italiani all'estero incentivi

Sono sempre più le persone che, complici la diffusione del lavoro da remoto e le iniziative di mobilità messe in atto dalle imprese, scelgono di trascorrere un periodo di tempo all’estero, lavorando per un’azienda con sede in Italia. Abbiamo chiesto a Gianluca Tirri, Managing Director di Quickfisco, come si devono comportare a livello fiscale queste persone e cosa sia cambiato nel tempo.

Sempre più gli italiani all’estero

La mobilità internazionale è un tema molto attuale che riguarda sempre più lavoratori attratti dall’idea di trascorrere un periodo di tempo all’estero, lavorando però per un’azienda italiana in una delle sue sedi internazionali, in coworking o in qualsiasi altro ambiente dotato dell’infrastruttura minima che consenta di poter lavorare. “Questo fenomeno, sempre più attuale, – spiega – è riconducibile a diversi fattori, alcuni tra i quali derivanti dal periodo della pandemia, durante il quale tante persone hanno ampliato i propri orizzonti sedimentando l’idea che il lavoro flessibile sia una delle leve per migliorare la percezione del loro percorso professionale. In questo contesto piuttosto variegato è necessario in primis distinguere tra due fattispecie, riconducibili ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori autonomi (i cosiddetti “Freelance”). Per i lavoratori dipendenti assunti in aziende italiane, la possibilità di svolgere il proprio lavoro all’estero è un’opportunità che presenta maggiore complessità rispetto a un lavoratore autonomo. Queste complessità derivano principalmente dalla necessità di dover disciplinare tra l’azienda e il lavoratore dipendente un vero e proprio trasferimento all’estero per un periodo prolungato che determina la scelta della residenza fiscale da parte del lavoratore, la valutazione degli aspetti contributivi (da valutare caso per caso in funzione dei rapporti tra l’Italia e la Nazione nel quale il lavoratore decide di trasferirsi), la valutazione della copertura assicurativa in quanto il premio INAIL che l’azienda versa per il proprio lavoratore potrebbe essere rimodulato a seconda del Paese di destinazione del dipendente, oltre al fatto che potrebbe essere necessario integrare altre coperture assicurative”.

Come si deve comportare un autonomo

Se si è autonomi, invece, è più semplice trasferire all’estero la propria professione, in quanto il principale tema da affrontare è legato alla scelta del lavoratore di trasferire o meno la propria residenza fiscale. 

La scelta della residenza fiscale per chi sceglie di lavorare da remoto all’estero – spiega Tirri – è dunque dirimente sia per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi, poiché in entrambi i casi gli obblighi fiscali dipendono dalla residenza fiscale, che consente di stabilire quale Stato andrà a tassare i redditi del lavoratore. In alcuni casi può capitare che vi siano incertezze sulla localizzazione della residenza fiscale del lavoratore: in questi casi si ricorre all’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra gli Stati coinvolti”.

LEGGI ANCHE: Mattarella “Italiani all’estero patrimonio inestimabile per soft power”

Come si comportano i vari stati 

In generale possiamo affermare che questo fenomeno riconducibile al nomadismo digitale ha portato anche i diversi Stati a interrogarsi sul come accogliere e regolamentare questa nuova tendenza. Alcuni Stati hanno fatto da apri-pista, come ad esempio Grecia, Spagna, Portogallo, creando dei meccanismi di incentivazione per favorire l’ingresso Nel paese ai nomadi digitali. In questo solco anche l’Italia ha varato nel 2022 una norma che agevola l’ingresso di cittadini di Paesi terzi che decidano di lavorare nel territorio nazionale, per un determinato periodo, svolgendo la propria attività da remoto.

“Questa nuova tendenza – spiega – ha innescato una piccola rivoluzione culturale irreversibile: in futuro è possibile ipotizzare uno scenario nel quale potremmo avere sempre più professionisti, con competenze in ambito digitale e nuove tecnologie, che decideranno di lavorare in maniera autonoma (da freelance) anche spinti dalla possibilità di avere maggiore libertà nel valutare dove e come lavorare.

Le principali novità in tema di incentivi per gli italiani all’estero

Con le ultime leggi, molti italiani expat che pensavano di tornare dall’estero hanno cambiato idea. “Stiamo assistendo ad un cambio di passo – dice Tirri – rispetto a quello che ci eravamo proposti, ovvero tornare attrattivi per i tanti talenti che hanno lasciato l’Italia in cerca di miglior fortuna.  Le principali novità sul ridimensionamento degli incentivi per il rientro di connazionali dall’estero introdotte con il decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale sono essenzialmente riconducibili al restringimento dell’ambito di applicazione – in quanto potranno accedere solo lavoratori che presentano determinati requisiti che nella precedente versione della riforma non venivano considerati – e alla rimodulazione dell’incentivo, in quanto la nuova agevolazione consiste in una detassazione dei redditi agevolabili nella misura del 50% (prima era del 70%, in alcuni casi del 90%) entro un limite massimo (di nuova introduzione) di 600.000 euro”.

Si vogliono riportare i cervelli in Italia

Ciò che non viene modificato con il nuovo decreto sono gli incentivi a docenti e ricercatori. Il beneficio fiscale per loro è sempre stato il più conveniente, dal momento che comporta un abbattimento della tassazione del 90%, cosicché le imposte rimangono dovute solo sulla residua parte del 10% dei redditi percepiti. “Il nuovo cambio di rotta – spiega Tirri – sull’attrattività delle persone fisiche, arriva dopo i continui interventi subiti negli ultimi anni dalle misure per attrarre in Italia personale specializzato. Il Governo, in pratica, sembra voler puntare su professori e ricercatori, escludendo le altre categorie di lavoratori. La misura introdotta, finalizzata a rimodulare l’incentivo per il rientro, dovrebbe essere valutata anche sulla base di dati sull’efficacia della misura negli anni precedenti.

Quanti sono gli italiani che vogliono ritornare dall’estero

Secondo i dati pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ad aprile 2023 relativi al periodo di imposta 2021, le agevolazioni hanno interessato 19.400 lavoratori con un reddito lordo medio di 131.920 euro, mentre nel caso di “docenti e ricercatori” si parla di circa 1.600 professionisti che registrano un reddito lordo medio di 54.065 euro. Guardando queste cifre relative solo ai 19.400 professionisti “generici” bisognerebbe porsi un interrogativo ben preciso: quanti di questi professionisti rientrerebbero in Italia con i nuovi incentivi? È plausibile ipotizzare che una buona percentuale di questi professionisti non avrebbe interesse a tornare in Italia con le nuove regole che comportano maggiori complicazioni. Perdere questi profili professionali equivale a rinunciare a profili con esperienza internazionali e competenze molto spesso distintive, che in Italia sono sempre più rare; inoltre, anche l’indotto generato non è da sottovalutare, in quanto sono professionisti con un reddito pro-capite alto sul quale anche il 30%, se tassato, comporta un gettito fiscale altrimenti pari a zero (sarebbero soggetti che pagherebbero altrove le proprie tasse).

“Il mio parere – continua – è che la misura così come concepita potrebbe non portare nessun beneficio o giovamento a una Nazione che ogni anno vede circa 90.000 espatri, soprattutto tra giovani neolaureati che vengono attratti da migliori prospettive reddituali e di carriera. Tuttavia, all’interno del più ampio dibattito sull’attrattività dell’Italia e sulla sua fiscalità rispetto agli altri Paesi, un tema che non viene affrontato a sufficienza riguarda i regimi fiscali per i forfettari. Nel caso di persone che detengono Partita IVA e sono sotto gli 85.000 euro annui, infatti, per i primi cinque anni di attività l’imposta dovuta è il 5%, superata quella soglia sale al 15%. Un regime fiscale evidentemente molto vantaggioso che può essere considerato attrattivo per chi vuole tornare in Italia come libero professionista”.