicca: sono di “incerta natura taluni trasferimenti di denaro effettuati dalla società in favore del presidente del Consiglio d’Amministrazione per complessivi Euro 232.000 circa, di cui non è stato possibile acclarare la natura sulla base delle relative schede contabili”. Chiunque penserebbe a spese non motivate.
Ben più pesante la questione degli incassi che Moby avrebbe dovuto retrocedere a Cin e non l’ha fatto: circa 63,2 milioni di euro “per il quale un piano di rientro del debito netto in essere non è stato mai perfezionato”. Moby ha poi finanziato per 5,1 milioni Mascalzone Latino, “nota società operante nel settore dell’organizzazione, gestione e promozione di iniziative sportive in ambito velico interamente controllata dal Dott. Vincenzo Onorato”.
E poi la politica: com’è potuto succedere che per anni benevolmente vari personalità di governo abbiamo chiuso un occhio ed anzi due di fronte ai crescenti problemi di Tirrenia? Bisognerebbe chiederlo a loro.
A memoria, si possono ricordare le 6 apparizioni di Onorato alla Leopolda di Renzi, con relative dichiarate sponsorizzazioni: nessun nesso automatico tra questi investimenti d’immagine – per carità, leciti per qualunque imprenditore di nome – e le scelte del governo Renzi in materia, per carità. Però è lecito affermare che Onorato abbia manifestato così la sua stima verso il Rottamatore. Chissà se ricambiato.
Nel documento dei consulenti della famiglia, sempre in fatto di politica, si parla poi di “trasferimenti di denaro meritevoli di attenzione” e precisamente “versamenti in favore di Beppe Grillo Srl in relazione a un accordo avente finalità pubblicitarie per un corrispettivo annuo pari a Euro 120.000 della durata di due anni”, “in favore di Casaleggio e Associati Srl in relazione a un contratto avente lo scopo di sensibilizzare le istituzioni sul tema dei marittimi, per un corrispettivo annuo pari a Euro 600.000 circa della durata di due anni (risolto consensualmente a decorrere dal 1 marzo 2020)”. Va detto, però, che l’amicizia tra Onorato e Grillo risale a comuni frequentazioni velistiche. E quando c’è l’amicizia, si sa, cosa vogliamo che siano 720 mila euro? Bazzecole, pinzillacchere: avrebbe detto Totò.
Poi le banche. Com’è possibile che banche come Unicredit – oggi fortunatamente protagoniste di un’importante rigenerazione manageriale – ma comunque e per prassi giustamente severe e prudenti nel finanziare i clienti, abbiano invece finanziato a man bassa un gruppo come quello, anche in fasi già pericolanti?
Un malevolo potrebbe trovare un possibile nesso – ma non è dimostrato! – tra quei finanziamenti e i 550.000 euro pagati da Moby “in favore del Dott. Roberto Mercuri con il quale la società ha sottoscritto contratti di consulenza per il supporto tecnico-specialistico in relazione alle attività con il Parlamento, con il Governo e con la Commissione Europea”. Mercuri è da molti anni collaboratore professionale di Fabrizio Palenzona, ex vicepresidente di Unicredit e già consigliere d’amministrazione di Tirrenia Cin, su designazione di Onorato, nel 2016.
Qualche ultima curiosità di riepilogo, sempre nel capitolo dei “trasferimenti di denaro meritevoli d’attenzione”: complessivi 400.000 euro “in favore di partiti politici”, 2,8 milioni di euro in favore della NetJets Management Limited per noleggiare un aereo Falcon 2000EX, 4,5 milioni di euro per l’acquisto e la successiva ristrutturazione di Villa Lilium, a Porto Cervo, edificio di rappresentanza nel nord della Sardegna” e costi di noleggio e riscatto di auto di lusso per complessivi 600.000 euro circa.
Insomma, una gestione ispirata ai principi di prudenza e moderazione tipici del buon padre di famiglia. O no?
Il 15 aprile il Tribunale fallimentare di Milano ha fissato l’udienza decisiva. La legge prevede che se il piano di salvataggio per il concordato in continuità non viene approvato, il tribunale “sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato”. E “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero” può dichiarare “il fallimento del debitore”.
Finirà così? Non lo desiderano i creditori, primo fra i quali la vecchia Tirrenia in amministrazione straordinaria, che ha deciso di sottoporre al tribunale una proposta alternativa. I commissari straordinari la stanno preparando. E possono contare anche sul supporto garantito pubblicamente dal Gruppo Grimaldi (che, sia detto per trasparenza, è socio di minoranza di Economy Group). Grimaldi si è pubblicamente detto disponibile a rilevare le navi e il relativo personale di Tirrenia Cin – protetto dalla “clausola sociale” di legge – nel caso fosse messa all’asta la flotta. Sarebbe semplice ed efficiente la procedura da seguire: le inadempienze economiche di Tirrenia-Cin giustificano la risoluzione del contratto per la continuità territoriale, peraltro già scaduto e non rinnovato nei suoi termini naturali. E vendendo la flotta lo Stato recupererebbe anche i suoi crediti mai onorati da Onorato.
 
 

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