Mangi chic, paghi pop. L’ alta Cucina cambia faccia

Venti euro. Non di più. Nell’anno VIII della Grande Crisi, gli italiani, o almeno la maggior parte, non sono più disposti a spendere oltre per una cena fuori. Anche un caposaldo dell’italian way of life come il pasto “fuoricasa” paga dazio, dunque, alla contrazione della spesa media mensile che ha drasticamente ridimensionato le abitudini di consumo, comprese quelle più radicate. Un’uscita serale in pizzeria o in un ristorante/trattoria ogni 30 giorni, per uno scontrino medio che non si schioda dalla forchetta 10/20 euro. Secondo l’ultimo rapporto della Federazione Italiana Pubblici Esercizi sulla ristorazione, è questa l’unica “trasgressione” che, ad oggi, si può permettere il 67% dei nostri connazionali. Tra i quali soltanto l’1,3% gode, per altro, del previlegio di poter spendere più di 50 euro al ristorante. Numeri che spiegano, senza tanti giri di parole, le difficoltà con le quali deve fare i conti la ristorazione in Italia. Eppure, e lo dice la Guida Michelin, ossia la Bibbia dell’alta ristorazione internazionale, siamo noi il Paese che, con 343 “stellati”, attualmente occupa la seconda posizione nel mondo per numero di locali premiati (con la fatidica “stella”, appunto).

La formula dei nuovi locali aperti col nome o la consulenza degli chef stellati, funziona. ma c’è anche chi ha steccato 

Un paradosso? No, non esattamente. Nonostante i 259 milioni fatturati nel 2016 (dati JFC), anche per i locali italiani di “fascia top”, quelli cioè che possono vantare una o più stelle, non è tutto oro quello che luccica. Anzi. Per soddisfare i requisiti richiesti dalla Guida e rimanere nel Gotha dei fornelli, le uscite, da quelle di gestione a quelle per le materie prime, spesso si avvicinano pericolosamente alle entrate. Ecco allora che, per rendere sostenibile l’attività ristorativa, sono sempre più gli chef blasonati che scelgono di diversificare, affiancando alle loro “mangiatoie di lusso”, dei locali meno impegnativi sul piano dei costi fissi e, dall’altro lato, anche più accessibili a una clientela che vuole sì risparmiare ma senza rinunciare alla cucina di qualità. Pur di continuare a brillare, si è passati insomma dai ristoranti gourmet alle trattorie. O, se volete, dalle stelle alle stelline.

In principio fu Sadler…

Tra i primi a imboccare questa nuova strada è stato Claudio Sadler, uno dei più noti chef milanesi che, nel 2008, ha pensato di affiliare al suo “bistellato” di via Ascanio Sforza (menù medio: 138 euro) un locale più easy, il Chic ‘n Quick, dove si può cenare con 55 euro e fare un business lunch con soli 20 euro. L’idea è stata quella della trattoria in versione moderna, dove gustare una cucina d’eccellenza in un ambiente tranquillo, dall’eleganza meno pretenziosa e, ovviamente, meno costosa.  Un messaggio che ha fatto scuola. Nel giro degli ultimi anni si è infatti moltiplicato il numero dei bistrot aperti nel nome o con la diretta consulenza di chef coronati. A Modena,  ad esempio, a fianco della mitica Osteria Francescana, incoronata l’anno scorso a New York come miglior ristorante al mondo e dove per mangiare bisogna prenotare almeno tre mesi prima (prezzo del menù degustazione: 220 euro), ci si può fermare per l’aperitivo e magari proseguire con la cena spendendo meno di 40 euro, nell’open space Franceschetta58, nata e cresciuta  sempre sotto la tutela di Massimo Bottura. Difficilissimo prenotare, nonostante la disponibilità su tre piani, nel nuovo Café&Bistrot novarese di Antonino Cannavacciuolo. Ed è imminente l’apertura di un locale analogo a Torino nei pressi, si sussurra, della chiesa della Gran Madre. In questi “fratelli minori” si arriva a risparmiare anche 90 euro rispetto al Villa Crespi sul Lago d’Orta, ristorante principale del mattatore di Masterchef. Nasce invece come panetteria, prodotti di alta gastronomia e piatti pronti “I Banchi-Pane al pane” del bistellato Ciccio Sultano, patron del Piazza Duomo di Ragusa. Ma le dimensioni del locale, aperto nel 2015 nei bassi di Palazzo Di Quattro a Ibla, sono tali da permettere di soddisfare tutte le esigenze: dal pranzo veloce, al corso di cucina, alla mostra d’arte. Senza per altro dover rinunciare a must come il “maialino in porchetta” o “l’insalata di mare su finta pizza”.  Qualche incidente di percorso, tuttavia è e da mettere in conto. Segno che non sempre l’apertura di un bistrot è la soluzione ai problemi. Ha chiuso senza colpo ferire, al suo secondo anno, il Blupum di Ivrea firmato Davide Scabin.  E altrettanto ha fatto l’Altro Vissani di Orvieto. Ma come dice lo stesso Vissani «nella vita non esistono successi senza fallimenti». Per cui basta rimboccarsi le maniche e riaffilare i coltelli per ripartire da capo. E soprattutto, stella o non stella, senza perdere, né far perdere, l’appetito.