«L’editoria giornalistica? Sì, nel mondo sopravvive. E sono sicura che sopravvivrà sempre. Ma il giornalismo di qualità è e resterà chissà per quanto tempo ancora il giornalismo dell’elite»: Alessandra Ravetta, condirettore e coeditore di Prima Comunicazione – l’unico e storico mensile dedicato al mondo dell’informazione e della comunicazione – è un’aristocratica combattente. Realista ma indomabile. E si vede dai fatti: il suo giornale, con il suo sito Primaonline, è dal’73 e resta il punto di riferimento professionale per l’interno settore dell’editoria e della comunicazione.
Prima Comunicazione ha appena pubblicato la trentatreesima edizione del suo “Grande Libro Informazione stampa e on line”, una specie di summa teologica di tutto-quanto-comunica in Italia. Nel suo petto batte un colto cuore di cronista. Che sente il dispiacere per la pervasività della fuffa nel sistema social-mediatico: «Sì, io credo che il buon giornalismo sia diventato un prodotto elitario – prosegue – e che anche i giovanissimi di oggi, entrando nel mondo del lavoro capiscono che informarsi conta, e che sicuramente degli elementi di informazione qualificata continueranno a cercarli…».
Ma perché, direttore?
Dipende da una società cialtrona nella quale i social media hanno trovato terreno facile. Non dimentichiamoci che c’è un partito che ha vinto le elezioni sui social e sui social ha selezionato il personale di governo.
Colpa dei social media, dunque?
Il problema sembrano essere loro ma in realtà siamo noi, è l’essere umano, e la società oggi che andrebbe disintossicata. E secondo me l’unica strada per disintossicarla è far studiare i ragazzi in modo diverso. Fargli sviluppare anticorpi contro la scemenza, l’esibizionismo, la stupidità. Ma sarà un percorso lunghissimo. Tra l’altro, questo doppio lockdown, con la distanza dalla scuola, ha accentuato la dipendenza dai computer… Quest’estate, al mare, notavo che tutti i ragazzi si staccavano dal cellulare giusto il tempo di fare un tuffo, poi tornati a riva o in barca, con le mani ancora bagnate, riacchiappavano lo smartphone e si isolavano, tutti a guardare TikTok… Perciò penso che occorra incominciare assolutamente a fare delle azioni educative di base. Non sarà facile ma ci arriveremo…
Anche perché per i social si direbbe che il vento stia cambiando, nel mondo istituzionale…
Certamente sì: il problema sollevato da The social dilemma, il documentario di Netflix che ha fatto scalpore nel mondo, è talmente esorbitante che il Congresso americano andrà fino in fondo. Sicuramente Google e Facebook verranno smembrati. Ed anche l’Unione europea agirà. Ma senza una rieducazione di base dei ragazzi tutto questo non basterà a igienizzare il sistema, a liberarlo dall’idiozia e dalla violenza.
Perché?
Intanto hanno assunto una tale dimensione e un tale potere che sarà difficilissimo ridimensionarli. Hanno una potenza finanziaria, tecnologica e di ricerca, che gli dà un potere estremo. Sono veramente globali, hanno risorse straordinarie. Possono perdere qualche punto ma lo recuperano subito. E investono ovunque questa loro potenza. Google, per esempio, sta facendo grandissimi investimenti nella ricerca e nell’industria sanitaria, un modo per rendersi anche benemeriti, facendo soldi. E c’è di più…
Cioè?
C’è che anche se le istituzioni riusciranno a ridimensionare i giganti dei social, i loro adepti non torneranno indietro, sono e restano drogati, ma non con questo o quel social, ma con l’idea del social. Come se non riuscissimo più a vivere senza mettere cuoricini, faccette, pollici e stelline. L’altra sera mi sono imbattuta per caso in un video educational su Youtube. Spiegava come si cucina un perfetto pollo arrosto. Una roba banalissima. Ebbene, il vero stupore mi è nato dal numero e dal tono dei commenti e dei pareri su quella ricetta, su quella procedura. Manco fosse un trapianto di cuore… La cosa incontrovertibile è che ormai siamo tutti coinvolti e più connessi di quanto non pensiamo… Per questo ben vengano gli interventi istituzionali di ridimensionamento dei social, ma bisognerà incominciare a fare anche delle azioni educative di base.
Ma se in questo quadro il mondo del giornalismo e dell’editoria di qualità soffre, neanche il mondo della comunicazione gode. Con tanto rumore di fondo e così poca attenzione fatica a diffondere i suoi messaggi…
No, non sono d’accordo. Al contrario, chi opera nella comunicazione d’impresa si sente molto più importante di prima. Mentre prima soffriva di un senso di inferiorità verso il mondo dell’informazione, adesso vede che il rapporto si è rovesciato. E dentro le aziende i comunicatori hanno conquistato un riconoscimento di ruolo molto maggiore di prima perché finalmente tutti hanno capito che la comunicazione è un elemento strategico del sistema socio economico, e che i suoi officianti sono come sacerdoti di una mediazione culturale che il top-management da solo non riesce a fare. Non a caso faccio un giornale che si chiama Prima Comunicazione…
Resta un antagonismo di fondo col giornalismo, però: o no?
Una volta era così: oggi non più. Anzi, da tanto tempo affermiamo che tra noi giornalisti e i comunicatori non ci sono delle grandi differenze: di attività sì, di modalità di lavoro anche, ma non viviamo in mondi diversi. Tutti trattiamo la stessa materia prima, che è quella della comunicazione; noi la gestiamo per far capire ai cittadini cosa succede nel mondo, e loro per affermare il loro primato e spiegare i loro prodotti e servizi. Da quando i giornali fissavano i “tetti” per arginare la presenza della pubblicità nelle loro pagine è passata un’era geologica…
E quindi il vostro “Uomini Comunicazione” vale sempre di più!
E’ sicuramente utile. È un volume di 400 pagine, ricchissimo di contenuti. Con molte novità: c’è un’area che presenta le aziende che fanno piattaforme tecnologiche legate al digitale; è interessante vedere la dilatazione delle strutture aziendali: la voce “responsabile della sostenibilità” ormai ricorre in tante aziende… ll libro fotografa l’evoluzione del sistema: è uno strumento di lavoro che interessa al pubblico dei comunicatori ma non solo.