«Io credo molto nell’imprenditoria italiana, che ha visione e riesce a portare avanti, nell’approccio tipico italiano creativo ed empatico, quella che è la nostra proposizione competitiva a livello globale»: ha nome e cognome tedeschi, lavora per un iconico brand tedesco, ma nel petto di Josef Nierling, amministratore delegato di Porsche Consulting – società di consulenza strategica controllata dal colosso dell’auto – batte un cuore tricolore, visti i natali della mamma, catanese. E dall’osservatorio della sua azienda, non grandissima ma molto specializzata e performante nel suo settore, ha del futuro delle nostre imprese un’idea complessivamente positiva, per non dire rosea. Che per realizzarsi avrebbe però bisogno della concretizzazione di alcune condizioni.
Dottor Nierling, ci spiega meglio?
Gli italiani riescono ad avere prodotti molto creativi e apprezzati per qualità all’estero a livello globale e indipendentemente dal settore. Oggi, al di là di certe insicurezze superabili, siamo invece poco propensi a spingere l’innovazione. Il settore dell’auto potrebbe essere una cartina tornasole per la capacità del sistema di vivere le necessarie trasformazioni generali che vengono poi declinate un po’ in ogni ambito. Se pensiamo all’alimentazione e al no alla carne sintetica o all’uso di determinate proteine vegetali, ecco: è subito scattata una normativa conservativa, protettiva. E invece dovremmo cercare di attivare le nostre imprese ad innovare, mantenendo l’unicità del made in Italy ma declinato nel nuovo. Chiudersi in una protezione del tradizionale potrebbe ostacolare i nostri imprenditori.
Un settore di grande stress è comunque quello dell’auto, dal cui mondo nasce anche Porsche Consulting… A che punto è la transizione energetica nell’automotive? A guardare le nostre strade si direbbe che siamo quasi fermi…
È vero, perché se guardiamo bene nelle nostre strade vediamo prevalentemente auto di generazioni anche passate. Il parco auto italiano è anche più vecchio rispetto a quello di altri Paesi, e quindi per vedere nelle nostre strade auto elettriche dovremo aspettare molto tempo. Dovremo forse attendere il 2035, questa soglia psicologica di quando non si potranno più vendere auto a combustione interna. Ma per la verità è una cosa un po’ più complessa. Se guardiamo bene i motivi della transizione, ce ne sono sicuramente dal lato della sostenibilità ma c’è anche un motivo di competitività internazionale. La transizione verso l’elettrico è una decisione che è stata presa da anni all’estero e che anche in Europa tutti stanno prendendo perché a livello globale è quella la tecnologia che sarà dominante nei prossimi anni, e lo vediamo sia ad Ovest negli Stati Uniti dove c’è già da tanti anni una presenza sempre più forte di auto elettriche, sia ad Est, in Cina, dove la tecnologia elettrica si sta consolidando.
Questa transizione eliminerà molte componenti essenziali per l’auto a motore a scoppio che all’auto elettrica non occorrono più. Che impatto voi prevedete che abbia la transizione elettrica sull’infrastruttura produttiva dell’automotive nel mondo?
La transizione è fondamentale alle imprese europee per garantire loro la continuità della produzione qui in Europa e orientata all’export, perché la produzione europea è prevalentemente orientata all’export. È vero che il contenuto dell’automobile elettrica è diverso per sua natura rispetto a quello dei motori a combustione, dove c’è meno componentistica meccanica che è tra l’altro una delle grandi capacità produttive italiane. C’è però anche tanta nuova componentistica di cui noi stessi in Italia possiamo diventare player rilevanti. Parlo dei motori elettrici, parlo della componentistica elettronica…
Come vede i colossi italiani della componentistica, ad esempio Magneti Marelli?
Se guardiamo il rischio della riduzione in volume nella componentistica, be’: è un rischio reale. È legato alla filiera dei cambi e dei motori, mentre i fari e i sedili, in cui l’Italia ha storicamente una grande competenza, rimane intatta anche con l’elettrico! No, la questione importante è un’altra: mantenere anche la produzione di autoveicoli attiva in Italia, con tutto l’indotto sia di chi fa componentistica sia di chi fa la manutenzione degli impianti e di chi fa ricerca, perché la ricerca non è un progetto astratto ma si fa insieme a chi poi produce le automobili ed è quindi fondamentale avere qui in Italia la produzione e la ricerca, così riusciamo ad attrarre nuovi investimenti per esempio nelle batterie, nei semiconduttori.
Dunque, il destino è quello: elettrificazione dell’automotive, senza se e senza ma.
In questo momento sì. Bisogna considerare i cicli tipici del prodotto-auto: un investimento, che può assorbire diversi miliardi, per un nuovo modello di un’auto, ha un ciclo di vita tipicamente di 10 anni. Se guardiamo questa tecnologia dell’elettrico, ha un orizzonte tipico di 20-30 anni e quindi per i prossimi lustri sicuramente la tecnologia predominante sarà l’elettrico. Questo non significa che sarà sempre così, si stanno ancora studiando altre tecnologie come l’idrogeno…
Già: cosa comporta produrre una macchina a idrogeno rispetto a produrla tradizionale, cioè a combustione interna, o innovativa e quindi elettrica, ma senza idrogeno?
L’idrogeno potrebbe avere due modalità di utilizzo per la trazione del veicolo: far funzionare un motore a combustione, in cui l’idrogeno viene bruciato e dove c’è un motore con pistoni e cilindri che girano, tipicamente questo ha anche qualche emissione, figlia delle alte temperature ma figlia anche dei lubrificanti poiché ci sono anche parti meccaniche, che il motore elettrico invece non ha. Oppure si possono usare le fuel cell per trasformare l’idrogeno di un serbatoio in elettricità e quindi muovere un’auto elettrica…
E quale tra le due tecnologie avrà successo secondo lei?
Secondo me più avanzata, in questo momento, è la fuel cell, se ne stanno facendo ora degli esperimenti molto interessanti. Ma sia chiaro, a sua volta è sul nascere, per cui prima di vederla realmente industrializzata ci vorrà molto tempo.
Se dovesse prevalere la fuel cell, che ne faremo delle tante colonnine di ricarica che stiamo installando?
Be’, anche le colonnine hanno una vita utile e quindi fondamentalmente sarà più probabile, in futuro, vedere tante generazioni di colonnine elettriche per le strade finché non morirà la tecnologia dell’elettrico a ricarica e non si affermerà quella della fuel cell… Ma non sappiamo precisamente quando tutto questo avrà luogo, ma non penso che questo accadrà.
Automobile, componentistica, alimentare: ovunque domina l’impresa familiare. In Italia come però anche in Germania, dove ad esempio il suo gruppo è a controllo familiare. Quale atout individua in questa impostazione?
La nostra è un’azienda che in questo momento è la più grande impresa industriale che abbiamo in Europa, ma ha degli elementi molto simili a quelli delle imprese italiane, e si vede. Prima di tutto la visione di lungo termine, che conduce a non guardare i trimestri con un approccio americano, diciamo così, ma a portare avanti nelle generazioni dei business che sono profittevoli. La nostra azienda è molto profittevole ed è nata da una crisi di Porsche, che 30 anni fa ha richiesto di costruire un team consulenziale per fare una trasformazione radicale dei processi e che è poi andata molto bene in quanto oggi l’azienda è quella con il maggior profitto al mondo per veicolo, nel settore. Ciò che abbiamo mantenuto è questo approccio pragmatico, poiché abbiamo imparato da subito che le cose devono essere realizzate e le strategie devono portare i risultati in azienda. Oggi con la trasformazione dell’automotive tutto questo significa essere competitivi e bisogna essere molto pragmatici.