di Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi Confindustria
Fino al primo trimestre di quest’anno, l’economia italiana ha continuato crescere a ritmi superiori a quelli attesi: dopo l’aumento del 3,7% registrato lo scorso anno, nel primo trimestre il Pil è cresciuto dello 0,6%; questo aumento porta la crescita annua acquisita per il 2023 a +0,9%. Si tratta di una dinamica che continua ad essere migliore di quella degli altri principali Paesi europei: nella zona euro il Pil nel primo trimestre è diminuito dello 0,1%, è cresciuto in Francia (+0,2%) e Spagna (+0,6%), mentre è diminuito in Germania (-0,3%). Complessivamente, il Pil italiano si colloca al di sopra di 2,5 punti percentuali rispetto ai livelli pre-Covid, decisamente meglio rispetto all’1,2% della Francia, allo 0,1% della Spagna, mentre risulta ancora negativo il gap del Pil tedesco (-0,5%).
Tuttavia, i segnali di indebolimento del quadro economico continuano ad aumentare e sono attesi accentuarsi nella seconda metà di quest’anno e per tutto l’anno prossimo. Questi sono legati agli impatti dell’inflazione ancora alta e al rapido e consistente aumento dei tassi da parte della Banca Centrale Europea. L’aumento dei tassi di interesse sta avendo impatti negativi soprattutto sulla dinamica degli investimenti. Negli ultimi due anni gli investimenti hanno trainato la crescita economica italiana: nel 2021 sono cresciuti del 18,6% e nel 2022 del 9,4%. Quest’anno la dinamica attesa è ancora positiva ma in forte rallentamento a causa del peggioramento delle condizioni per investire.
Le indagini di Banca d’Italia del secondo trimestre mostrano un peggioramento: le attese delle imprese sulla spesa per investimenti nei prossimi sei mesi sono ridimensionate rispetto alla media registrata nel 2021: le imprese chiedono meno credito per finanziare investimenti, più per le scorte e il capitale circolante. Inoltre, permane un divario negativo fra le attese di miglioramento e peggioramento delle prospettive in cui operano le imprese, così come resta un saldo sfavorevole tra le valutazioni positive e negative in merito alla situazione economica generale, che si è ampliato nel secondo trimestre. Infine, in diminuzione è anche il saldo delle aspettative sulla domanda per il prossimo trimestre.
Il peggioramento delle condizioni per investire è collegato a diversi fattori: le prospettive della domanda non sono positive. La domanda interna e quella estera sono in forte rallentamento a causa dell’inflazione ancora elevata nei paesi avanzati e al rallentamento della Cina; l’eliminazione della trasferibilità del credito d’imposta legato al superbonus avrà l’effetto di ridurre gli investimenti in costruzioni, che hanno spinto gli investimenti negli ultimi due anni; il tasso pagato per i prestiti dalle imprese italiane è salito in aprile al 4,81%, 4 volte quello registrato a fine 2021. Le condizioni più onerose stanno sempre più frenando il credito bancario, che è in forte riduzione (-2,9% annuo in aprile), molto più rispetto a quanto mostrato dagli altri partner europei. Il continuo rialzo del tasso Bce, portato al 4,00% a giugno, anticipando un ulteriore rialzo a luglio, continuerà a spingere al rialzo il costo del credito; le imprese italiane, e in particolare quelle manifatturiere, non hanno risorse disponibili in eccesso. Questo lo si vede guardando la dinamica dei depositi, che negli ultimi mesi sono diminuiti (circa il 4,8% da maggio 2022 e -6,4% da dicembre 2022) quando normalmente mostrano un trend in continua crescita. Ciò è legato anche alla compressione dei margini registrata lo scorso anno dalle imprese italiane manifatturiere.
Nel primo trimestre si è avuto ancora un aumento degli investimenti (+0,8%), ma dimezzato rispetto al quarto trimestre 2022 (+1,5%). Inoltre, nei cinque trimestri tra l’inizio del 2021 fino al primo del 2022, la crescita media degli investimenti è stata del 3,5%. Da allora al primo trimestre di quest’anno è stata dello 0,8%. Nella seconda metà di quest’anno, l’impatto del rialzo dei tassi di interesse sull’economia dovrebbe essere pieno e, visti i rialzi continui, tali effetti rimarranno negativi quanto meno fino alla metà del prossimo anno.
Già presentiamo un importante ritardo negli investimenti necessari per portare a termine la transizione green, difficilmente queste condizioni consentiranno di colmare il gap.
Infine, se l’industria si è mostrata, in aggregato, resiliente alla pandemia e alla crisi energetica, diversa è la situazione di alcuni settori. Tra questi quelli che hanno registrato una variazione della produzione industriale peggiore nel 2022 vi sono le attività più energy intensive come la chimica (-4,1% nel 2022), metallurgia (-9,2%), minerali non metalliferi (-2,9%), carta (-1,0%).
La contrazione di tali settori è proseguita anche nei primi mesi del 2023: in media a gennaio-maggio rispetto allo stesso periodo del 2022 la chimica è in calo di -10,3%, la carta di -12,0%, la metallurgia di -9,7% e i minerali non metalliferi di -10,7%. Il rischio di un forte ampliamento dei divari settoriali, con effetti permanenti nelle performance dei comparti manifatturieri più energy intensive, richiederebbe una duplice strategia: da un lato, interventi congiunturali visto che il prezzo dell’energia per quanto più contenuto dello scorso anno rimane comunque più elevato del pre-crisi e soprattutto più elevato di molti altri Paesi che producono gli stessi beni (Turchia, Stati Uniti e Cina ma anche più elevato degli altri principali Paesi europei manifatturieri), comportando importanti perdite di competitività di questi settori; dall’altro, misure straordinarie di supporto agli investimenti in questi settori per accelerare la transizione energetica. Ciò è cruciale per sostenere la competitività di questi settori, cruciali per la manifattura italiana, ed evitarne la scomparsa.
Per quanto riguarda i consumi delle famiglie, subiscono l’impatto negativo dell’inflazione ancora alta. Lo scorso anno tale impatto è stato modesto e i consumi sono cresciuti più delle attese, grazie alla tenuta del reddito disponibile reale (anche se solo fino al terzo trimestre) e all’extra risparmio accumulato forzosamente nei due anni precedenti a causa delle restrizioni per limitare la diffusione del Covid. Il reddito disponibile, nonostante l’impennata dell’inflazione, ha tenuto, in aggregato, per la positiva dinamica dell’occupazione e le misure di supporto pubblico alle famiglie adottate dal Governo.
Nonostante ciò, nel quarto trimestre del 2022 i consumi sono calati significativamente (-1,6%) anche se meno del reddito disponibile (-3,7%), con la propensione al risparmio scesa al 5,3%, molto sotto il livello medio pre-pandemia (8,0%).
Dall’inizio di quest’anno, il prezzo del gas è sceso in maniera significativa: in media a 44 euro per mwh da inizio anno, molto sotto i picchi di agosto scorso (330 euro) e la media del 2022 (124 euro). La forte riduzione del prezzo del gas accelererà il rientro dell’inflazione, soprattutto nella seconda metà di quest’anno: dall’11,8%, il picco di novembre scorso, è scesa a giugno al 6,4%. In ogni caso, anche quest’anno rimarrà elevata e l’impatto sui consumi sarà più accentuato perché si vanno via via riducendo la consistenza dell’extra risparmio e le misure pubbliche di supporto alle famiglie.
Nel primo trimestre, i consumi delle famiglie sono cresciuti dello 0,5%, in parte come rimbalzo dopo la caduta di fine anno, ma anche per il recupero del potere d’acquisto dei consumatori tornato a crescere (+3,1%) favorendo anche una normalizzazione del tasso di risparmio (7,6%), ora più vicino a valori pre-Covid. In generale, nel 2023 e anche all’inizio del prossimo anno, la dinamica dei consumi rimarrà debole e molto probabilmente saranno i risparmi a sostenere parte di questi. Anche perché la dinamica dell’occupazione, sinora molto buona (+184 mila occupati nei primi 5 mesi dell’anno), difficilmente riuscirà a mantenersi tale.