All’appetitosa tavola dei finanziamenti le Pmi italiane non resteranno a bocca asciutta con l’acquolina in bocca. Se è vero che l’aumento dei tassi di interesse ha provocato un’ulteriore stretta nei criteri di accesso al credito bancario, specie per le piccole, è anche vero che stanno crescendo gli strumenti della finanza alternativa, dal crowdfunding al private capital, nelle sue coniugazioni di venture capital, private equity e private debt: come vedremo, il presidente di Aifi Innocenzo Cipolletta chiede una normativa finalmente favorevole al suo pieno dispiegarsi. Poco alla volta si sta portando una quota (pur ancora insufficiente) del risparmio privato sull’economia reale: a fine marzo era pari a 1783 miliardi di euro la liquidità parcheggiata sui conti correnti, anche se l’inflazione elevata spinge per spostarli altrove, possibilmente verso le Pmi: sarebbe sufficiente portarne un decimo nel capitale di rischio delle aziende per dare una spinta decisiva alla nostra economia. Capitolo Borsa: l’atteso Ddl Capitali punta a rilanciarla, attraverso un pacchetto di misure che ha l’ambizione di farla crescere, anche attraverso la quotazione delle imprese familiari – di qui la scelta sul diritto di voto plurimo, che le vuole rassicurare sul rischio di perdita del controllo, in linea con quanto avviene su altre piazze finanziarie. Una partita di importanza capitale, visto che il mercato borsistico italiano è sempre più sottodimensionato: il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e Pil si è ulteriormente ridotto a metà 2022 al 25,4% dal 33,1% di fine 2021; la media Ue nel 2020 era del 41%, ma in Francia e Regno Unito è molto più alta, per non parlare degli Stati Uniti. Poi c’è il grande serbatoio del Pnrr, che può rappresentare un punto di svolta per le Pmi, al netto delle difficoltà di messa a terra cui le interlocuzioni con Bruxelles stanno cercando di porre rimedio.

Ma cominciamo dal credito bancario, visto che le imprese italiane continuano a esserne dipendenti in misura maggiore rispetto ai Paesi concorrenti: secondo la Bank for International Settlements, nel 2019 la quota sul totale dei finanziamenti è stata del 64%, contro il 60% della Spagna, il 57% della Germania, il 48% della Francia, il 39% dei Paesi Bassi, il 33% degli Stati Uniti. Secondo il Rapporto di previsione di primavera del Centro Studi Confindustria “L’economia italiana tra rialzo dei tassi e inflazione alta”, proprio il rialzo dei tassi ha fatto impennare il costo del credito bancario, e più in generale ha ulteriormente inasprito le sue condizioni. A gennaio il tasso per le Pmi sulle nuove operazioni è arrivato al 4,15% (da 1,75% a fine 2021), quello per le grandi imprese a 3,42% (da 0,89%), in media due punti e mezzo in più. Secondo Abi, l’aumento è continuato nel mese di marzo: il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è stato del 3,90%, contro il 3,55% il mese precedente. 

Ma il costo del credito sembra destinato a salire ancora, data l’ipotesi di ulteriori rialzi della Bce nel 2023. Secondo il Centro Studi Confindustria, nel corso dell’anno i tassi per le imprese in Italia aumenteranno ancora, seppur di poco, sopra i valori attuali. Questo rincaro, complessivamente pari a quasi tre punti percentuali, peggiora la situazione finanziaria delle aziende aumentando il peso degli oneri finanziari, e potrebbe quindi pesare sul flusso di nuovi investimenti. È già in corso un aumento della domanda di fondi di breve termine per coprire esigenze di liquidità, mentre si sta riducendo quella per il lungo termine, finalizzata a finanziare nuovi investimenti.

Nel corso del 2022 si è dunque avuta una stretta, progressivamente più forte, nei criteri di accesso al credito per le imprese. Il fattore principale che ha peggiorato l’offerta è stato il peggioramento delle attese sull’economia e su specifici settori. Hanno contribuito anche i maggiori rischi percepiti dalle banche sulle garanzie, i problemi di dotazione di capitale, quelli di raccolta sui mercati e di liquidità, oltre allo stop alle misure espansive della Bce, in particolare su acquisti di titoli e prestiti straordinari agli istituti. Al di là dell’aumento dei tassi, sono così cresciuti anche oneri addizionali, richieste di garanzie, limiti alle scadenze, e nella seconda metà del 2022 c’è stata anche una stretta sull’ammontare dei prestiti. L’indagine Istat sul settore manifatturiero conferma che la quota di aziende che non ottengono i prestiti richiesti è aumentata nel corso del 2022, fino al 7,8% a settembre (da 4,5% a fine 2021), anche se poi è un po’ calata nel quarto trimestre (5,6%). I dati confermano anche un accesso al credito molto meno favorevole: la quota di imprese che lo ottiene solo a condizioni più onerose è cresciuta dal 7,3% al 42,9%. In soldoni, una parte significativa delle imprese industriali ha credito più costoso e più scarso.

Ma è proprio da questa difficoltà che emerge una spinta che sta contribuendo all’affermazione definitiva di forme di finanziamento delle imprese alternative a quello bancario. Qualche mese fa, a ridosso delle elezioni politiche che avrebbero portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, in un’intervista per l’altra testata di Economy Group Investire Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) ci aveva detto: «Sarebbe bello che il governo futuro avesse una visione favorevole al finanziamento diretto delle imprese, che consenta al Paese un processo di crescita e ricostruzione». È passato qualche mese e gli chiediamo qual è lo stato dell’arte. «Il governo ancora non ha preso grandissime iniziative, però si sta muovendo un po’ in quella direzione» dice Cipolletta. «È stata innanzitutto fatta un’operazione di semplificazione delle quotazioni delle imprese in Borsa, con l’estensione di alcune norme come il voto plurimo per gli azionisti di lungo periodo. Una misura favorevole alle quotazioni delle imprese familiari che temono la perdita del controllo una volta quotate, e invece con questa norma possono controllare meglio le aziende, come avviene in altri Paesi. Ci sono rumors sull’intenzione da parte del governo di favorire l’investimento da parte di investitori istituzionali come i fondi pensione nell’economia reale, e anche questo è un elemento positivo. Credo che ci sia un’attitudine positiva che però deve essere ancora essere messa concretamente sul terreno». 

Mancano però passi concreti proprio in tema di private capital: se è vero che nel 2022 gli investimenti in Italia hanno raggiunto la quota record di 23,7 miliardi in 848 operazioni, con una crescita del 61% rispetto al 2021, è anche vero che 15 miliardi sono venuti da operatori non domestici. Di qui l’esigenza di un’azione sistemica delle istituzioni per spingere la crescita dei fondi italiani per numero e dimensione. «In un Paese come il nostro che è fatto di Pmi, lo sviluppo del private capital è necessario» afferma Cipolletta, «non lo dico soltanto perché sono presidente dell’Aifi, ma perché l’investimento diretto è fatto oggi da investitori professionisti quali sono i fondi di private capital, sia che facciano venture capital, che facciano private equity o private debt. Come ricordate voi di Economy nella coverstory, siamo in una fase di rialzo dei tassi d’interesse, e anche questo è un elemento che spinge verso il capitale di rischio. Indebitarsi su tassi di interesse che continuano a crescere e che rischiano di essere portati a livelli particolarmente elevati, per un’azienda può essere meno vantaggioso che avere un capitale di rischio che si remunera con i risultati che l’azienda stessa produce». 

Una politica che può portare risultati importanti è quella dell’uso delle risorse pubbliche come anchor investor. «Come accade in altri Paesi a partire dalla Francia, lo Stato dovrebbe fare un po’ da promotore» suggerisce il presidente di Aifi, «il che significa creare fondi di fondi che attirano risparmio privato e vanno a finanziare i fondi. Non stiamo auspicando che lo Stato vada direttamente nel capitale delle imprese, questo ci sembra poco opportuno ma anche poco utile per lo Stato stesso, che finirebbe per essere in qualche maniera condizionato dall’andamento dell’azienda. Ma se lo stato crea dei fondi di fondi, questi investono in altri fondi che a loro volta dovranno prendere dal mercato capitali privati che investiranno nelle imprese. Si crea così un mercato, un grosso volano che genera una massa di capitale di rischio che diventa uno strumento di crescita delle imprese e dell’economia italiana». 

In Italia qualche passo è stato fatto, ma siamo ancora all’inizio. «Questa operazione l’ha fatta in piccola parte Cdp con il Fondo italiano d’investimento» osserva Cipolletta. «C’è spazio per fare molto molto di più, anche magari anche con più operatori: concentrare il fondo di fondi in un unico soggetto alla fine può essere riduttivo. Se si mettono in competizione dei fondi di fondi si può creare non solo il mercato primario, ma anche un mercato secondario, perché il fondo di fondi può acquistare quote di altri fondi e quindi generare quella liquidità che è un fattore di crescita del mercato; è quel che hanno fatto la Francia, la Germania, la Spagna, ci auguriamo che avvenga anche in Italia. Non è spesa pubblica, questi soldi vengono investiti e hanno un buon ritorno: non va a incidere sul debito, al contrario».

C’è poi il Pnrr, ghiotta portata della tavola imbandita dei finanziamenti alle imprese. Il Pnrr può rappresentare un punto di svolta per le Pmi. L’Italia è il primo beneficiario del programma di finanziamento europeo, con una dotazione di fondi di 191,5 miliardi di euro suddivisi tra prestiti (122,6 miliardi) e sovvenzioni (68,9 miliardi). Ci sono poi i 13 miliardi di euro del programma di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (React-EU) e ulteriori 30,62 miliardi stanziati sotto forma di Fondo di Bilancio con il decreto 59/2021. In totale, le risorse gestite dall’Italia ammontano dunque a 235,12 miliardi di euro.

Coerentemente alle raccomandazioni specifiche della Commissione Europea, il Governo Draghi prima e Meloni poi, con un ruolo da pivot del ministero ex Sviluppo economico, oggi delle Imprese e del made in Italy, hanno sviluppato una serie di progettualità con l’obiettivo di incidere sulla produttività, soprattutto nel Mezzogiorno, sulla sostenibilità dei processi produttivi, sull’upskilling del capitale umano e sull’internazionalizzazione. Il sostegno alle Pmi include anche un focus dedicato alle filiere produttive più innovative e strategiche. Ci sono poi i fattori abilitanti, a partire dalle infrastrutture fisiche e digitali. Alle Regioni del Mezzogiorno è riservato il 40% delle risorse totali.

Tra le misure di maggiore impatto sulle imprese figura il Piano Transizione 4.0: gli incentivi fiscali inclusi hanno lo scopo di promuovere la trasformazione digitale dei processi produttivi e sostenere gli investimenti in beni strumentali materiali e beni immateriali. Il Piano costituisce un’evoluzione del precedente programma Industria 4.0, introdotto nel 2017, rispetto al quale, per favorire l’accesso delle Pmi, si caratterizza per la sostituzione dell’iper-ammortamento con appositi crediti fiscali di entità variabile. I crediti d’imposta si articolano in 3 gruppi: beni materiali e immateriali, ricerca e sviluppo, formazione. Altro capitolo fondamentale per le Pmi è quello dei contratti di sviluppo, finanziati dal Piano con 2 miliardi: è il principale strumento agevolativo a supporto dei grandi progetti di investimento. Considerando le risorse nazionali, i fondi mobilitati sono pari alla cifra record di oltre 5 miliardi. 

Il ministro delle Imprese e del made in Ital (Mimit) Adolfo Urso è in prima linea per cercare di cogliere appieno l’occasione del Pnrr. Ha affermato a chiare lettere che alcuni obiettivi sono poco realistici, e per questo il governo si confronta con l’Ue. «Il Pnrr va rivisto anche alla luce dell’Iniziativa RePowerEu, dell’innalzamento del costo delle materie prime e del livello di attuazione dei programmi di coesione, in un confronto positivo con la Commissione sulla base del regolamento dello stesso Pnrr» ha affermato Urso. Anche da questo confronto dipenderà quanto le nostre Pmi riusciranno a saziarsi con il Piano.