Trasmissioni tv, talk show, pubblicità. E poi un seguito da rockstar, fan in delirio che iniziano a esprimersi come i propri beniamini. Non parliamo di un nuovo fenomeno online, ma degli chef stellati, il mestiere che ha soppiantato l’impiegato di banca nei sogni di tutte le mamme d’Italia che si augurano un futuro più roseo per i propri figli. I vari Barbieri, Bottura, Cannavacciuolo e Cracco (in rigoroso ordine alfabetico) fatturano da soli come un’azienda e danno l’idea che il ristorante – meglio se stellato – sia la panacea di tutti i mali e consenta di raggiungere grandi risultati economici e personali. Ma è davvero così? In realtà non proprio. Secondo uno studio realizzato dalla JFC di Massimo Feruzzi, l’introito medio dei 356 ristoranti che in Italia hanno almeno una stella Michelin è di 775.000 euro all’anno, a fronte di 6.318 clienti che varcano la porta dello “stellato”.
I 356 ristoranti stellati in Italia fatturano 775mila euro con 6.318 clienti. il costo medio è 112 euro per una stella, e 250 per tre
Una spesa media per cliente di 112 euro per gli esercizi che hanno ottenuto una Stella Michelin, 178 per chi ne ha due e 250 per chi ne ha tre. Calcolatrice alla mano, salvo rare eccezioni, non si tratta di numeri particolarmente impressionanti. Allestire una cucina può arrivare a costare anche 300.000 euro, mentre il costo medio del personale è di 40.000 euro all’anno per persona. Se si considera che in media lavorano in un ristorante stellato una decina di persone, i conti sono presto fatti. Ma non basta: bisogna anche pagare fornitori, bollette e affitto. Tutte voci che riducono drasticamente i margini per gli chef.
«La maggior parte dei ristoranti stellati – ci racconta Valerio Visintin, il “critico mascherato” del Corriere della Sera – sta in piedi grazie all’indotto, che per gli chef significa manifestazioni, show cooking, ospitate in televisione. Poi ci sono degli introiti più “sotterranei”, che si manifestano nella ingerenza degli sponsor sui menù. Ai fini del gusto, che senso ha dirmi che marca di pasta è stata utilizzata? La verità è che i menù stanno diventando sempre più come le tute dei piloti di formula uno».
In effetti, secondo lo studio di JFC le attività extra-ristorante assumono per gli chef una valenza sempre maggiore. I grandi nomi possono arrivare a prendere parte a una quarantina di manifestazioni di vario tipo per cui percepiscono un cachet che va dai 4.500 ai 32mila euro. E fare i conti non è difficile. Insomma, un mondo a due facce in cui chi sta in cima alla piramide guadagna molto bene, mentre gli altri, pur con riconoscimenti prestigiosi dalle guide, faticano a raggiungere fatturati importanti. «Molti ristoranti – aggiunge Visintin – per far quadrare i conti prendono un numero di stagisti superiore a quello previsto dalla legge e si accordano con le scuole di cucina per avere un ciclo continuo di manodopera. Perché poi gli sponsor sono sempre gli stessi, sia per i ristoranti, sia per gli istituti, sia per le manifestazioni. Il problema è che è un meccanismo talmente rodato che ormai non desta neanche più scalpore, viene accettato senza alcuna levata di scudi».
Il cachet degli chef stellati oscilla tra i 4.500 e i 32.000 euro a manifestazione. i più famosi partecipano a 40 eventi l’anno
Il tema dei costi e della necessità di trovare attività “altre” rispetto alla mera ristorazione viene confermato anche da Francesco Patti e Domenico Colonnetta, giovani chef stellati del ristorante Coria di Caltagirone. «Qui nelle nostre zone – ci raccontano – è difficile riuscire a far capire ai clienti siciliani, abituati a porzioni imponenti e a prezzi contenuti, che noi non siamo una “gioielleria”. Invece, quando abbiamo aperto, venivamo visti come degli alieni. La stella Michelin, arrivata nel 2012, ci ha permesso di ampliare la nostra platea di riferimento, ma rimane difficile riuscire a far quadrare i conti del ristorante. Diciamo che i 28-36 coperti, che vengono curati da una brigata composta da dieci persone, ci permettono di mantenerci in equilibrio. Diverso è il discorso del catering, che ci ha consentito di ampliare il nostro bacino di conoscenze a anche il fatturato. Con la nostra creatura di banchetti diamo lavoro a 70 persone e stiamo iniziando a lavorare con grandi clienti, come ad esempio Google. Pensate che il catering del matrimonio di Fedez e Chiara Ferragni a Noto, che è stato tra i più chiacchierati degli ultimi anni, ci è stato “assegnato” dalla vulgata, senza che noi fossimo i reali artefici. Insomma, abbiamo goduto di una pubblicità indiretta proprio perché il nostro servizio di banqueting sta iniziando a darci una certa fama».
I ristoranti stellati creano un indotto positivo nel territorio che va dai 256 ai 612 euro per turista
Il rapporto con il territorio è un tema di grande importanza: da una parte, infatti, la presenza di uno chef stellato permette ai piccoli produttori locali di emergere. «Turismo, agricoltura e ristorazione viaggiano di pari passo – ci spiega Accursio Craparo, chef dell’omonimo ristorante stellato a Modica – e questo è un bene. L’attenzione e la cura per i prodotti più tradizionali ma anche più d’élite si traduce in un’occasione di crescita per i piccoli produttori locali che altrimenti resterebbero schiacciati dalla grande distribuzione organizzata». Inoltre, i ristoranti stellati creano un indotto positivo per la zona in cui si trovano che va dai 256 a 612 euro a seconda che si tratti di ospiti italiani o stranieri. Ma c’è anche qualche problema: ad esempio, soprattutto al sud, si fatica a capire perché un ristorante debba costare sensibilmente di più del costo medio di un pasto in quelle zone.
La pensa in questo modo Vincenzo Candiano, chef due stelle Michelin della Locanda Don Serafino a Ragusa Ibla. «La gente – ci spiega – si stupisce che io venda un risotto a 65 euro al piatto, ma il solo costo delle materie prime, per me, è di circa 30 euro. C’è una marginalità molto ridotta, anche se la gente si ostina a pensare che viviamo nella ricchezza. I programmi di cucina che imperversano sui canali televisivi hanno contribuito a creare un pubblico un po’ più consapevole di ciò che mangia – e quindi anche dei costi di realizzazione – mentre prima si guardava esclusivamente al prezzo finale sul menù. Ma i costi di gestione di un ristorante stellato sono elevatissimi, basti pensare che la nostra cantina ha circa 20.000 bottiglie di 1.700 etichette».
A guidare le scelte degli appassionati dovrebbero essere le guide enogastronomiche. Ma anche in questo caso il modello sta iniziando a vacillare. L’ultima edizione della Guida de L’Espresso, ad esempio, ha messo in luce un meccanismo un po’ perverso in cui gli ispettori mandati in giro per l’Italia alla ricerca dei migliori ristoranti hanno in realtà ben poco potere discrezionale. Un errore di stampa, infatti, ha mostrato un messaggio indirizzato dal relatore di un ristorante al direttore della guida, Enzo Vizzari, in cui si sosteneva che quell’esercizio non fosse meritevole di nessun riconoscimento. Ma il numero uno della Guida ha deciso diversamente: due cappelli. «Questi errori – ci racconta Visintin – accrescono il rischio che la gente pensi a una qualche ingerenza. In effetti, la massiccia presenza pubblicitaria giustifica questo sospetto. D’altronde, se le guide vendono, come pare ormai accertato, poche migliaia di copie e devono riuscire a censire tutti quei ristoranti, è naturale che debbano intervenire degli sponsor che ripaghino la guida con investimenti pubblicitari».
Proprio le guide sono diventate uno degli strumenti più controversi in questo momento di grande boom dell’enogastronomia: rispetto allo scorso anno, il fatturato dei ristoranti stellati è aumentato di oltre il 10% sfondando quota 400 milioni di euro. Ma come vengono giudicati gli esercizi che compaiono nella guida più importante del mondo, ovvero quella Michelin? «L’Italia è la seconda in Europa per numero di ristoranti stellati – spiega ancora Visintin – dopo la Francia che, per ovvi motivi, è quella più presente. La cosa che lascia un po’ perplessi è come avvengano i giudizi: assunti in pianta stabile sono 80 ispettori che devono visitare i ristoranti di 12 paesi europei scambiandosi “di posto”, ovvero andando a giudicare fuori dallo stato di provenienza per evitare possibili conflitti d’interesse. Quindi: i ristoranti censiti sono circa 17.000, ma quelli che meritano la stella o che devono confermarla ricevono tre visite complessive. Gli stellati sono circa 2.000, quindi bisogna aggiungere altre 4.000 tappe. Inoltre, non è che si può andare a colpo sicuro e, a essere conservativi, è facile presumere che almeno un 20% delle visite in ristoranti non si tramuti in stelle e segnalazioni. Arriviamo a oltre 25.000 ristoranti da censire, con una media di quasi 330 pasti per ogni ispettore ogni anno. Un po’ troppo, forse».
I ristoranti in europa che gli 80 ispettori della guida michelin devono censire sono oltre 17.000
«I meccanismi di attribuzione delle stelle – conclude lo chef Candiano – sono bizzarri: a noi vengono richiesti standard igienici e di qualità di altissimo livello. Mentre invece in altre zone del mondo ci si accontenta di situazioni decisamente meno curate. Questa disparità, però, a mio avviso non è giustificabile».
Infine, ancora due parole sul “peso” delle stelle. Secondo l’indagine di JFC l’attribuzione di questo riconoscimento vale un incremento di oltre il 50% del fatturato nel caso di una stella, del 18,7% nel passaggio da una a due e del 25,6% con l’arrivo alla terza. Ma le richieste per i ristoranti due e tre stelle Michelin in termini di accessori, personale, cantina e altre voci di spesa sono talmente significative che qualcuno può perfino sperare di non avere “l’upgrade”: «Nel nostro piccolo – scherzano gli chef del ristorante Coria – speriamo che non ci vengano date altre stelle: sarebbe un costo incredibile!».