«Quotare Talent Garden all’Aim? Diciamo che abbiamo obiettivi più ambiziosi, noi puntiamo al segmento principale. E lo faremo, anche perché il nostro business plan per i prossimi cinque anni è di continuare a crescere del 100% anno su anno». Si possono dire tante cose su Davide Dattoli – bresciano, classe 1990, fondatore di Talent Garden – ma non che non abbia le idee chiare. Inserito nell’annuale classifica di Forbes degli under 30 più influenti (unico italiano), oggi Dattoli coordina una squadra di 160 persone in 8 paesi per 23 sedi complessive. La sede di Milano di Via Calabiana – nel nuovo polmone culturale del capoluogo lombardo vicino alla Fondazione Prada e al nuovo quartier generale di Fastweb – è un gigante di 8.500 metri quadri (con tanto di piscina sul tetto) aperto 24 ore 24, sette giorni su sette. Piccola curiosità per bibliofili: è in questi locali, un tempo stamperia, che la prima copia dei Promessi Sposi, nel 1842, ha visto la luce. Oggi la struttura accoglie oltre 500 persone, con una percentuale di “riempimento” delle aree superiore al 106%.
La mission di Talent Garden è mettere in contatto l’ecosistema delle startup con le grandi aziende che vogliono innovare
Perché il primo business di Talent Garden, fin dalla sua fondazione, è sempre stato quello di creare spazi di coworking. Con una mission precisa: mettere in contatto l’ecosistema delle startup con le aziende di grandi dimensioni che vogliano mettere un piede nel mondo dell’innovazione. E poi eventi aziendali, corsi di formazione, master, laboratori. L’universo variegato di Talent Garden è un sillabo di quello che potrebbe essere la new economy ma che, almeno in Italia, ancora non è. L’ultimo round di finanziamento ha portato in dote 44 milioni di euro (record per il mondo delle startup italiane) grazie a StarTip, il fondo di Giovanni Tamburi che ha portato nell’azionariato di Talent Garden alcuni blasoni dell’imprenditoria italiana, dai Dompè ai Ginatta, dagli Angelini ai Drago. In realtà, anche Digital Magics si è accorta rapidamente della bontà dell’idea di Dattoli, tanto da averlo inserito nel suo programma di accelerazione a partire dal 2014. Nell’ottobre dello scorso anno Digital Magics è passata all’incasso, cedendo circa il 9% del capitale alla Heroes srl controllata dal management di Talent Garden. La vendita per 3,6 milioni ha garantito a Digital Magics una plusvalenza di oltre 3,2 milioni di euro. L’aumento di capitale da 44 milioni di euro perfezionato nei mesi scorsi è in realtà la seconda “vigorosa” iniezione, dopo quella di tre anni fa quando attraverso 500 Startups, uno dei più importanti incubatori a livello globale con sede a San Francisco, si arriva a un aumento di capitale da 12 milioni di euro, il più importante round del 2016. È questo l’aumento di capitale, sotto l’egida della Tip di Tamburi che era già azionista con il 25% complessivo, che vede l’ingresso di alcune delle più importanti famiglie imprenditoriali italiane. Oggi Talent Garden ha un valore di circa 80 milioni. “And counting”, come direbbero gli anglosassoni: il tassametro non accenna a fermarsi e Tag (come viene chiamata la creatura di Dattoli) è ancora lontana dalle dimensioni che può raggiungere.
Dattoli, un round da record che ci avvicina un po’ di più ad altri paesi europei più evoluti dal punto di vista delle startup.
È vero. Fino a due o tre anni fa in Italia si parlava di innovazione relativamente a realtà ancora molto piccole. Oggi invece l’ecosistema sta crescendo e iniziamo ad avere una decina di belle aziende che hanno la possibilità di diventare autentici “campioni”, a patto che si riesca a non farsi la guerra l’un l’altro.
Nel 2014 Digital magics ha inserito tag nel suo programma e a ottobre dello scorso anno ha realizzato una plusvalenza di oltre 3,2 milioni
Mica facile, in Italia…
Rimango fiducioso, mi pare che ci sia un cambio di paradigma in atto. Due o tre anni fa quando parlavi di innovazione da queste parti si faceva riferimento a realtà piccolissime, mentre oggi l’ecosistema italiano comincia ad avere una decina di belle realtà, che hanno davvero la possibilità di diventare i prossimi campioni. E tutto questo senza farci la guerra l’un l’altro.
Possibili “unicorni” all’orizzonte? Oltre a Talent Garden, ovviamente?
Ci sono tante belle realtà che stanno crescendo…
Ne scelga un paio…
Così in maniera secca direi Bending Spoons e Satispay.
Che cosa vi rende così forti?
Un’offerta come la nostra, che unisce coworking, formazione ed eventi aziendali non ha competitor in Europa. Ovvio che se guardiamo agli Stati Uniti siamo veramente piccolini, ma qui nel “vecchio continente” siamo stati capaci di crescere così rapidamente perché poggiamo su una strategia orizzontale, ovvero cerchiamo di differenziare quanto più possibile l’offerta per il pubblico, invece che verticale.
Quanto crescete?
Tanto. Nel senso che negli ultimi cinque anni abbiamo sempre raddoppiato il fatturato rispetto ai 12 mesi precedenti. E quest’anno arriveremo intorno ai 25 milioni di revenues.
Per questo la Tip di Giovanni Tamburi ha puntato così forte su di voi?
Tamburi è un partner industriale che ci ha accompagnato fin dall’inizio. Rispetto ad altri ci continua ad aiutare anche dal punto di vista della strategia di crescita: siamo sicuri che ci potrà aiutare a trovare altri partner finanziari, magari in giro per l’Europa.
E la quotazione in Borsa?
È un buon modo per trovare capitali…
Sì, purché si parli del Ftse Mib e non dell’Aim. Non guardiamo a una quotazione “mignon”, vogliamo giocare tra i grandi. Ma per arrivarci dobbiamo ancora crescere tantissimo prima di avere quella massa critica che potrebbe permetterci di affrontare la quotazione sul listino principale.
«Tamburi è un partner industriale che ci ha accompagnati fin dall’inizio e ci continua ad aiutare sulla strategia di crescita»
Un po’ di numeri di Talent Garden.
Quest’anno raggiungeremo i 25 milioni di fatturato. Il nostro team è riconosciuto a livello internazionale e abbiamo 160 persone che ne fanno parte. Il nostro obiettivo è aumentare le voci di ricavi, dopo questo round stiamo lavorando sull’apertura di nuovi centri. Oggi siamo arrivati a 23 sedi ma non vogliamo fermarci qui. Attualmente il 40% dei ricavi proviene dal coworking, il 40% dalla formazione e il 20% dagli eventi aziendali.
Il gruppo fondatore è rimasto al suo posto?
In realtà il gruppo fondatore è composto da me e dal mio amico d’infanzia Lorenzo Maternoni.
Che strategia avete per ingrandirvi?
Stiamo puntando sull’apertura di nuove sedi a livello europeo con scuole di formazione e spazi di coworking. E poi vogliamo capire che tipo di servizi offrire ai nostri clienti: abbiamo 3.500 persone che ogni giorno impiegano le nostre strutture o che partecipa ai nostri corsi. La domanda che dobbiamo iniziare a porci è: come possiamo andare incontro alle loro esigenze? Come possiamo ampliare l’offerta?
Avete appena inaugurato un nuovo Talent Garden a Vienna: come mai avete scelto quella città?
Perché è un ponte perfetto per l’Europa dell’Est. Sono tantissimi, ad esempio, gli ungheresi che ogni giorno vanno a Vienna. E così altri abitanti dell’Europa dell’est che vedono l’Austria come il luogo perfetto in cui portare avanti la loro idea di innovazione provenendo da zone che ancora non hanno saputo esprimere tutto il loro potenziale. Anche se perfino lì si sta muovendo qualcosa e noi siamo presenti con un Talent Garden in Lituania e uno in Romania.
Tornando all’Italia, avete puntato tre milioni di euro su una nuova sede romana: che aspettative riponete in questa apertura?
È un campus molto grande, 5.000 metri quadri in zona Gazometro, che offrirà 300 postazioni di lavoro. Inoltre abbiamo previsto anche una Innovation School che diventerà attiva anche Roma e dove si prevede la formazione di 1.000 persone in due anni.
Vi fermerete qui?
Nemmeno per idea! Il sud sta crescendo moltissimo. Penso a Napoli o a Catania, per esempio. Ma non solo. Noi abbiamo stretto accordi con l’Università della Calabria, e in futuro cercheremo di essere sempre più presenti anche nel Meridione.
Con che tipo di aziende vi confrontate?
Per natura abbiamo voluto fare da ponte tra i piccoli e grandi. I primi per la loro possibilità di portare innovazione. Gli altri perché hanno le spalle larghe ma sono ancora troppo indietro. A livello corporate, quindi, il 50% del fatturato viene da grandi aziende perché le aiutiamo a capire come possiamo innovare.
Per quanto concerne la formazione, invece, che tipo di offerta proponete?
Abbiamo messo a punto dei master che stanno piacendo moltissimo. Riceviamo migliaia di proposte e dobbiamo fare una selezione molto rigorosa. Noi garantiamo un programma formativo di 12 settimane a cui fa seguito uno stage retribuito assicurato in una delle aziende che fanno parte della nostra offerta. In questo modo, nonostante abbiamo una politica di prezzi abbastanza elevata, si rientra dell’investimento in maniera quasi complessiva nei sei mesi successivi.
Concludiamo in bellezza: che cosa pensa della normativa sul copyright in Europa?
Non voglio scendere nel merito perché non conosco così bene la questione, ma mi sento di dire alcune cose. In primo luogo che il copyright non può più essere inteso come una categoria a sé stante. In questo mi sembra che l’Ue stia facendo un po’ come il Senato americano quando ha messo sotto inchiesta Facebook: parla una lingua arcaica che non si adatta alle nuove esigenze. D’altro canto il vecchio continente è anche l’unico che terrorizza i lobbisti americani: perché se è vero che i colossi del tech negli Usa stanno veramente facendo quello che vogliono, in Europa potrebbero davvero avere vita dura!