«Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Le regioni che si ostinano a non voler fare il test rapido riguardo al Covid-19 si stanno assumendo un rischio enorme in vista di una possibile recrudescenza in autunno». Salvatore Cincotti, ceo di Technogenetics, gruppo leader nella ricerca diagnostica e nelle biotecnologie, non usa mezzi termini per spiegare come alcune regioni – Lombardia in testa – stiano rischiando molto continuando a non volersi affidare ai test rapidi messi a punto dall’azienda. Sono più veloci, più affidabili del tampone e hanno bisogno di un numero minore di passaggi. Technogenetics è parte del gruppo Khb, uno dei più importanti nello sviluppo produzione e distribuzione di reagenti e strumenti IVD (In Vitro Diagnostic) in tutte le piattaforme tecnologiche, quotato alla borsa di Shenzen.
Per contrastare l’emergenza Covid, Khb e i propri partner tra cui Technogenetics, hanno sin dai primi contagi in Cina (Dicembre 2019) riorganizzato le attività interne per sviluppare e distribuire kit IVD in grado di diagnosticare e monitorare il virus e contribuire alla lotta alla pandemia. Il 12 gennaio scorso è stato messo a punto il test molecolare (“tampone” in Pcr) che è stato poi donato ed utilizzato anche a Wuhan. Il 16 marzo, cioè nel pieno dell’emergenza in Italia, il kit molecolare Rt-Pcr, i test sierologici rapidi “pungidito” e i test sierologici Elisa ottengono la certificazione Ce. Le attività di R&D sono continuate e la gamma di test disponibili si è ampliata con un test sierologico Clia per la rilevazione quantitativa delle IgG (fine maggio) e delle IgM (fine giugno).
La Technogenetics, inoltre, già ad aprile aveva fatto ricorso contro l’accordo tra Diasorin e la Fondazione San Matteo di Pavia per la sperimentazione dei test. Un ricorso accolto almeno in parte dal Consiglio di Stato che, lo scorso 17 luglio, ha rinviato alla decisione di merito la valutazione definitiva sulla validità del contratto tra DiaSorin e il San Matteo.
Cincotti, facciamo prima di tutto chiarezza: qual è il valore aggiunto del vostro test?
Operiamo in tutti gli aspetti diagnostici del Covid con tutti i test sierologici e molecolari. Dal 3 giugno abbiamo il via libera dall’Oms per il test molecolare su tampone a tre aree che la nostra capogruppo ha già in produzione da diversi mesi. Per quanto riguarda i test sierologici fin da marzo è disponibile il test rapido capace di individuare gli IgM, che sono anticorpi di breve durata che si sviluppano tra il sesto e il decimo giorno dal contatto con il virua, e gli IgG, che sono quelli di lunga durata.
Che cosa si può fare con questi screening?
I test rapidi hanno una funzione importante, perché servono a fare da discrimine, visto che è ovvio che non si possono fare i tamponi a tutti. E questo non perché come diceva qualcuno manchino i “cotton fioc”, ma perché non si possono poi processare 60 milioni di campioni in laboratorio. La particolarità di questo virus, inoltre, è che ha un 40% di individui che, pur avendolo contratto, sono asintomatici. Con un test rapido validato noi siamo in grado di identificare chi è entrato in contatto con il virus e chi lo ha ancora in fase attiva, con una affidabilità superiore al 90%.
Ma che differenza c’è tra i vostri test e quelli venduti su internet (a volte anche a caro prezzo) che provengono da Oriente?
Noi siamo degli specialisti in materia, mentre i test che provengono da aziende coreane o cinese, e sono centinaia, non hanno la stessa affidabilità. Questo perché manca loro la tecnologia necessaria per ottenere questi risultati. Il test rapido, se funziona, è perfetto per fare screening dei contagi e per incrementare la sicurezza.
Una funzione particolarmente utile in questo momento in cui sembra che il virus si sia un po’ impigrito…
Certamente: pensi alla Bartolini che nelle scorse settimane ha avuto livelli molto elevati di contagio. Non sarebbe potuto succedere con i test rapidi, perché si sarebbe tracciato tutto il personale e, andando indietro di una settimana, si sarebbero riconosciute tutte le possibili interazioni e infezioni.
Però la domanda sorge spontanea: se è uno strumento così efficace, perché non tutti lo vogliono e c’è anzi chi dice che i test sierologici sono una “fregatura”?
Io parlo solo per il nostro test, non per tutti. È sicuro e affidabile e su questo non ci piove. Venendo invece al tracciamento, ci sono regioni che impiegano i nostri strumenti già da tempo per fare uno screening sistematico della popolazione sanitaria per vedere se hanno a che fare col virus. L’Emilia Romagna li sta usando e ne ha dotato le Usca, le unità territoriali che si muovono per portare cure a domicilio ai pazienti. Abbiamo già venduto tre milioni di test rapidi.
Sarebbe utile anche in vista del ritorno a scuola?
Utilissimo. Non tutte le regioni hanno deciso di avviare questa attività ma nei prossimi mesi si faranno due milioni di test per gli operatori della scuola. Mi sembra una decisione un po’ timida, anche se è un buon punto di partenza. Torno ancora sul tema delle regioni: chi dice che il test rapido convalidato non è affidabile dice una balla che non si basa su dati scientifici. Con il Covid bisogna essere pratici. E l’unico per conoscere lo stato di salute di un’intera comunità e adottare queste metodiche.
In vista di ottobre e della possibile nuova ondata pensa che le regioni cambieranno idea?
Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Se ci dovesse essere una recrudescenza, abbiamo chiaro e lampante quanto pratico possa essere questo test. Ma c’è chi da quell’orecchio non ci vuole proprio sentire.