È l’ennesima riprova della tracotanza dei giganti del web. La vicenda è grottesca ma merita di essere raccontata. A luglio del 2020 viene emanata la sentenza Schrems da parte della Corte di Giustizia europea con cui viene sospeso il Privacy Shield perché non forniva adeguate garanzie di tutela della riservatezza dei dati personali ai cittadini europei nei confronti di società di Paesi terzi che avevano server in altri Stati non europei. Nei giorni scorsi, poi, si è tornato a parlare di una revisione di questi accordi tra Europa e Usa per garantire una migliore difesa della privacy dei cittadini. Si potrebbe arrivare a una stretta di mano entro maggio.
E qui entra in gioco Zuckerberg, il quale prima, nella relazione annuale alla Sec (la Consob americana) ammette che potrebbe essere costretto a chiudere Facebook e Instagram in Europa se si andasse verso una legge più severa. Poi il vicepresidente di Meta per gli affari globali, Nick Clegg, annuncia che l’auspicio è di un legislatore europeo che adotti un approccio pragmatico e proporzionato. “Per impedire – dichiara – che migliaia di aziende, compresa Facebook, subiscano gravi danni”.
Una mossa avventata?
È una minaccia a pieno titolo, che mostra la vera faccia di queste aziende. È ovvio che un inasprimento delle misure sulla privacy andrà a detrimento non certo di imprese – tanto per fare esempi – manifatturiere o dell’energia. Ma di quelle aziende tech che da anni drenano ogni risorsa pubblicitaria (in Italia siamo a oltre l’80% del complessivo) perché hanno in mano le chiavi di ricerca, i dati, le preferenze degli utenti.
È come se nel campo di calcio fosse una squadra a scegliere arbitro, regole, pallone e perfino stadio. E poi si indignasse se qualcuno alzasse il dito per dire loro che forse non siamo di fronte a una procedura trasparente. Ma d’altronde è un grande classico: si minacciano ritorsioni, si grida alle leggi liberticide per riuscire a mantenere la propria posizione dominante. Accortisi di aver ecceduto, quelli di Meta hanno prodotto una nota, piuttosto conciliante, per cercare di dimostrare la piena volontà di mantenere la propria presenza in Europa.
Un messaggio conciliante
“Non abbiamo assolutamente alcun desiderio e alcun piano – scrivono – di ritirarci dall’Europa. Semplicemente Meta, come molte altre aziende, organizzazioni e servizi, si basa sul trasferimento di dati tra l’Ue e gli Stati Uniti per poter offrire servizi globali. Come altre aziende, per fornire un servizio globale, seguiamo le regole europee e ci basiamo sulle Clausole Contrattuali Tipo (Standard Contractual Clauses) e su adeguate misure di protezione dei dati. Le aziende, fondamentalmente, hanno bisogno di regole chiare e globali per proteggere a lungo termine i flussi di dati tra Stati Uniti ed Ue, e come più di 70 altre aziende in una vasta gamma di settori, mano mano che la situazione si evolve, stiamo monitorando da vicino il potenziale impatto sulle nostre operazioni europee”.
D’altronde, dopo i conti terribili che hanno portato la holding di Zuckerberg a registrare la peggiore performance a Wall Street c’è poco margine per mosse avventate. Si spera.