La cialtroneria dei socialallunga la vita alla stampa

Siamo proprio sicuri che la carta stampata sia destinata a soccombere di fronte alla prepotenza di internet? Lo abbiamo chiesto a Gianni Quarleri, che con DayliMedia da trent’anni monitora il mondo dell’informazione, e ad Alessandra Ravetta, a capo di Prima Comunicazione, l’unico e storico mensile (e portale) dedicato al mondo dell’informazione e della comunicazione. Per scoprire che in realtà oggi la comunicazione d’impresa è diventata un asset strategico al quale nessuna azienda può sottrarsi senza perdere visibilità

I profeti di sventura che periodicamente vaticinano la morte della carta stampata per mano del web, si mettano il cuore in pace: non succederà. Anche perché se le vendite non sono più quelle di una volta – oggi i quotidiani vendono meno di 2,2 milioni di copie al giorno, contro i 6 milioni di vent’anni fa – c’è tutto un sottobosco non monitorato, popolato da rassegne stampa tematiche, chat, gruppi di interesse, che di fatto fanno da amplificatore alla stampa. E Internet, in questo caso, non è un problema, ma fa parte del club che amplifica il valore degli articoli usciti sulla stampa. Anzi non è un problema anche quando la concorrenza sembra diretta perché un conto è dare le notizie, un altro è approfondirle, collegarle, cercare di farle. Il web vive di numeri, grandi numeri.

Il comparto che funziona meglio è quello delle testate cosiddette verticali, che si rivolgono a un pubblico di nicchia e qualificato

Per farli bisogna essere veloci, mettere in rete le notizie prima degli altri, ma la velocità fa a pugni con l’approfondimento, il pensiero, la qualità dell’informazione. «Se vogliamo metterla sul piano “stampa contro internet” io, che sino del ‘59 e in prima elementare scrivevo intingendo il pennino nell’inchiostro, non riesco a immaginare un mondo in cui il supporto materiale non sia il veicolo principe dell’informazione e dell’approfondimento», sottolinea Gianni Quarleri, presidente di NewsCo Multimedia, editrice dei quotidiani on line DailyMedia e DailyNet, che monitorano in modo chirurgico il mondo dell’informazione. «Alla fine dei conti internet insegna che basta muoversi orizzontalmente per saperne abbastanza di tutto, perché dell’approfondimento non frega più niente a nessuno: pare che non serva saper davvero davvero le cose, andarci dento, studiarle e fare un servizio giornalistico approfondito nel quale chi lo legge non trovai solo un riflesso del mondo che abita, ma qualche elemento nuovo. Questo è internet». E la carta stampata? «È passata attraverso la grande recessione, la trasformazione digitale, il covid ed è sopravvissuta. O meglio: viene tenuta in vita perché qualche angelo la sostiene per le orecchie: se guardiamo gli investimenti pubblicitari dal 2008 al 2019 –  il 2020 è un necrologio – la differenza in questi dieci undici anni fa sì oggi ci sia il valore sia più o meno un terzo di quello di allora. Diciamo la verità: questo mondo non avrebbe, in termini industriali, motivo di esistere. Non ci sono abbastanza soldi nel mercato per farlo stare in piedi e allora è normale che poi la stampa si arrabatti e commetta errori e genericità: viene colonizzata dalle logiche del web, nel quale non c’è cura del particolare. Il risultato è che tutti i giornali sono peggiorati drammaticamente perché si servono a man bassa di tutto quello che ha un costo basso o non ce l’ha proprio, si risparmia mettendo insieme i servizi con le stesse logiche del web». Quanto all’efficacia del web marketing, è tutta da dimostrare: dati Istat alla mano, la propensione al consumo negli ultimi vent’anni non si è mossa di una virgola. «La questione della pubblicità su internet è stata idealizzata: chi la spaccia per efficace solo perché restituisce i dati mente sapendo di mentire, perché poi non viene davvero analizzato come una persona ne fruisce, com’è che si arriva da una pagina all’altra… non voglio neanche toccare tema della massa critica, perché sappiamo tutti che si acquistano i dati sul mercato. Se si effettuassero ricerche precise e complete, emergerebbe una fruizione assolutamente scoordinata». L’unica cosa precisa e coordinata, in realtà, è la mira per chiudere i pop-up, che ci trasforma in cecchini alla ricerca della salvifica “x”. Ma c’è una stampa che non è in crisi: «In generale dentro allo scenario il comparto della carta stampata che ha maggiori probabilità di avere senso da subito è quello che si rivolge alle aziende, le testate cosiddette “verticali” che sono riconosciute da un pubblico di nicchia e qualificato in quanto offrono un servizio di valenza reale. Non se ne può fare a meno, perché se è vero che si trovano informazioni a titolo gratuito sul web, è anche vero che bisogna andarsele a cercare, col rischio di inciampare in notizie farlocche perché non c’è il presidio analitico del settore».

Quanto alla comunicazione d’impresa, il dilemma è classicamente amletico: tabellare o redazionale? «La tabellare è di per sé semplice: per l’utente e per gli editori, non dà lavoro, ma secondo me restituisce poco. Quello che oggi ha scoperto internet quando si parla di native adv e che i giornalisti hanno sempre definito in modo dispregiativo “la marchetta”, invece, è la buona comunicazione d’impresa che racconta l’identità del brand. È un valore enorme, perché raccontata da professionisti in grado di spiegarlo in modo adeguato, cosa che con la pubblicità tabellare non si riesce a fare. E la stampa settoriale è competitiva anche da questo punto di vista».