di Sonia Raule Tatò e Carolina Tatò

“Hai del latte?”. Per molti questa domanda – con le pubblicità in bianco e nero e le celebrità che sfoggiavano baffi da latte – è stato un appuntamento fisso dell’infanzia. E mentre Gianni Morandi cantava “fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, sulle spiagge delle Versilia gli elicotteri lanciavano ogni giorno centinaia di esemplari della celeberrima mucca Carolina che, durante il Carosello, raccomandava i prodotti alla panna creati da latte appena munto. Braccobaldo, invece, il bloodhunt dal manto blu e l’aria bonacciona, suggeriva alle mamme e ai bimbi incollati allo stesso schermo, formaggini sani per farli crescere forti e robusti. 

Sono gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quelli del boom economico che, non solo influenza i consumi degli italiani, ma stravolge anche le loro  abitudini alimentari cambiandone profondamente la dieta quotidiana. Nelle case, anche quelle delle classi meno abbienti, entrano il frigorifero e la televisione e, con la diffusione dei supermercati e della pubblicità che fanno conoscere i nuovi prodotti, la spesa  alimentare e quindi la tipologia dei pasti cambia e si assiste a una diversificazione delle pietanze fino a quel momento non immaginabile. La rottura con il passato agricolo è netta e repentina: solo alcune tradizioni sopravvivono nel cibo delle feste mentre il menù di tutti i giorni muta radicalmente con l’irruzione della carne e di molti cibi confezionati di cui i formaggini sono stati un vero e proprio simbolo.

Così, le innovazioni nella pastorizzazione, nella refrigerazione e nella produzione di latte in polvere o essiccato hanno fatto in modo che i prodotti lattiero-caseari diventassero un alimento di largo consumo. Oggi, latte, burro, formaggio, yogurt o gelato sono onnipresenti e consumati da oltre 6 miliardi di persone. La crescita della domanda negli ultimi vent’anni è aumentata del 63%,  facendo diventare la filiera lattiero-casearia una delle attività economiche più importanti al mondo con una previsione di crescita del 14% nei prossimi vent’anni. 

Purtroppo è anche una delle più dannose per l’ambiente. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, i prodotti lattiero-caseari sono responsabili del 4% delle emissioni totali di gas serra indotte dall’uomo (incluse sia le emissioni derivanti dalla produzione, dalla trasformazione e dal trasporto dei prodotti caseari, sia le emissioni relative alla produzione di carne di animali appartenenti al sistema). Inoltre, la produzione lattiero-casearia nei sistemi di allevamento intensivi inquina l’aria e l’acqua e contribuisce pesantemente al degrado del suolo e alla deforestazione.

A questo dobbiamo aggiungere che il 65% della popolazione mondiale (con variazioni a seconda delle aree geografiche) ha sviluppato intolleranza al lattosio, causata dalla ridotta attività dell’enzima lattasi, lo zucchero presente nel latte e nei latticini. Per contrasto, è esplosa la categoria del latte vegetale, offrendo più alternative che mai: latte di mandorla, nocciole, cocco, soia, riso, canapa. Tutti prodotti conosciuti fin dall’antichità, ma che non avevano mai raggiunto i largo consumo. 

Il latte d’avena invece è molto più nuovo. Le sue origini risalgono ai primi anni ’90, quando lo scienziato alimentare svedese Rickard Öste inventò la bevanda mentre conduceva ricerche sull’intolleranza al lattosio e sulla produzione alimentare sostenibile. Nel frattempo Rickard e suo fratello Björn fondano l’azienda Oatly che ha scatenato una vera e propria “mania d’avena” grazie anche alle provocatorie campagne pubblicitarie, una delle quali ha avuto come protagonista Oprah Winfrey. I prodotti Oatly sono oggi disponibili in oltre 60mila negozi al dettaglio e migliaia di sedi Starbucks .

Nel frattempo sono nate molte aziende concorrenti che hanno sferrato una grande competizione alla rockstar del settore e oggi la dimensione globale del mercato del latte d’avena è  valutata 30,5 miliardi e si prevede un trend di crescita annuo del 14,2% fino al 2028. 

Ma anche la tecnologia sta compiendo i primi passi nel settore lattiero-caseario. È il caso di Remilk, la startup di food tech israeliana che ha già raccolto finanziamenti per 120 milioni di dollari. Fondata nel 2019, Remilk produce proteine del latte attraverso un processo di fermentazione a base di lievito che le rende “chimicamente identiche” a quelle presenti nel latte e nei latticini di mucca. “Il risultato finale è simile al 100% al latte ‘vero’, ma privo di lattosio, colesterolo, ormoni della crescita e antibiotici”, ha detto il fondatore e ceo Aviv Wolff al The Times of Israel.

Wolff e il suo partner scienziato Ori Cohavi hanno mappato la composizione chimica del latte, valutato il grasso, il lattosio e lo zucchero nel liquido e hanno stabilito che l’ingrediente chiave per produrre il latte è rappresentato dalle proteine. Remilk ricrea le proteine del latte prendendo i geni che le codificano e inserendole in un microbo unicellulare fermentato, poi in un incubatore con appositi nutrienti. Una volta ottenuta la soluzione delle proteine si procede a una disidratazione che crea una polvere  estremamente versatile e sfruttabile per diversi impieghi. 

“Fondamentalmente abbiamo trasferito l’intero meccanismo di produzione del latte in un microbo unicellulare. Non abbiamo bisogno del “resto della mucca” perché affidarsi agli animali per produrre il nostro cibo non è più sostenibile. Le implicazioni dell’allevamento animale sono devastanti per il nostro pianeta”. Ha detto Wolff.

Secondo le promesse il modello di produzione alimentare di Remilk sarà fino a 100 volte più efficiente in termini di terra rispetto al sistema lattiero-caseario esistente, 25 volte più efficiente in termini di materie prime, 20 volte più efficiente in termini di tempo e 10 volte più efficiente in termini di acqua.

Remilk si propone di produrre le sue proteine da utilizzare in prodotti come formaggio, yogurt e gelati, in volumi equivalenti a quelli prodotti da 50.000 mucche ogni anno. “Siamo impegnati a reinventare la nostra industria lattiero-casearia in modo gentile e sostenibile. Eliminare la necessità di animali nel nostro sistema alimentare è l’unico modo per soddisfare la crescente domanda mondiale senza distruggerla nel processo. Intendiamo aumentare enormemente le nostre capacità produttive per produrre prodotti lattiero-caseari nutrienti, deliziosi e convenienti che manderanno le mucche al pensionamento anticipato”, afferma sempre Wolff. Negli ultimi mesi, Vegeconomist ha riferito che Remilk sta per sbarcare negli Stati Uniti, mentre a febbraio ha ricevuto l’approvazione per commercializzare i suoi prodotti anche a Singapore.

Nell’attesa che tutto questo diventi realtà abbiamo a disposizione, come abbiamo visto, latti vegetali fortificati con calcio e tutte le vitamine di cui abbiamo bisogno e che possono sostituire il latte di derivazione animale.  Anche per quanto riguarda i formaggi esistono sul mercato ottime alternative vegetali soprattutto a base di frutta secca. Noi vi consigliamo di provare quelli a base di mandorle pugliesi: avrete una piacevole sorpresa!