Non chiediamoci più cosa il mondo del lavoro deve fare per noi, cominciamo a chiederci cosa noi dobbiamo fare per il mondo del lavoro. Viene istintivo parafrasare Kennedy quando si esamina il problema dei problemi dell’Italia di oggi – e non solo dell’Italia: la disoccupazione, soprattutto giovanile, e il fenomeno dei Neet, quei giovani che non studiano più ma nemmeno cercano lavoro. Apatici, a volte disperati.
Darsi da fare per trovare il lavoro giusto per sé, in rapporto con la collettività: è il cuore del messaggio della mostra “Ognuno al suo lavoro – Domande a un mondo che cambia”, al centro del Meeting di Rimini, che giunge quest’anno alla sua trentottesima edizione. Darsi da fare senza piangersi addosso. Senza dare la colpa a qualcun altro o aspettare regali dal cielo. Una mostra di cui Economy ha avuto la preziosa opportunità di essere media-partner e che – con uno stile che non ti aspetti, imprevedibile come la compagine che l’ha pensata, tutta “under-30” – mette il dito nella piaga di una certa ideologia attendista e deresponsabilizzante che aggrava, se non genera, il problema della disoccupazione.
Rispetto alla nostra formula editoriale – modelli, opportunità, soluzioni – questa volta Economy sembra derogare: il tema è così ampio che non può essere ingabbiato in una formula. E invece no: proprio perché è amplissimo, è un tema preliminare che include e abilita qualsiasi “modello, opportunità, soluzione”.
Darsi da fare, per riguadagnarsi – come dice il titolo del Meeting – anche quello che abbiamo ereditato dai nostri padri, se vogliamo davvero possederlo e non sperperarlo. Un forte appello alla responsabilità e, perché no, anche al merito individuale che far fronte alle proprie responsabilità comporta.
Sarebbe sbagliato pensare che con questo approccio si voglia ricondurre tutto il dibattito sul lavoro alle sfide individuali. Si vuole invece sottolineare che solo l’impegno dell’individuo, a qualsiasi livello, pone la premessa perché poi la collettività aiuti e sostenga quelli che fatalmente restano indietro. Quando il rapporto Excelsior-Unioncamere sull’evoluzione della domanda di lavoro al 2020 rivela con precisione quali sono e saranno gli sbocchi professionali più richiesti, nonostate la robotizzazione – dalla sanità alla logistica, ovviamente all’informatica e al turismo – c’è da chiedersi se ciascuno di noi, nel suo ambito, faccia abbastanza per poter allungare una mano e prenderselo, il lavoro, là dove è evidente che sia. E se facciano abbastanza i formatori, nella loro responsabilità, che è professionale prima che politica.
Certo, ci sono madornali incongruenze nella gestione che la politica ha fatto e fa delle sue incursioni normative in questo campo. è giusto ad esempio stimolare gli investimenti nelle nuove tecnologie con super e iperammortamenti che permettono di robotizzare la produzione; ma lo è un po’ meno tassare le imprese che assumono, anziché premiarle. Significa fare il tifo per i robot e ostacolare il lavoro umano. Ha senso?
Non doveva e non deve essere la politica – ricordando Mario Monti – a dire che “il posto fisso è noioso”. Ma, noioso o gioioso che sia, i giovani devono capire che il posto fisso è più raro di prima, e devono accettare quelli “non fissi” come un’opportunità. “Devono”, nel senso che è razionale farlo, ma è anche un dovere verso se stessi, la propria famiglia, la propria collettività. Vivere nel proprio tempo orientando con consapevolezza nella direzione giusta prima gli studi poi il lavoro. Responsabilità, come parola chiave.