Se fosse un film, sarebbe qualcosa a metà tra “Il padre della sposa” e “Top Gun – Maverick”. Perché la scelta fatta da Carlo Robiglio, imprenditore fondatore ed ex presidente della Piccola Industria di Confindustria, è stata insieme un sacrificio affettivo ma funzionale alla crescita dell’azienda ceduta e la decisione di rilanciare la propria sfida imprenditoriale su basi più solide e ambiziose sia nell’azienda ceduta che nelle altre rimaste sotto la sua holding novarese, il gruppo Ebano.

Oggi Robiglio, che ha appena perfezionato la vendita della sua “perla”, cioè Cef Publishing – leader in Italia nella formazione professionale per il mercato consumer con il marchio Corsicef – al colosso spagnolo MasterD, controllato dal fondo Usa Kkr, deve sentirsi un po’ come Spencer Tracy nel cult-film in cui, con animo combattuto, accompagnava all’altare l’amatissima figlia. Ma si è già rimboccato le maniche, per sua natura – alla Tom Cruise – e dà l’impressione di star già lavorando più di prima alle prossime “missioni”. Innanzitutto perché di Cef Publishing è rimasto presidente con deleghe, per l’esercizio in corso e per il prossimo, affiancato dallo stesso manager che lui aveva scelto come direttore generale, Silvano Mottura, diventato amministratore delegato; e poi perché non ha spostato i proventi della vendita in qualche paradiso fiscale dove emigrare a prendere il sole bevendo drink ma in parte li ha già reinvestiti nella stessa holding MasterD e in parte li tiene in caldo per puntarli anche e soprattutto sullo sviluppo delle altre sette aziende rimastegli in Ebano, che spaziano dall’ecommerce e digital all’editoria, ai servizi professionali per l’e-learning.

Dottor Robiglio, complimenti. Ha trovato un ottimo partito per sua figlia! Ma le mancherà?

Guardi, da presidente della Piccola di Confindustria ho girato in quattro anni tutta l’Italia illustrando la necessità che le piccole imprese crescano, crescano come imperativo categorico, se necessario anche fondendosi con altre o attraverso la cessione a soggetti finanziariamente più forti di quanto possano essere gli imprenditori fondatori e quindi più capaci di accelerarne la crescita. Eppure, in tutta franchezza, nel mio caso non avevo mai programmato una vendita, grazie al forte trend della domanda di formazione da parte del pubblico generale oltre che di quello corporate.

E allora?

Alla fine del 2021 siano stati contattati da Kkr che aveva identificato l’Italia come un mercato di sviluppo molto interessante e complementare alla Spagna, individuando nella nostra azienda un soggetto in linea con i loro interessi. Abbiamo iniziato a dialogare immaginando, a schema libero, ad una qualche forma di alleanza, più che a una cessione. Poi il ragionamento si è sviluppato e in dieci mesi, attraverso varie fasi e non senza fatica anche per la crisi acuta in cui è entrato il mondo, siamo arrivati in fondo, cioè ad un’offerta di acquisto con una valutazione precisa nata da una dettagliatissima due diligence, sulla cui base a metà dicembre abbiamo firmato l’accordo.

Quali condizioni ha posto agli acquirenti, oltre ovviamente al prezzo?

Avevo preliminarmente posto due condizioni: il mantenimento della sede aziendale a Novara e la conferma dei posti di lavoro sul territorio. Due connotati senza i quali si sarebbe snaturata l’azienda. Ma non sono mai stati messi in discussione, non ho mai dovuto trattare su questi punti. Fin dal principio, invece, loro mi hanno chiesto che la governance aziendale rimanesse nelle mani in cui l’avevano trovata, le mie e quelle di Mottura. Il che significa valorizzare quanto è stato fatto. E infine mi hanno fatto la proposta di reinvestire nella holding, quindi diventare loro socio.

Pensa che le sia convenuto accettare quest’ultima offerta?

Credo talmente alla valenza industriale dell’integrazione che non posso che trovare interessante reinvestire in essa. Anche se mi rendo conto che essere proprietario di un’impresa è molto diverso che avere una partecipazione piccola. Ma i nostri partner hanno sempre ribadito – e ne sono naturalmente orgoglioso – che tenevano molto al mio coinvolgimento nella governance. Contemporaneamente, non solo continuerò a gestire per due anni importantissimi la Cef Publishing, non solo con il reinvestimento nella holding spagnola resterò coinvolto, sia pure ad un livello più alto, in un settore nel quale credo molto; ma anche e soprattutto potrò ancor meglio occuparmi, da imprenditore proprietario, della crescita delle altre attività che restano nel gruppo Ebano, e nelle quali pure crediamo molto, per aprirci nuove prospettive per gli anni a venire.

Insomma, non avete semplicemente voluto fare cassa?

Tutt’altro. Il progetto di sviluppo di Kkr nel settore è molto ambizioso, l’intenzione è crescere ancora in Italia, anche per acquisizioni ulteriori se dovesse profilarsene l’opportunità. Certo la mentalità deve cambiare, saper gestire la crescita lo richiede: essere entrati a far parte di una grande realtà impone un cambio di logica. Ad esempio, potremo importare fin da subito in Italia una serie di competenze e prodotti di successo in Spagna che con i necessari ma pochi ritocchi possono benissimo riscuotere successo anche da noi andando rapidamente sul mercato. Per sviluppare da zero un corso in Italia occorre investire centinaia di migliaia di euro!  Tutto questo dovrebbe cambiare anche le logiche e le metriche della crescita, connessa peraltro ad un possibile ulteriore earn-out a 24 mesi.

Complimenti davvero ma… insisto: come si sente nelle vesti di “padre della sposa”, ossia di ex proprietario divenuto manager?

La domanda su come cambierà il mio vissuto me la pongo da mesi, mi rendo conto che è un cambio totale e che bisognerà adattarsi velocemente. In un’azienda familiare il consiglio d’amministrazione, pur nella sua responsabilità, risponde al capo-azienda, che nel mio caso era anche l’azionista di controllo. Non sarà una transizione semplice, per quanto io già mi ritenga una persona “evoluta”, culturalmente, da questo punto di vista. L’esperienza confindustriale mi ha aiutato moltissimo in questo approccio, e sto trovando conferma della mia antica idea che le preoccupazioni di tanti piccoli imprenditori sono fondate. Quando capita a te ti accorgi di quanto cambino le prospettive. Eppure sono contento e convinto della scelta fatta, non si può pensare di rimanere in un limbo. L’errore più grosso che può fare l’imprenditore che cede l’azienda è quello di fissarsi sull’idea di aver perso una proprietà, mentre si è acquistata una più grande opportunità, se il compratore è quello giusto: la crescita dell’azienda unita all’interesse personale e non condizionata da esso, con una prospettiva di stabilità e continuità preziose per il territorio e per la comunità…

Peccato, però, che non ci sia una casistica più numerosa anche di fusioni tra concorrenti, merges of equals…

È vero, capita di rado: gli imprenditori hanno amor proprio, piuttosto che fondersi con un proprio comparable trovano mille eccezioni. Se invece arriva un colosso, che da un lato garantisce solidità e continuità, e dall’altro non rappresenta un rivale ma un investitore istituzionali, molte barriere cadono. E poi, diciamo la verità: i grandi fondi come Kkr hanno una potenza finanziaria che fa la differenza sia sul piano dell’interesse nella vendita che dell’interesse nella crescita.

Si è consultato con la sua famiglia prima di vendere?

Sì, perché le le logiche familiari vanno sempre considerate. Io sono convinto che non si debba più parlare di passaggio generazionale ma di continuità aziendale, che significa poi ragionare di responsabilità sociale. Ne ho parlato con il mio figlio più grande, che ha 26 anni ed anche con l’altro che ne ha quasi 15: ma li avevo già in qualche modo contagiati con la mia visione, secondo cui l’impresa non è puramente di proprietà dell’imprenditore che l’ha creata ma anche di tutti i suoi stakeholder, quindi rappresenta comunque un bene collettivo, aperto. 

È stato gravoso superare la due diligence?

No, perché l’azienda è stata costruita come una casa di vetro, senza nulla da nascondere o minimizzare, nella piena sostenibilità economica e non solo finanziaria. Questo vuol dire chiarezza, trasparenza, certezza dei dati, per non dover temere alcun che. È stata impegnativa, la due diligence, quello sì: ma è stato molto bello sentirci dire dal team di Kkr che raramente avevano visto una piccola impresa così pronta su dati, numeri e processi. È stata davvero una bella soddisfazione per noi.