Appena prima dello scorso Natale, il fondo “iShares ESG MSCI EM Leaders ETF” di Blackrock ha visto crollare la massa gestita del 91%. Un’esagerazione, considerando l’enfasi data al settore ESG negli ultimi anni. Il fatto poi che il gestore del fondo in questione sia il gigante USA del risparmio gestito ha scatenato analisi più o meno fantasiose nei giorni successivi. Alcuni hanno addirittura ipotizzato un declino imminente della “ideologia ESG”.
Io non sarei così drastico anzi, sono convinto che i principi ESG siano ormai in fase di consolidamento e auspico un percorso di approfondimento adeguato da parte delle autorità di controllo. Fortunatamente qualcosa in questo senso si sta muovendo ma la strada è ancora lunga. L’argomento è nuovo e complesso, con implicazioni dirette non solo sulla finanza ma sull’economia in genere. Il flusso dei soldi, forse l’unico vero driver che può cambiare le sorti del clima globale, manca di equilibrio e fastidiose incongruenze generano ancora sospetti. Sì perché di incongruenze, aprendo la scatola della “finanza green”, se ne trovano molte. Da tempo ormai si parla di greenwashing, cavalcare il momento green nascondendo il contenuto sotto un tappeto di belle etichette. Incongruenze o ipocrisia è solo questione di sfumature.
Standard GHG
ESG è una materia molto articolata e ancora poco approfondita. Che ci sia ancora da studiare e approfondire ce lo dice la grande quantità di esperti, commissioni, opinionisti ancora in fase di studio e confronto. Gli standard non sono ancora consolidati, anche se in qualche caso molto diffusi, come il Greenhouse Gas Protocol, iniziativa internazionale nata un quarto di secolo fa proprio per uniformare i criteri di valutazione e reportistica delle emissioni gassose nel mondo business. In sintesi, la produzione di emissioni viene misurata sulla base di tre macro-classi:
Scope 1 — emissioni dirette, prodotte dall’azienda per effetto dei propri impianti produttivi, degli impianti di riscaldamento e condizionamento, del consumo di carburanti per i veicoli aziendali.
Scope 2 — emissioni indirette derivanti dalla produzione di elettricità, calore e vapore acquistati da fornitori di energia dalla società.
Scope 3 — emissioni indirette provenienti da fonti non possedute o controllate dall’azienda ma connesse in qualche modo nel ciclo produttivo. Alcuni esempi di attività in scope 3 sono, come cita il documento ufficiale GHG, “l’estrazione e la produzione dei materiali acquistati; trasporto di combustibili acquistati; l’utilizzo di prodotti e servizi venduti.”
La valutazione delle emissioni prodotte in Scope 3, oltre ad essere facoltativa al momento, resta per molte imprese un argomento difficile da affrontare a causa della oggettiva complessità. Gli alti valori determinati dal calcolo sono una potenziale fonte di imbarazzo per molte aziende che, spesso, rimandano la pubblicazione ad esercizi successivi, dichiarando aver intrapreso il difficile processo di rilevazione sull’intera catena del valore. Ci siamo quasi insomma.
Benchmark ESG
Sappiamo che i fondi d’investimento seguono, più o meno rigidamente, un parametro di riferimento, il c.d. Benchmark. Un business miliardario in prevalenza guidato dalla società MSCI, da qualche anno paladina della green wave che ora indirizza circa il 60% degli investimenti dei fondi ESG. Marketing o vera sostenibilità? Se lo è chiesto anche il colosso Bloomberg, con un interessante articolo del dicembre scorso proprio sulla società di analisi.
Il più seguito dai fondi ESG italiani è di sicuro MSCI Low Carbon Leaders, nelle sue varianti World — Europe — North America — SRI — Emerging Markets. Il World ha chiuso il 2021 con un brillante +22.53%, performance di poco di poco superiore al “master” MSCI World. Non male, certamente un supporto in più per la crescente sensibilità ambientalista. Nondimeno, dando un’occhiata sotto la superficie dell’etichetta, emergono alcuni aspetti quantomeno bizzarri in termini di sostenibilità.
Guardando i primi 10 titoli per peso di portafoglio di MSCI World Low Carbon Leaders e MSCI Europe Low Carbon Leaders, si ha come l’impressione che le emissioni non siano proprio la massima preoccupazione degli analisti che, invece, sembrano orientati al buon vecchio rendimento. Se poi ad ognuno dei titoli presenti si affianca la quantità di emissioni prodotte nel 2020, dichiarate dalle stesse società nel report annuale di sostenibilità, i dubbi scompaiono e la sensazione di ipocrisia a tinte verdi diventa certezza.
MSCI World low carbon leaders | |||||||||||||
Società | Peso | Scope 1 | Scope 2 | Scope 3 | Totale MTCO2e | Sust. Report 2020 | |||||||
Apple | 4,74% | 47.430 | – | 22.550.000 | 22.597.430 | Link | |||||||
Microsoft Corp. | 3,87% | 100.000 | 4.000.000 | 2.000.000 | 16.100.000 | Link | |||||||
Amazon.com | 2,45% | 9.620.000 | .270.000 | 45.750.000 | 60.640.000 | Link | |||||||
Tesla | 1,43% | N/P | N/P | N/P | N/P | Link | |||||||
Alphabet A (Google) | 1,41% | 38.694 | 5.865.095 | 9.376.000 | 15.279.789 | Link | |||||||
Alphabet C (Google) | 1,35% | ||||||||||||
Meta Platform A | 1,30% | 29.000 | 2.718.000 | 4.029.000 | 6.776.000 | Link | |||||||
NVIDIA | 1,20% | 2.817 | 65.936 | 1.105.644 | 1.174.397 | Link | |||||||
United Health Group | 0,79% | 24.487 | 156.751 | 213.495 | 394.733 | Link | |||||||
JP Morgan chase & co | 0,78% | 69.570 | 660.601 | N/P | 730.171 | Link | |||||||
TOTAL | 123.692.520 | ||||||||||||
MSCI Europe low carbon leaders | |||||||||||||
Società | Peso | Scope 1 | Scope 2 | Scope 3 | Totale MTCO2e | Sust. Report 2020 | |||||||
ASML HLDG | 2,66% | 15.400 | 139.800 | 8.400.000 | 8.555.200 | Link | |||||||
ROCHE HOLDING GENUSS | 2,53% | 254.060 | 168.735 | 7.898.074 | 8.320.869 | Link | |||||||
SHELL | 2,45% | 63.000.000 | 9.000.000 | 1.305.000.000 | 1.377.000.000 | Link | |||||||
LVMH MOET HENNESSY | 2,20% | N/P | 304.000 | 4.500.000 | 4.804.000 | Link | |||||||
NOVARTIS | 1,97% | 378.000 | 330.000 | 6.984.000 | 7.692.000 | Link | |||||||
ASTRAZENECA | 1,72% | 224.771 | 23.235 | 7.803.185 | 8.051.191 | Link | |||||||
NOVO NORDISK B | 1,62% | 77.000 | 16.000 | 81.000 | 174.000 | Link | |||||||
UNILEVER PLC (GB | 1,38% | 606.771 | 171.906 | 60.388.592 | 61.167.269 | Link | |||||||
HSBC HOLDINGS (GB) | 1,35% | Total value | 406.000 | Link | |||||||||
SAP | 1,29% | Total value | 410.000 | Link | |||||||||
TOTAL | 1.468.529.338 |
Ora, esperti ESG avranno di sicuro buone argomentazioni ma si fatica a pensare ad un’azienda che produce emissioni quanto l’Ungheria o il Portogallo come ad un “low carbon leader”. Per dare un paragone, il totale CO2 prodotta dai primi dieci titoli elencati nella parte World è di 123 mil/ton, pari a 2 milioni di carri armati che, uno a fianco all’altro, occuperebbero un parcheggio grande come la Croazia. Vedere poi la Shell nell’indice Europe, riporta alla mente una famosa battuta di Groucho Marx sui membri dei club esclusivi.
Ancora sullo “Scope 3”
Novo Nordisk, colosso danese della farmaceutica con 21 mld/usd di ricavi nel 2020, dichiara che il totale delle emissioni in Scope 3 riguarda la distribuzione dei prodotti e i viaggi di lavoro dei dipendenti, 81.000 ton/CO2. Nelle 103 pagine di report di sostenibilità, la società sottolinea un paio di volte che al momento non viene rilevata la ben più una cospicua componente CO2 connessa alla catena dei fornitori. Astrazeneca invece, stesso settore e fatturato simile (26 mld/usd), nel 2020 ha completato la rilevazione Scope 3 e la differenza è enorme: 7,8 mil ton/CO2. Entrambi sono nei primi 10 titoli dell’indice Europe ma solo uno sembra un low carbon leader. Anche se, probabilmente, è solo l’apparenza che potrebbe ingannare l’investitore ignaro.
L’impatto della catena del valore sulle emissioni sembra il punto più ostico per molte corporation. Altro titolo presente fra i low carbon leaders: Nvidia, famosa nel mondo IT per le schede madri e schede grafiche letteralmente esplose con il mining di cryptovalute. Nel social responsability report 2020, le emissioni di Scope 3 sono indicate in 1,17 mil/ton CO2. La perplessità nasce dall’attività estrattiva di terre rare, necessarie alla costruzione di semiconduttori, il cui impatto ambientale è ben conosciuto. Nel 2019 NVIDIA ha dovuto effettuare una due diligence chiesta dalla SEC sulla possibile provenienza delle terre rare da zone di conflitto. Nell’appendice del documento è presente l’elenco dei fornitori di materiale minerario. 260 società di estrazione, fonderie, raffinerie, ognuna delle quali supera, a volte di molto, il milione di Ton CO2. Anche in questo caso, il calcolo delle emissioni esteso all’intera catena del valore è rimandato al 2021.
Poi c’è Tesla, che negli ultimi tempi ha dato molte soddisfazioni non solo ad investitori green. “To the moon!”, come dicono su Reddit. Ed in questo caso anche oltre, visto che una Tesla Roadster è stata sparata verso Marte. Sarà perchè ormai Musk ha iniziato a ragionare in assenza di gravità ma gli standard GHG non sono nel radar. Nel sustainability report 2020, infatti, niente numeri sulla CO2 ma si conferma l’anima green e si annuncia per il 2021 la rilevazione delle emissioni con un proprio metodo di calcolo. Vedremo a breve, quindi, come sarà considerata la questione dei microprocessori e dell’energia prodotta per muovere le vetture. Argomento delicato, quest’ultimo, per l’industria automobilistica. Sergio Marchionne, noto per non essere troppo allineato al pensiero mainstream, sulle auto elettriche aveva una visione piuttosto chiara: “Prima di pensare che i veicoli elettrici siano la soluzione, dobbiamo considerare tutto il ciclo di vita di queste vetture, perché le emissioni di un’auto elettrica, se l’energia è prodotta da combustibili fossili, sono equivalenti se non peggiori a quelle di altri tipi di auto”.
E i Fondi?
I Fondi d’investimento non sono certo obbligati ad acquistare gli stessi titoli presenti negli indici anzi, meglio non lo facciano per nulla in questo caso, almeno per preservare una parvenza di orientamento tematico. Di sicuro, gli analisti MSCI hanno un senso dell’umorismo sviluppato alla scuola di Monicelli: i Fondi devono battere il benchmark ma se investono negli stessi titoli non sono più “Fondi low carbon” e se non lo fanno rischiano di ottenere performances (molto) peggiori. Un sarcasmo degno del Sassaroli.
Quindi, come si comportano? Lo vedremo nella seconda parte
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Adriano Azzaretti – da 30 anni si occupa di innovazione tecnologica per il mondo Finanza e Asset Management. Consulente nel settore bancario in ambito Crypto, Finance, conversational commerce. Mentor universitario facoltà di Economia e Finanza, da oltre 10 anni tutor per startup a impatto sociale.