Il CAV, Centro Attività Vivaistiche, rappresenta una realtà di eccellenza dell’agroalimentare italiano, grazie al lavoro di altissimo livello dei soci vivaisti

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Nuova operatività ristori Emilia-Romagna

A partire dal 21 novembre ampliata l’operatività dei Ristori da €300 milioni riservati alle imprese colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. La nuova misura, destinata a indennizzare le perdite di reddito per sospensione dell’attività per un importo massimo concedibile di 5 milioni di euro, è rivolta a tutte le tipologie di impresa con un fatturato estero minimo pari al 3%.



a cura di Marta Vinci

Il CAV, Centro Attività Vivaistiche Tebano (Faenza), è una delle realtà vivaistiche organizzate più importanti d’Europa. Fondato nel 1982 come una specie di start-up regionale, è passato in seguito in gestione a una cooperativa agricola composta da una trentina di aziende d’eccellenza che costituiscono la quasi totalità della produzione vivaistica frutticola della Regione Emilia Romagna. A livello nazionale rappresentano il 95% della produzione  vivaistica della fragola, il 75% per i piccoli frutti (rovo, mirtilli e lamponi), il 50% per le altre specie frutticole e il 50% per la vite.

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L’intero processo, in ottemperanza alle leggi nazionali ed europee, porta alla produzione di piante certificate dal punto di vista genetico e fitosanitario, sotto la supervisione del Servizio Fitosanitario Pubblico.

Sentiamo come descrive l’esperienza del CAV il suo direttore, Marco Pancaldi.

Quale obiettivo ha il CAV e come funziona?

I vivaisti soci della nostra cooperativa conferiscono al centro le prime piante da cui partirà il processo di moltiplicazione, perché vengano controllate e dichiarate esenti da tutti i parassiti e i patogeni tipici di quelle specie vegetali. Una volta assicurata l’assenza di malattie, ovvero accertato che la pianta è sana, dalla stessa partono le moltiplicazioni successive, fino a produrre in vivaio decine di migliaia di piantine poi vendute agli agricoltori.

Mi deve spiegare meglio…

Il CAV acquisisce la pianta fornita da un vivaio socio e la analizza secondo i protocolli italiani della certificazione VE (Virus Esente), molto severi e molto più stringenti di quelli europei.

A svolgere le analisi è il nostro laboratorio di analisi fitopatologiche, forse il più grande in forma privata in Italia, per il quale passano 40.000 campioni l’anno; considerando una media di 5 patogeni ricercati per ogni campione, parliamo di 200.000 data point all’anno.

Una volta stabilito che la pianta primaria non ha patogeni, viene iscritta al registro nazionale della certificazione e viene messa in conservazione nelle screen house, 5.000 mq di serre con reti antiafidi (cioè nelle quali gli insetti non possono entrare) e box climatizzati.

Siamo il più grande centro di conservazione in Italia e condividiamo il primato europeo con un altro grosso centro olandese, il Nak Tuinbouw, pubblico-privato.

Al CAV le piante vengono controllate continuamente; da queste piante dette primarie, parte la filiera vivaistica, fatta di fasi di moltiplicazione.

Dalla pianta primaria (che resta conservata nel centro) otteniamo il pre-base. Per moltiplicazione successiva otteniamo il base certificato che vendiamo ai vivaisti, i quali lo mettono a dimora nei campi ottenendo il loro frutteto di piante madri da cui prelevano il materiale, cioè le gemme, per fare gli astoni, piante giovani che vengono prodotte in vivai certificati.

Questi protocolli così severi consentono ai nostri vivaisti di offrire all’estero prodotti che con maggiore facilità superano le barriere fitosanitarie dei vari paesi.

Quanta della produzione vivaistica dei vostri soci va all’estero?

La quota di export continua a crescere e per i vivai più grandi tocca ormai l’80-90%, con volumi molto interessanti perché i nostri soci esportano ovunque nel mondo: Africa, Asia, Paesi dell’Est (Area Balcanica e Russia), Medio Oriente, Nuova Zelanda, Sud America.

Un paio di volte al mese abbiamo delegazioni estere portate dai nostri vivaisti in visita al CAV, composte da clienti o istituzioni.

E’ il livello della certificazione, quindi, a rendere i soci così forti sull’export?

Anche, ma la posizione di preminenza dei nostri soci sui mercati esteri si deve principalmente all’eccellenza della loro produzione e alla loro determinazione e coesione nel credere e sostenere il CAV.

Sul piano commerciale i nostri soci sono in competizione come è giusto che sia, ma il CAV è un punto di incontro e di equilibrio perché le sue attività di conservazione e di analisi permettono economie di scala. Per il ben noto principio l’unione fa la forza, inoltre, rappresentiamo una massa critica quando bisogna mettersi in relazione con le istituzioni pubbliche e la politica, un sostegno importantissimo quando si devono far valere le posizioni della categoria; per esempio, protocolli più stringenti come quello italiano, rispetto a quello europeo.

Come si comporrà la questione protocolli?

L’UE non poteva esimersi dall’abbassare l’asticella per includere realtà così diverse nel panorama europeo, ma bisogna spingere perché alla Certificazione europea si affianchi una certificazione nazionale di livello superiore, abbinata a una qualità top made in Italy, per dare visibilità allo sforzo e all’impegno quotidiano di tutti i nostri soci che hanno scelto l’eccellenza come stella polare.

Una realtà fortemente competitiva sul mercato mondiale, che offre materiale con qualità visiva (parametri biometrici) e intrinseca, provata dalla certificazione che garantisce un’identità genetica e sanitaria di livello altissimo.