Bollate da più parti come una sciocchezza, le gabbie salariali, nate nel ‘45 per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi e abolite formalmente il 1972, sono vive e vegete. Lo dimostra la Salary Map realizzata in esclusiva per Economy: le retribuzioni annue lorde medie spaziano dai 39.954 euro del Trentino Alto Adige ai 25.168 della Basilicata. «È come se chi vive al sud lavorasse gratis per quattro mesi l’anno», conferma a Economy Alessandro Fiorelli, amministratore delegato di JobPricing.
Agli estremi opposti della classifica, appunto Trentino e Basilicata: «Il Trentino-Alto Adige ha il miglioro tassi di occupazione e il minor numero di Neet. Anche le retribuzioni degli operai nella regione sono le più alte e il trend delle retribuzioni degli ultimi 5 anni ha visto una crescita del 3,8%, la più elevata in Italia», spiega Fiorelli. «Di contro, la Basilicata, pur avendo il tasso di disoccupazione più basso tra le regioni di Sud e Isole, si posiziona all’ultimo posto nella classifica regionale delle retribuzioni, inclusa quella dei dirigenti,con una distanza dai meglio pagati (quelli lombardi) di quasi 30mila euro». E dato che piove sempre sul bagnato, le retribuzioni in asilicata sono pure calate del 1,3% negli ultimi cinque anni. Il report realizzato da JobPricing per Economy (consultabile in versione integrale al QRlink riportato nella pagina a lato) vede la Lombardia, regione con il maggior numero di imprese attive e di lavoratori, al secondo posto nella classifica, con una retribuzione complessiva di 32.539 euro lordi annui. «In compenso in Lombardia le retribuzioni di dirigenti, quadri e impiegati sono le più elevate in Italia», sottolinea l’a.d. di JobPricing, «mentre quelle degli operai si posizionano al 5° posto. In ogni caso negli ultimi cinque anni c’è stato un calo delle retribuzioni del 2,8%, terzo peggior trend tra le 20 regioni italiane dopo Veneto (-3,7%) ed Emilia Romagna (-3,2%). Il calo maggiore è nella busta paga degli operai: -4,4%, contro un aumento degli stipendi dei dirigenti dello 0,9%». E ovviamente Milano è la provincia con le retribuzioni più elevate in Italia, il 9,1% in più rispetto alla media lombarda. Solo l’Emilia-Romagna ha una simile concentrazione di province ad elevata retribuzione, con Bologna e Parma rispettivamente al quinto e settimo posto nella classifica delle province italiane. Poi c’è il Lazio: è la seconda regione italiana per numero di imprese attive con dipendenti e per numero di forze lavoro (15-64 anni), e con la sua retribuzione globale di 31.391 euro lordi annui, si posiziona al terzo posto nella classifica regionale delle retribuzioni. «È l’unica regione in cui negli ultimi cinque anni le retribuzioni sono rimaste immutate, sia a livello complessivo che nelle singole qualifiche contrattuali, dove solo gli impiegati registrano un trend lievemente negativo (-0,6%)».
La retribuzione media annua in Trentino Alto Adige è di quasi 33mila euro, mentre in Basilicata è di poco più di 25mila euro
Al di là degli highlights regione per regione illustrati dal Salary Map di JobPricing, a unire la penisola è la stagnazione retributiva: «L’Italia intera dal 2015 ha registrato una crescita della retribuzione media dell’1%, posizionandoci nelle retrovie: siamo al 20° posto fra i 26 Paesi europei censiti», conferma Fiorelli. E il Covid-19 sta dando il colpo di grazia: «le variazioni tra il 2019 e i primi 8 mesi del 2020 sono davvero significative e considerando l’orizzonte temporale più ampio, nel complesso le retribuzioni sono calate del 2,3% dal 2016 al 2020. In questo orizzonte, le differenze fra le categorie di lavoratori si fanno più significative: la RGA media di impiegati e operai, che rappresentano oltre il 94% dei lavoratori dipendenti italiani, è infatti inferiore rispetto a quella rilevata nel 2016 a causa blocco delle parti variabili della retribuzione, mentre quella di dirigenti e quadri è rimasta sui medesimi livelli. Il confronto con l’inflazione mette in evidenza un calo diffuso di potere d’acquisto, che tocca tutti i livelli organizzativi e le famiglie professionali».
All’orizzonte non ci sono buone notizie: secondo JobPricing la stagnazione, visto lo stop delle attività, è destinata a perpetuarsi anche nel 2020 e probabilmente oltre, fino a quando sarà attivo il blocco dei licenziamenti. «In un quadro di stipendi congelati, l’effetto della pandemia ha colpito soprattutto i redditi dei lavoratori a seguito del crollo del numero di ore lavorate», spiega Fiorelli: «Inps riporta che da marzo ad agosto 2020 sono state autorizzare 2,8 miliardi di ore tra cassa integrazione ordinaria, assegni ordinari dei fondi di solidarietà e cassa in deroga. La distribuzione delle ore nel territorio è stata condizionata, prevedibilmente, sia dalla distribuzione delle attività produttive sia dalla distribuzione delle attività autorizzate o meno durante il confinamento. Le regioni nelle quali le ore si concentrano sono, dunque, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Per il periodo del primo confinamento, sebbene sulla base di dati ancora incompleti, Inps ha calcolato che, nonostante le integrazioni salariali, si è registrata una diminuzione stipendiale per i lavoratori soggetti a Cig zero ore di 585 euro nel bimestre marzo-aprile e di 442 euro per il bimestre maggio-giugno. Un’istantanea dell’impatto sul reddito delle famiglie è data da Banca d’Italia nel rapporto sulle economie regionali 2020: il 30% dei nuclei familiari dichiara una riduzione del proprio reddito, considerando anche gli strumenti di sostegno dal reddito stesso ricevuti».
L’Osservatorio JobPricing ha condotto un’analisi anche sulla struttura e il potenziale andamento delle retribuzioni italiane (pre-covid), stimando l’effetto sui salari degli aumenti di disoccupazione (sulle previsioni al 2021 aggiornate al secondo trimestre 2020) ed inattività (sulle variazioni tra il 2019 ed il 2020 aggiornate al secondo trimestre 2020) dovute alla pandemia. «Le simulazioni effettuate confermano la prospettiva di una stagnazione generalizzata, rispetto alla quale la variazione di disoccupazione registra, in media, diminuzioni leggermente più ampie di salario ad eccezione del Sud, dove l’inattività ha un impatto maggiore». sottolinea l’amministratore delegato di JobPricing.
Dall’analisi emerge anche che le variazioni del salario differiscono significativamente per genere: l’impatto di un aumento della disoccupazione potrebbe far diminuire i salari dello 0,6% per gli uomini e dello 0,5% per le donne, mentre l’inattività dello 0,4% le retribuzioni degli uomini e dell’1,3% quella delle donne. «La differenza è importante: come più volte sottolineato dall’Istat nel corso dell’anno, ad aggravarsi maggiormente è stato il livello di inattivi più che di disoccupati. Questo fenomeno però, come emerge dalle stime, colpisce maggiormente le lavoratrici che hanno maggiore probabilità di diventare disoccupate di lungo periodo e, quindi, di scoraggiarsi sulla ricerca di lavoro». Ma non è tutto: la simulazione effettuata da JobPricing evidenzia anche una diversa reattività tra le diverse aree regionali del Paese: «Per le retribuzioni degli uomini la variazione a seguito dell’aumento del tasso di inattività toccherebbe un minimo al Nord Est di -0,6% ed un massimo del Sud di -0,9% e la variazione per il tasso di disoccupazione assumerebbe valori ancora più prossimi allo zero, con il minimo di -0,3% del Nord Est ed il massimo di -0,9% del Centro», conferma Fiorelli. «Per le retribuzioni delle donne, invece, la variazione del tasso di inattività avrebbe il suo minimo di -0,9% al Nord Este il suo massimo dell’1,92% al Sud, mentre quella per il tasso di disoccupazione vedrebbe maggiormente colpite le donne del Centro (-0,7%) e meno colpite le donne del Sud (-0,3%)».
Il report integrale