Una realtà industriale dal genoma “italo-africano” con la testa (sede legale, commerciale e logistica) a Reggio Emilia, nel cuore della “food valley” del Belpaese, e il cuore (lo stabilimento produttivo) ad Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio che vanta, tra le altre cose, il più grande porto commerciale dell’Africa occidentale.

Airone Seafood da Reggio Emilia alla Costa d’Avorio

È la carta d’identità di Airone Seafood, azienda di conserve ittiche a base di tonno ma soprattutto prima realtà italiana a capitale privato della Costa d’Avorio.

Millecinquecento collaboratori, di cui il 70% donne, 23 mila tonnellate di tonno trasformate ogni anno per produrre 150 milioni di lattine e vasi per il 90% esportati in Europa: questo il capitale umano e la capacità produttiva dell’azienda emiliana-ivoriana nata di fatto nel 1994 dalla Nuova Castelli Spa ma costituita formalmente con l’attuale ragione sociale nel 2014.

Oggi Airone Seafood, che nelle sue attività adotta rigorosamente protocolli di pesca sostenibile e sicurezza alimentare, è presente sul mercato con i suoi marchi Altomar e Maremì ma lavora soprattutto con il private label per i principali player del settore Horeca, Industria e GDO-Grande Distribuzione.

Investire in Africa, una scelta lungimirante

Con i “cigni neri” che hanno scompaginato e stravolto l’economia globale negli ultimi 3 anni – dal Covid alla guerra tra Russia e Ucraina passando per la crisi delle materie prime, l’inflazione e il caro-energia – e continuano a far ballare i mercati anche nell’anno appena iniziato, la scelta di Airone di aver investito in passato in Africa diventa ancora più lungimirante.

A maggior ragione se gli scenari macroeconomici incidono sul reperimento di commodity come grano e olio di semi, oltre a gas, petrolio, rame e alluminio.

Se, in questa congiuntura, business-continuity è diventata la nuova parola d’ordine nei management delle aziende di mezzo mondo, dentro Airone Seafood si può dire che la continuità operativa non sia mai stata in discussione. E proprio grazie alla scelta strategica di spostare le linee produttive in Costa d’Avorio, cioè in quello che è, a buon diritto, il “continente delle opportunità”.

L’amministratore delegato di Airone Seafood, dal 2020, è il sanremese Sergio Tommasini. Un manager che conosce benissimo le dinamiche economiche e commerciali africane. Non a caso è consigliere di Confindustria Assafrica – la business community di Confindustria che opera in Africa e Asia.

Sergio Tommasini, ad di Airone Seafood
Tommasini, ci racconti come è nata l’idea di investire in Costa d’Avorio. 

Diciamo innanzitutto che Airone Seafood è stata fondata nel 2014 come spin-off del Gruppo Castelli, un’azienda industriale che opera nel settore dei formaggi e del tonno. Il gruppo lattiero-caseario francese Lactalis ha rilevato la filiera del formaggio e Airone Seafood è stata creata per continuare il business del tonno in scatola. Siamo presenti in Costa d’Avorio dal 1994, con una lunga esperienza nel settore per la gestione di una filiera integrata per la produzione di tonno in scatola.

Quali sono i vantaggi competitivi?

Bè, in Costa d’Avorio operiamo in zona franca e questo comporta dei vantaggi competitivi legati a una decontribuzione del 50% dei costi di elettricità, acqua e carburante. I benefici si ripercuotono positivamente anche nel tessuto socioeconomico del Paese africano in cui, rispetto all’Italia, il tema del caro energia è leggermente mitigato.

La pandemia ha messo in crisi anche la supply chain. Trasporti, logistica, approvvigionamenti. Come sta cambiando il commercio a livello globale?

L’epidemia ha causato interruzioni del transito nelle catene di approvvigionamento di molte industrie, portando a ritardi importanti e a un aumento sostanziale dei costi di trasporto. La ricostruzione è stata complicata riaprendo la fase delle negoziazioni con i diversi attori che operano sulla catena del valore. Il Covid ha inoltre cambiato alcuni paradigmi sociali e forzato nuovi modelli di lavoro che sono già diventati una consuetudine.

Airone Seafood ha subito decisi rallentamenti in questi ultimi due anni, che hanno portato a modificare l’approccio alla programmazione e che ad oggi si sta rivelando un importante valore aggiunto. La capacità di anticipare gli eventi, tendenzialmente anche quelli esogeni, diventa cruciale.

Avrete subito anche voi la scarsità delle commodity nel settore agroalimentare…

In linea generale tutto il settore ha accusato una diminuzione delle commodity, soprattutto per quanto riguarda l’olio di girasole ma siamo stati in gradi di rispondere con prontezza a tutte le situazioni critiche, evitando qualsiasi “out of stock”.

E sul tessuto socioeconomico ivoriano? Riuscite a incidere sulla crescita e lo sviluppo del territorio?

Per fare impresa in Africa bisogna partire dalla conoscenza della variegata composizione etnica del tessuto socioeconomico. In Airone Seafood, ad esempio, sono presenti diverse etnie che ricalcano il tessuto sociale ivoriano. In azienda abbiamo 4 sigle sindacali e 18 delegati del personale. Il costante dialogo con loro favorisce l’omogeneità della composizione del gruppo di lavoro.

Importante anche il fattore religioso dato che abbiamo una maggioranza cristiana e una minoranza mussulmana mentre nel Paese sta crescendo quest’ultima religione che diventerà nel prossimo biennio preponderante. Questo riflette anche banalmente la composizione del menù della mensa sociale. Le attività verso il personale sono diverse e anche di stampo sociale. Dal centro medicale e assistenza medica 7/24, ai prestiti per la scolarizzazione dei bambini, al supporto per i funerali e alle attività sociali in generale.

Le imprese italiane dovrebbero guardare all’Africa con più attenzione?

Penso di sì. Gli elevati costi energetici, come si diceva, sono un problema chiave per le aziende italiane e, se persistenti, potrebbero compromettere la loro competitività rispetto ad altri concorrenti europei ed extraeuropei. Airone grazie agli investimenti in Africa è stata capace di resistere all’onda d’urto e preservare la propria redditività.

Oggi più che mai in ragione della chiusura di alcuni mercati dell’esteuropeo a causa del conflitto russo-ucraino, l’Africa si propone come nuovo sbocco per le imprese europee, non solo italiane. Il continente offre sicuramente opportunità ma richiede anche una grande preparazione prima di intraprendere nuove avventure imprenditoriali.

E sul piano della cooperazione italo-africana invece? In quali settori dovrebbe puntare il nostro Paese?

Il continente africano è ricco di materie prime e terre rare e questo crea i presupposti per sviluppare collaborazioni virtuose, al netto di un’instabilità politica in alcune aree del continente. Inoltre, l’Italia ha diversi rapporti dal punto di vista delle materie energetiche e di impianti di macchinari di precisione. Sulla parte dell’Africa occidentale abbiamo Senegal, Ghana e Costa d’Avorio, che presentano diverse opportunità di investimento. Bisognerebbe quindi valutare l’Africa come un continente capace di offrire opportunità a 360 gradi. Cinquantaquattro stati che offrono opportunità diverse con differenti gradi di rischio per Paese. Se parliamo di Costa d’Avorio il settore agroalimentare è di grande interesse, come le costruzioni, l’immobiliare e le opere civili di urbanizzazione dei villaggi.