È come l’inizio dell’anno scolastico. Quando si fa l’elenco delle mille cose che non funzionano e la scuola appare per quel che è, un pezzo (importantissimo, strategico) dell’Italia che non funziona.
Il primo ottobre è l’inizio dell’anno termico delle imprese, il giorno in cui scadono (quasi) tutti i contratti di fornitura di energia (gas e elettricità) e le “utility”, come ora si chiamano le ex-municipalizzate, mandano i nuovi contratti da firmare. E sapete qual è la novità di quest’anno?
Giuseppe Baroni che di queste imprese è forse il primo rappresentante visto che guida dal 2021 la sezione Piccola Impresa di Confindustria cioè il 90% dei suoi 150mila associati, risponde con competenza (è titolare di una “small company”, una ventina di milioni di euro di fatturato, che si occupa di efficienza energetica, rinnovabili e distribuzione di gas metano per autotrazione a Parma, la X3Energy) ma anche con rabbia e preoccupazione (perché sa perfettamente come stanno le cose).
Baroni, perché l’anno termico 2022-2023 è cominciato male?
Perché le società fornitrici, di fronte alla crescita esponenziale dei prezzi e delle bollette, hanno deciso di mettersi al riparo, di tutelarsi. Sulla pelle dei clienti, le aziende.
Che cosa stanno facendo?
Conoscendo le difficoltà finanziarie delle imprese, temendo l’insolvenza, ora impongono la sottoscrizione di fidejussioni bancarie se non, addirittura, il pagamento di tre o sei mesi anticipati calcolati sul consumo dell’anno precedente.
Ma anche l’utility è un’azienda che deve stare al suo conto economico.
Certo, ma facendo così sprofondiamo tutti nell’abisso della recessione.
C’è una via d’uscita?
Per l’emergenza noi come Piccola Industria chiediamo al governo un Fondo di garanzia per mettere in sicurezza le aziende che non possono resistere da sole allo tsunami energetico.
Insomma, altro debito pubblico…
Per dirla col presidente Draghi, questo è “debito buono” indispensabile a proteggere il sistema produttivo e il pil. L’alternativa è la recessione.
Ma ci saranno pure alternative strutturali per difendersi dal caro-bollette.
Certo, ma sono strategie di medio-lungo periodo. E tutte giocate sul terreno dell’efficientamento: controlli degli sprechi, risparmi, innovazioni di processo… Agendo così, si calcola che si possono ridurre i consumi di energia del 25%, almeno. E poi c’è la strada dell’autoproduzione.
Investendo sulle rinnovabili come suggerisce il vostro responsabile delle politiche energetiche, il professor Beccarello.
Sicuramente. Ma non tutte le pmi hanno le risorse per farlo. Anche qui ci vorrebbe un fondo di garanzia pubblico a sostegno dei progetti.