di Giandonato Salvia*  

Qualche giorno fa a Torino, a metà mattinata, ha cominciato a nevicare. Ero in classe con i miei alunni di scuola media, tutti presi a guardare la neve cadere dal cielo, che si poggiava ovunque. Erano meravigliati perché a Torino non nevicava così da tantissimo tempo. Quest’episodio mi ha fatto riflettere. Io sono nato e cresciuto a Monopoli, in Puglia, a pochi metri dal mare. Per me vedere la neve è un qualcosa di straordinario. Ma per questi ragazzini di Torino, abituati ai monti delle Alpi, non dovrebbe essere così. Eppure erano stupiti della neve che cadeva a metà dicembre, molto più di me. Come giovane economista quest’esperienza mi ha fatto molto pensare. Succede così che vediamo accadere fenomeni nella nostra società globalizzata e non ne rimaniamo più stupiti, anzi, tendiamo spesso a giustificarli con teorie e paradigmi che non raggiungono più l’uomo, che non dicono più nulla alla società di oggi. Dopo secoli continuiamo a confondere la crescita con lo sviluppo, la ricchezza con il benessere, il merito con la giustizia. Questa visione distorta dell’economia ci ha assuefatti, e davanti agli allarmanti dati statistici che fioccano giù come neve, non ci stupiamo più. Ad esempio, secondo il rapporto SOFI 2022 delle Nazioni Unite, nel 2021 il numero delle persone che soffrono la fame a livello mondiale è salito a 828 milioni. Secondo il 13° Global Wealth Report del Credit Suisse Research Institute (Csri), l’1% della popolazione (62,5 milioni di persone) possiede il 45,6% delle ricchezze mondiali. Dati assurdi che in termini di reddito pro capite possiamo tradurli come segue: circa l’85% della popolazione mondiale vive con meno di 30 dollari al giorno, due terzi vivono con meno di 10 dollari e una persona su dieci con meno di 2 dollari.

Che lo si voglia ammettere o meno, tutto ciò rappresenta il fallimento dell’economia capitalista, quella cioè che guarda unicamente al Pil di una nazione, agli indici di borsa, e che dimentica il capitale più importante di tutti: quello umano e relazionale.  

Eppure, una cura esiste da molto tempo ed è quella che Papa Francesco, insieme a tanti altri prima di lui, chiama “fraternità”.

Troppe volte consideriamo la ricchezza solo in termini economici: “io valgo, sono ricco, solo se fatturo”. In realtà la ricchezza più importante è quella della dignità della persona, cioè della sua natura umana, nel suo significato più profondo. Non a caso la nostra costituzione, al secondo comma del terzo articolo, afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”. La nostra Costituzione non parla di Stato ma di “Repubblica”, ossia di ciò che appartiene al popolo. E il popolo è tale non perché è mera somma di individui ma perché è parte di una comunità chiamata a reciprocare e a prendersi cura degli altri. È compito della comunità, dunque, “rimuovere gli ostacoli” che limitano lo sviluppo della persona umana. Valori come “libertà” ed “eguaglianza” sono espressi attraverso il “pieno sviluppo della persona umana”, ossia attraverso la capacità di una comunità di donarsi agli altri per rimuovere i “viluppi”, le catene, che i comportamenti egoistici del mercato hanno impresso nell’economia e nella società civile.

Nel giorno in cui sono stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, il presidente Mattarella, nel suo discorso introduttivo ha citato Jonathan Sacks, ex Rabbino capo di Gran Bretagna, che diceva: “Un Paese è forte quando si prende cura dei deboli; è ricco quando si occupa dei poveri; diventa invulnerabile se si occupa delle persone più vulnerabili”. Ed ha aggiunto: “Queste non sono affermazioni utopistiche o ideali, sono elementi concreti della realtà di ciascuna comunità, di ciascun Paese”.

Le tante disuguaglianze che viviamo sono da leggere al plurale. Esiste una povertà economica, molto semplice da riconoscere e da misurare. Ma esiste anche una povertà culturale, sociale, valoriale. E poi povertà ancora più profonde legate alla solitudine e alla discriminazione. La disuguaglianza economica, spesso, è solo la punta dell’iceberg. Il dramma più pesante per un Paese non dovrebbe essere esclusivamente il debito pubblico quanto piuttosto anche l’infelicità dei suoi cittadini. Saranno la fraternità nell’economia e l’amore che metteremo nel nostro lavoro, che ci salveranno. 

Per tornare a stupirci della bellezza, per saper riconoscere e rinnegare con forza ogni forma di ingiustizia, qualche giorno fa a Torino, non ho rimproverato i miei ragazzi per essersi distratti dalla lezione ma, insieme, ci siamo messi alla finestra, per gustarci per qualche momento la neve che, lentamente, si posava ovunque. Che meraviglia! 

*Giandonato Salvia è un imprenditore missionario specializzato in economia degli intermediari e dei mercati finanziari. Attraverso l’impresa sociale App Acutis Srl accompagna le famiglie più bisognose e sostiene l’economia locale con l’app Tucum. È Cavaliere al Merito della Repubblica italiana.