Chiudere un’azienda che ha superato due guerre mondiali per qualcosa di cui non ti senti responsabile, come una pandemia, è stata dura anche a livello emotivo. Dopo aver metabolizzato l’accaduto è partito quello che per me è stato il momento della prudenza, ma anche dell’audacia. C’è stato tempo per ragionare, riflettere, rimettere a posto; farsi venire delle nuove idee; e pensare a come applicarle al momento della riapertura. Nel mio caso è stata una progettualità, un pensare positivo, non negativo. Abbiamo avuto la fortuna di non avere problemi particolari con l’azienda e le famiglie che ci sono intorno, siamo riusciti a uscirne per il momento indenni, cosa diversa rispetto a chi ha avuto casi di coronavirus o addirittura dei lutti. Il fatto che siamo una piccola comunità, poi, ha senz’altro aiutato. Dopodiché Aurora ha potuto ripartire, prima del 4 maggio perché le penne sono articoli di cartoleria. Ma non siamo certo ripartiti “a bomba”: siamo la metà, stiamo facendo smart working e, diciamocela tutta, cassa integrazione. Lo smart working in realtà è telelavoro da casa, e specialmente per chi come noi vende prodotti fisici non è la strada per continuare a fare business. Oggi è tutto in attesa. Sento il silenzio dei telefoni. Ricevevo 350 mail al giorno, oggi ne ricevo 50 di cui 20 dei collaboratori. La pausa ha pulito mente e coscienza, ma siamo preoccupati, nessuno sa come andrà a finire. Saranno le montagne russe.
Inoltre sono emerse le contraddizioni del nostro paese, si è visto il suo grande deficit di competitività. Da imprenditore vedo non solo le persone che non hanno ricevuto i 600 euro, ma anche le aziende che non riescono ad avere i 25mila, le banche che da un lato fanno melina e dall’altro non hanno indicazioni chiare né il personale a sufficienza per scaricare tutte le pratiche velocemente – comunque giustamente ci sono da fare delle analisi, perché ti stanno facendo un prestito, non un regalo, e ogni banca ha un pacchetto diverso di informazioni e documenti che deve essere fornito… Quando leggo che in Svizzera fanno un’autodichiarazione e dopo due giorni ricevono i soldi…
Non sento da cittadino il rispetto del patto: appartengo alla piccola percentuale della popolazione che paga tante tasse, ma non ottengo servizi corrispondenti. Gli italiani si sono comportati in maniera molto più matura di quel che ci si sarebbe potuti aspettare; ma ora secondo me stanno per passare dall’attesa all’incazzatura. I nodi stanno venendo al pettine, da un lato sono nel mondo del lavoro, dall’altro sono nodi di inefficienza assoluta dello stato. Quando leggo che Bombassei dice: è il momento di dare una spallata alla burocrazia, penso che stesse ragionando sulla stessa cosa. Ho fatto una richiesta alla città metropolitana di Torino, mi hanno risposto che non può essere evasa perché non è completa della mia carta d’identità, quando basterebbe che controllassero nei loro archivi per avere tutti i documenti necessari a procedere…
Per quanto riguarda il mercato, i negozi in Italia hanno appena riaperto, sono alle prese con tanti dubbi e difficoltà, a partire da come si deve sanificare. Abbiamo mandato ai nostri clienti un piccolo pensiero di cioccolato per ripartire dolcemente dopo tante amarezze, proposto condizioni commerciali convenienti, il trasporto gratuito. Ma il mercato italiano a oggi è fermo, per fortuna qualcosa dall’estero invece si muove. Sorprendentemente dal Medio Oriente, dove la penna diventa un gioiello, e dal Far East, che si rivolge comunque all’alto di gamma. Gli Stati Uniti hanno rallentato, ma quello americano è un popolo che dimentica rapidamente, a differenza di quello europeo.
La crisi ci ha regalato nell’ambito dei collaboratori un senso di squadra, di appartenenza; il valore di avere un lavoro, la fortuna di avere un’azienda che ti sta ad ascoltare, può essere qualcosa che rimane. La vedo in positivo, ma è il momento cambiare un pezzo della nostra burocrazia; diminuire i posti di lavoro destinati agli azzeccagarbugli e avviare una rivoluzione all’insegna del saper fare, della manifattura: lì dobbiamo stare.
* presidente e amministratore delegato di Aurora