di Francesco Priore
Il riconoscimento e l’apprezzamento sono tool che consentono al manager di conseguire gli obiettivi fissati contemperando armonicamente le esigenze dei collaboratori, lo sviluppo dell’impresa di cui è responsabile e la propria crescita professionale e imprenditoriale. Il riconoscimento dei meriti e delle capacità ha il vantaggio di essere uno strumento che non richiede investimenti: è senza alcun costo, può e dovrebbe essere usato in ogni circostanza, purché con buon senso e misura. Lo strumento motivazionale ha una sorgente inesauribile: la sensibilità del manager, che può essere costantemente coltivata; è sufficiente attenersi a semplici norme.
Per prima cosa l’apprezzamento deve essere sempre vero e sincero, mai manipolatorio: può anche non essere immediatamente spontaneo per coloro che lo usano per le prime volte, ma il feedback positivo lo trasforma in un’abitudine che nel tempo diventa spontaneità. L’encomio deve essere commisurato all’entità di ciò che si vuole riconoscere: può essere usato senza parsimonia e in ogni circostanza a patto che non risulti strumentale o sperticato. Il riconoscimento ha un duplice aspetto ed è allo stesso tempo motore e obiettivo della motivazione; di fatto innesca un circolo virtuoso: si raggiunge un risultato, si ottiene una nota positiva, questo motiva a raggiungere un nuovo obiettivo per ottenere una nuova lode.
L’abitudine al riconoscimento presenta un ulteriore vantaggio ovvero abolire nella maggior parte delle circostanze la necessità di criticare, riprendere, rimproverare i collaboratori. Questi, abituati ad ottenere una menzione per le azioni positive, in assenza della stessa intuiscono immediatamente la scarsità o negatività della prestazione. La mancata considerazione, in queste circostanze, stimola a performare bene nelle future occasioni perché gli interessati non vogliono più farne a meno. L’elogio non è una droga ma dà dipendenza positiva, perché a chiunque fa piacere vedersi riconoscere i propri meriti, meglio ancora se pubblicamente, e nessuno si stanca mai di riceverne. Se in un ambiente dove il plauso è una corretta abitudine, lo stesso viene a mancare per insensibilità del manager, le persone si sentono deprivate. Il riconoscimento non è un’invenzione delle pragmatiche scienze manageriali, è uno strumento universalmente e storicamente usato da sempre, anche nelle realtà più rigorose; basti pensare all’uso che ne hanno fatto e ne fanno tuttora i militari: citazioni, menzioni, nastrini e medaglie. Sono strumenti più importanti della remunerazione: motivano anche senza un’incentivazione monetaria che è impossibile erogare permanentemente se si vuole salvaguardare la salute dell’impresa.
Il riconoscimento, in sintonia con la delega, è la fonte d’energia, sempre a costo zero, che fa sviluppare le persone, le imprese e i manager. L’uso della delega è meno facile rispetto al riconoscimento in quanto quest’ultimo, se errato, non crea danni (tutt’al più insofferenza), la delega errata invece sì. Delegare è un atto di coraggio da parte del manager, indispensabile per ottenere i risultati auspicati impiegando una quantità di risorse umane e finanziarie corretta. Il manager dopo aver sperimentato e “verificato” le competenze e le capacità di un collaboratore deve iniziare ad affidargli, gradualmente, delle responsabilità sempre più importanti, senza intervenire nel processo o sostituirsi al collaboratore.
Il compito del manager è verificare costantemente i risultati ottenuti e anche gli stati di avanzamento nel caso di processi complessi. Se il processo adottato dal collaboratore è stato efficace e proficuo, l’imprenditore deve dargliene atto anche aumentando l’ampiezza della delega, senza mai omettere la verifica. Un avviso importante: non confondere la delega con il controllo, perché questo è l’antitesi della delega e distrugge la motivazione. Il manager che abitualmente adotta il processo di delegare, verificare, riconoscere, ampliare la delega e così via, innesca un circolo virtuoso che si autoalimenta. Questo processo non è privo di rischi per il manager, perché la responsabilità di una delega errata è solo sua. Il rischio tende ad azzerarsi se la verifica è permanente e la delega non è eccessiva. In questo ultimo caso, infatti, l’individuo è gradatamente spinto verso l’alto sino ad un livello d’incompetenza. Ogni persona normodotata, infatti, ha dei limiti di competenze: se consegue dei risultati molto positivi viene promosso, se però è sopravvalutato normalmente provoca dei danni e la responsabilità è del delegante non del delegato, perché il delegante ha sopravvalutato la risorsa affidandogli dei compiti superiori al livello di competenza. La prevenzione sta nella capacità di non rinunciare a delegare mantenendo però costante la verifica, soprattutto nelle fasi di passaggio ad un livello superiore.
Il riconoscimento motiva le persone a dare il meglio delle proprie capacità, l’indifferenza al contrario inaridisce la spinta: se nessuno si accorge che si sta lavorando bene e con successo e che per raggiungere questo traguardo si impiegano tante energie, non c’è ragione d’impegnarsi tanto. Con un “capo” caratterizzato da avarizia emotiva la motivazione crolla e regna l’ordinaria amministrazione. Situazione pessima è quella in cui il capo si accorge solo degli errori e riprende le persone in pubblico. Questo comportamento, purtroppo diffuso, è uno dei fattori d’insuccesso di un’impresa, perché dal momento del rimbrotto pubblico chi ha subìto diventa un nemico, anche inconsciamente, e attende solo il momento di farla pagare. La regola è semplice ed efficace: riconoscere in pubblico sempre e riprendere in privato quando è necessario. L’uso della delega è indispensabile per altre preziose ragioni: dare al manager la possibilità di dedicarsi a pensare, studiare, progettare lo sviluppo del business e dell’impresa. Se l’imprenditore è impegnato a controllare ogni dettaglio, non ha il tempo per far crescere l’impresa. C’è qualche imprenditore che fa eccezione, ma anche le eccezioni perdono le occasioni se non delegano. La verifica permanente consente di avere tutti i processi sotto controllo e regala il tempo per la “creatività”.
Un’esperienza, relativa al riconoscimento, fa parte del noto di tutti. Si pensi ad un bimbo: dal momento in cui nasce tutti si aspettano che inizi a riconoscere chi lo circonda, che inizi a muoversi e nutrirsi autonomamente e a parlare. Ogni piccolo progresso è notato e apprezzato. Il piccolo si sente osservato e dagli apprezzamenti ricava la motivazione e la sicurezza per mettersi in piedi, camminare, alimentarsi da solo e parlare. Più autonomia gli si concede prima raggiunge i traguardi. Al contrario i bambini ipercontrollati, sgridati, bloccati dall’ansia e dall’insicurezza di chi li circonda crescono più lentamente, fanno più errori. Riconoscimento, fiducia, apprezzamento e delega, anche in questo caso, sono i motori.