"La bambina col palloncino" di Bansky

di Andrea Marnati

Economica, pandemica o bellica, la crisi nelle sue molteplici varianti ha dato una sterzata ai consumi a cominciare da quelli basilari. Che un comparto come quello dei beni voluttuari e del collezionismo in particolare ne abbia risentito è altrettanto acclarato; soprattutto quando tale incidenza ha interessato target di riferimento con disponibilità economiche non elevate. Tuttavia può sorprendere che persino su di uno sfondo come quello presente, elementi di una qualche vivacità stiano caratterizzando il panorama del collezionismo, sia quello nazionale che internazionale, con fatti e cifre talvolta sorprendenti.

Primo elemento che balza agli occhi è la gamma e certe caratteristiche di taluni beni, protagonisti assoluti soprattutto di aste, con specificità talvolta fuori dal seminato e con carature elevate dal punto di vista dei valori. In altre parole, un usato sicuro e di spessore si presenta come un evergreen difficilmente compromesso da variabili estemporanee, in particolare quando la posta in gioco ha un plusvalore di unicità. Da questo punto di vista si sono registrati da tempo fatti in aperta controtendenza rispetto ad atmosfere e climi più o meno recessivi, talvolta coloriti da risultati anch’essi singolari.   

Già in occasione di un’asta londinese del 2018 da Sotheby’s, al centro di un evento curioso era stato un quadro del celebre street artist Banksy. L’opera, intitolata “La bambina col palloncino”, raffigurava un murales realizzato in precedenza a Londra sempre dal misterioso pittore di strada britannico. Il dipinto, una volta aggiudicato per circa 1 milione e 400.000 dollari, si era poi “autodistrutto” in tempo reale sotto gli occhi di una platea attonita. Questo grazie a un procedimento ad hoc predisposto in anticipo; una sorta di effetto equiparabile a quello di un apparato distruggidocumenti con il dipinto parzialmente ridottosi in strisce. L’opera è in seguito riapparsa tre anni dopo a una nuova asta, sempre da Sotheby’s, realizzando un record per le produzioni firmate Banksy; per l’acquisizione dell’oggetto “amputato” un altro appassionato ha infatti sborsato all’incirca 25 milioni di dollari.

Un unicum anch’esso cartaceo ha tenuto banco sui media internazionali nel giugno 2021 nel comparto filatelico, un versante del collezionismo che si è parecchio ridimensionato rispetto ai fulgori del passato, ma non ad alti livelli. In questo caso alla ribalta è andato l’unico esemplare conosciuto da 1 centesimo della Guiana britannica, noto anche come “Magenta” in riferimento al colore del francobollo, emesso nel 1856. La somma realizzata per questa gemma filatelica è stata di 8.307.000 di dollari tornati nella disponibilità del proprietario originale, Stuart Weitzman, stilista americano che ha firmato scarpe esclusive anche per celebrità hollywoodiane. Il disimpegno del bene da parte del proprietario ha avuto motivazioni personali e non economiche, con la sua notorietà strettamente professionale spesso affiancata dal possesso del francobollo nelle citazioni curriculari in rete.  

Ad assicurarsi la rarità è stata la Stanley Gibbons di Londra, storica casa nel settore filatelico a livello mondiale. I nuovi possessori del francobollo hanno deciso di frazionarne la proprietà mettendola sul mercato in quote individuali, a partire da un centinaio di sterline, con il prezioso bene cartaceo che resterà comunque stabile e custodito nella sede dell’azienda. Che la vicenda sia da intendere solo come un investimento in termini di marketing – i fatti hanno trovato spazio nei media in tutto il mondo e non solo in quelli di settore – o qualcosa di più concreto monetariamente per chi ha acquisito “porzioni” del francobollo, sarà il tempo a dirlo. Volendo puntare su di una possibile rivalutazione, va comunque osservata cautela nel mondo del collezionismo e di quello filatelico in particolare, dove tali dinamiche sono spesso altalenanti. Resta comunque il fatto che la condizione di unicità, fatto per certi versi scontato, in tutta evidenza sostiene sempre un appeal assolutamente irresistibile.

Un evento di spazio consistente, anche per le dimensioni del bene in oggetto, ha interessato una vendita tenutasi a Milano presso la casa d’asta Cambi a fine 2021. All’incanto è andato infatti lo scheletro di un dinosauro di dimensioni medie – arrivato a noi dopo 75 milioni di anni – per circa 3 metri di lunghezza e in uno stato di conservazione buono oltre che completo. Segnatamente si parla di Henry, un ornitopode della famiglia degli adrosauridi, ritrovato in una cava nello stato americano del Montana. L’asta milanese, dopo il precedente del 2021 sempre presso la medesima casa e con i riflettori puntati su un Othnielosaurus battuto a 300.000 euro, ha replicato lo stesso successo in termini cifre. 

Il lotto, piuttosto insolito per un’asta tradizionalmente intesa di arte antica e contemporanea secondo la classificazione della citata casa, ha aggiunto un tassello italiano su linee di tendenza sempre più diffuse negli ultimi tempi. In Asia questo nuovo filone tematico sta particolarmente segnando l’evoluzione collezionistica di un mercato, quello dei reperti preistorici, che viene ritratto come in ottima salute e in progressione. Appassionati di Singapore, Cina, Taiwan e Thailandia stanno infatti dominando la scena su questo fronte; naturalmente si parla di soggetti che vantano disponibilità – ma si potrebbe dire anche gusti – non proprio comuni. Già in anni passati l’attore Leonardo di Caprio e il collega Nicholas Cage si erano contesi il teschio di un Tyrannosaurus bataar a un’asta californiana. In quel caso la spuntò Cage per circa 270.000 dollari. Salvo poi, su informazione di preposte autorità statunitensi, restituire il reperto che risultò trafugato dalla Mongolia; retroscena peraltro ignorato dal divo di Hollywood che si era mosso in assoluta buona fede. Senza dimenticare che la normativa per il possesso di reperti rinvenuti nel sottosuolo è diversa da Paese a Paese con altrettante restrizioni e normative variabili. 

Da sottolineare è comunque il fatto come anche questa specifica tendenza collezionistica a tema preistorico stia sempre più proponendosi anche come un fattore di costume, di vera moda, benché in aree di nicchia decisamente ristrette. In termini prospettici presentandosi pure come una potenziale traiettoria di investimento, data una platea internazionale sempre più sensibile e ricettiva; tuttavia, come sostengono gli addetti ai lavori, da maneggiare con attenzione e cautele. Su di un versante eziologico, più in generale, a giustificazione del fenomeno si potrebbero addurre spiegazioni da indagare in scenari motivazionali di vario ordine; alla stregua di una reazione emotiva in un periodo di incertezze o come un repêchage di antiche, addirittura antichissime rassicurazioni. Con presenze concrete e imperiture che in questi tempi pandemici sembrano inconsciamente ergersi contro potenziali estinzioni da cui, forse, ci si sentiva ormai immuni. Considerazioni di ordine psicologico o antropologico, queste, su cui comunque solo gli esperti in materia si possono pronunciare. 

Originalità temporanee da collezione o mirati investimenti modaioli in aria di anticonformismo, la condizione più unica che rara di certi beni sembra proprio intramontabile e foriera di sviluppi. A qualunque prezzo. In forma cartacea o fossile, a quanto pare, fa lo stesso. Anche se, almeno in casi come quello del giurassico Henry, a tutti gli effetti si parla di preziosi solo un po’ scomodi da tenere in salotto o ingombranti da esporre in una bacheca.